Da un sondaggio fatto nel 2002 per Samarcanda, la trasmissione tv di Santoro, risultava come almeno il 25% dei giovani italiani esprimesse un giudizio positivo sul fascismo e su Mussolini. Mentre solo il 3% si pronunciava in termini favorevoli su Hitler e sul nazismo. Recenti sondaggi indicano che circa il 6% dei giovani italiani esprimono intenzioni di voto a favore dei nuovi movimenti neofascisti come CasaPound (4,7%) e Forza nuova (1%). L’area di consenso della destra estrema risulta però più larga, soprattutto per il successo che riscontrano certe idee e parole d’ordine che denunciano l’immigrazione come minaccia alla società italiana e l’esigenza di difendere i “nostri” valori tradizionali, morali e religiosi. Se si rifacesse ora un sondaggio, focalizzato sul giudizio su fascismo e nazismo, credo avremmo gli stessi risultati, già allora preoccupanti (un quarto degli intervistati esprimeva un giudizio positivo sul fascismo).
Ma risulterebbe cresciuto probabilmente di qualche punto anche il gradimento verso il Führer e il Terzo Reich. Il quadro è molto allarmante. Non solo si assiste ad un crescendo di atti di intimidazione e violenza di matrice neofascista, ma il ritorno del neofascismo sulla scena è contrassegnato da un salto di qualità inquietante: mentre negli anni dei governi di centrodestra era stato alimentato dalla riemersione di un anticomunismo vintage veicolato dalle correnti revisioniste, oggi è alimentato dalle paure e dai sentimenti di ostilità e rigetto nutriti verso gli immigrati da settori consistenti della società, impoveriti dalla crisi e sobillati dalla destra, non solo quella estrema. La mobilitazione del neofascismo, in sintonia con quanto sta avvenendo nel resto d’Europa, si tinge così di una forte connotazione razzista e xenofoba (la lotta contro la presunta «sostituzione etnica» degli italiani). E non stupisce che ciò riporti in auge anche il retaggio del nazismo, coi suoi famigerati progetti razzisti di costruire la «fortezza Europa». Siamo davanti insomma a veri e propri movimenti nazifascisti, con una preoccupante capacità di penetrazione fra i giovani.
Che fare dunque? Non basta l’azione sul piano legislativo né quella della magistratura e delle forze dell’ordine, da sollecitare certamente ad una vigilanza più attiva. La permeabilità di tanti giovani, e non solo, al richiamo delle sirene del passato è legata a un terreno favorevole costituito da una percezione sociale del fascismo, superficiale, benevola e assolutoria. Il revisionismo, dagli anni 80 in poi, ha rilanciato vecchi clichés che già abbondavano sui rotocalchi del dopoguerra che ritraevano il fascismo come una dittatura bonaria, con una dose massiccia di retorica e teatralità ma a basso tasso di violenza e repressione. Usando un metro di giudizio comodo ma fuorviante, si tende a giudicare il fascismo comparandolo al nazismo e attribuendo solo a quest’ultimo nefandezza ideologica e vocazione criminale. Anzi, non si esita spesso ad ascrivere al fascismo meriti storici come la bonifica delle paludi o l’arrivo dei treni in orario, che spiegherebbero il presunto consenso degli italiani al regime. “Bravi italiani” contro “cattivi tedeschi”. È una visione banalizzante e falsa che priva il fascismo delle caratteristiche liberticide, oppressive e criminali che storicamente ha avuto.
Nella fase di avvento al potere, dal 1919 al 1922, le camicie nere hanno fatto più morti che non le camicie brune naziste prima dell’arrivo al potere di Hitler. Ed è sufficiente ricordare l’impiego di agenti chimici in Etiopia, i lager di Graziani in Libia o i crimini commessi in Jugoslavia e in Grecia per abbandonare il comodo alibi degli “italiani brava gente”. Ovviamente differenze ci furono (gli italiani – spesso, non sempre – salvarono gli ebrei, i tedeschi li sterminarono), ma finora sono state messe in evidenza per coprire le nostre colpe. Occorre dunque prendere “sul serio” il fascismo e farci i conti senza comodi alibi, riconoscendolo per ciò che è stato: un movimento e un regime ipernazionalista e razzista, fondato sul culto del capo, della gerarchia, della violenza e della guerra (l’Italia di Mussolini è in guerra fin dal 1935 con l’invasione dell’Etiopia!), nemico non solo del comunismo ma anche del liberalismo e della democrazia, dei principi della rivoluzione francese… Come tutti i totalitarismi, il fascismo è stato anche una “dittatura del welfare”, dispensando lavoro e dopolavoro, pensioni e assicurazioni. Ma questo non cambia la sua natura. Serve in definitiva una coraggiosa mobilitazione culturale, non solo della scuola e dell’università ma di tutte le istituzioni e dei media, a cominciare dalla Tv, per costruire nella società italiana un nuovo senso comune storico del fascismo, una coscienza critica che sappia fare da argine al ritorno dei fantasmi del passato.
Filippo Focardi è docente di storia contemporanea presso l’Università di Padova
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2017
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