Inciampi nella memoria è il progetto dell’associazione Ecomuseo Casilino Ad Duas Lauros che ricorda la lotta partigiana nelle strade del comprensorio casilino – periferia est di Roma – attraverso la messa in posa di 13 piccole targhe di ottone della dimensione dei porfidi stradali, le pietre d’inciampo, incastonati nella pavimentazione antistante l’abitazione dei partigiani. L’inciampo non è fisico ma visivo. Sulla targa vengono incisi i dati anagrafici della persona scomparsa. Nome, cognome, data di nascita e di morte. Quanto basta per costringere chi passa a interrogarsi su quella anomalia dorata che da all’occhio nel grigiore delle strade urbane e che costringe a ricordare quanto accaduto in quel luogo e in quella data, intrecciando passato e presente, memoria e attualità.

“Inciampi nella Memoria” è anche un tassello di un disegno di più ampio respiro dell’associazione che ha dato vita a un ecomuseo urbano, valorizzando le risorse storiche, antropologiche e paesaggistiche del patrimonio presente nell’area. “Fare l’Ecomuseo – si legge dal loro sito – vuol dire cambiare la prospettiva di sviluppo di un territorio, partendo dall’individuazione degli asset culturali (memorie, resti, produzioni, azioni), riconnettendoli assieme, in processo continuo di lettura e interpretazione, che non abbia come fine la teca museale, ma la creazione di uno spazio fluido e diffuso. Un ovunque percorribile e fruibile liberamente, senza biglietti, ma proprio per questo capace di mettere in moto scenari di sviluppo economico inediti. Questo progetto – continuano dal sito – è frutto di un lavoro espresso da una rete civica nel V Municipio (capitolino, ndr). La genesi dell’Ecomuseo è così quella tipica del patto con cui una comunità decide di prendersi cura del suo territorio fondato sul principio della sussidiarietà (ricordato dall’articolo 118 della Costituzione), un processo di progettazione partecipata aperto a contributi e istanze di cittadini, scuole, associazioni, imprese, parrocchie”.

Un modello democratico e partecipato di gestione dei beni pubblici che nasce dal basso e che afferma il primato della comunità rispetto ai poteri politici, tanto nell’individuazione del patrimonio quanto nelle modalità di conservazione e trasmissione. Il tema centrale sono i diritti culturali della comunità, intesa come “comunità di eredità” nel 2005 dalla Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa per il valore dell’eredità culturale per la società.

Piazza della Marranella è il cuore pulsante di Tor Pignattara, quartiere complesso, stratificato. Luogo di vecchie e nuove migrazioni. Ieri meta di residenti sfollati dal centro a causa degli sventramenti avviati dal fascismo – che imprimevano alla città il contrassegno monumentale voluto da Mussolini – e di immigrati a cui il regime negava il diritto di residenza. Oggi chiamato Banglatown, per l’elevato numero di bangladesi che lo hanno scelto zona residenziale.

Qui la Resistenza comincia subito all’indomani dell’occupazione tedesca. La concentrazione di formazioni armate è notevole. Sono aderenti ai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale o a formazioni autonome come Bandiera Rossa e in stretto contatto tra loro. Già il 9 settembre 1943 nella piazza principale del quartiere vengono distribuite armi alla popolazione. Dopo la proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre, questa zona diventa di interesse strategico per le truppe nazifasciste che si attestano nel Cassinate, nel basso Lazio, trasformando la consolare Casilina e la ferrovia Roma-Napoli nelle principali arterie di rifornimento per il fronte della Linea Gustav. Diviene, di contro, anche bersaglio di bombardamenti da parte dell’esercito anglo-americano che mira a bloccare le vie di rifornimento avversarie. Perché non tutte le strade portano a Roma. A volte, ce n’è solo una.

Il movimento clandestino organizza la resistenza militare dividendo la Capitale in 8 zone. In questa zona, l’VIII, che comprende Tor Pignattara, Pigneto, Quadraro, Centocelle, Borgata Gordiani e Quarticciolo si costituiscono 6 Gruppi di Azione Patriottica (Gap), composti da quattro o cinque persone, con lo scopo di sabotare i tedeschi. Proprio a Tor Pignattara, il Cnl pone la sede del comando del partito comunista, affidando le operazioni militari a Nino Franchellucci e quelle politiche a Luigi Forcella. Uno dei Gap è comandato da Valerio Fiorentini. Una pietra d’inciampo ricorda dove viveva, in via di Tor Pignattara 99. Luigi Forcella gestisce, con la sua famiglia, anche una falegnameria in via dell’Acqua Bullicante 21, deposito di armi e munizioni per il settore di Tor Pignattara, nonché nascondiglio di soldati fuggiti dal fronte. Ma in questa falegnameria succede di più. Si producono i chiodi a quattro punte che saranno lanciati sulla strada prima di attaccare i convogli tedeschi. Quando il 14 marzo 1944 le milizie Schutz-Staffel (SS) fanno irruzione in questa bottega, sono ben consapevoli di essere in uno dei luoghi chiave per le attività dei Gap. Vengono arrestati Egidio Checchi, Renato Cantalamessa, Alessandro Portieri, Orazio Corsi e Mario Possarella. Per loro le SS applicarono la tristemente nota semeiotica: torturati in via Tasso e uccisi nelle Fosse Ardeatine, strage di cui il 24 marzo scorso si è ricordato il 75° anniversario. «Furono uccisi per il loro lavoro e arrestati mentre lo svolgevano. Questo è il motivo per cui le pietre d’inciampo sono dinanzi la loro sede lavorativa e non quella domiciliare. Il loro lavoro fu un atto rivoluzionario», spiega Stefania Ficacci, storica dell’Ecomuseo. «Anche Guerrino Sbardella, tipografo di Bandiera Rossa che operava in via dei Savorgnan 52, venne arrestato per il lavoro che svolgeva. Il suo capo d’accusa furono le matrici di piombo che utilizzava per la stampa di volantini di propaganda antinazifascista e di un giornale clandestino. E venne arrestato anche Ottavio Capozio, del Pci, postetelegrafonico che da casa sua, in via dell’Acquedotto Alessandrino 3, vedeva bene gli spostamenti dei tedeschi sulla Casilina o sulla ferrovia Roma-Napoli e con una radio informava gli Alleati», conclude la storica.

Posa delle Pietre d’Inciampo a Tor Pignattara

Lo stesso 14 marzo al Gap di Fiorentini verrà ordinata l’esecuzione di un ufficiale italiano al servizio della polizia tedesca e responsabile di numerosi arresti nell’VIII zona. Ma il tram su cui viaggiano è fermato e circondato dalle SS, i gappisti, ad eccezione di uno che non viene identificato, sono arrestati e condotti a via Tasso, due di loro e il comandante saranno poi uccisi alle Fosse Ardeatine. A Valerio Fiorentini verrà conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

A seguito dell’azione contro l’ufficiale nazifascista, nella zona le retate delle SS si intensificano. “Coprifuoco, la truppa tedesca la città dominava, siam pronti, chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti”, scriveva Italo Calvino. Tra i gappisti che riparano sui monti del Reatino c’è anche il giovanissimo Giordano Sangalli, che, oltre ad essere ricordato da una pietra d’inciampo, è protagonista di un forte indice d’identità da parte della popolazione di Tor Pignattara. «Dopo la seconda guerra mondiale – spiega ancora Stefania Ficacci – l’area dell’Acquedotto Alessandrino era occupata da un piccolo campo da calcio in pozzolana senza nome, intitolato in seguito dalla vox populi a Giordano Sangalli. Quel campo da calcio oggi è diventato Parco Giordano Sangalli. La comunità sente che un territorio appartiene a una memoria e ne celebra il nome».

Se la storia e la memoria sono vivide presenze nelle strade della zona, lo sono anche nei vissuti dei residenti, alcuni dei quali progenia diretta dei partigiani. Ma come coinvolgere le nuove generazioni della comunità straniera in un quartiere dove ha sede una delle scuole di Roma, la Carlo Pisacane, più famose per presenza di alunni stranieri? «C’è una connessione con il loro bagaglio culturale nel tema della lotta al nazifascismo – chiosa Ficacci –. Le truppe della V Armata alleata portavano con sé gli indiani, allora del territorio britannico. I nostri anziani raccontano di questi soldati col turbante. Nel ricordo delle famiglie del Bangladesh, al tempo territorio indiano, vi è una comune memoria che si collega alla seconda guerra mondiale e quindi a Roma».

Mariangela Di Marco