Il clima è davvero quello delle grandi occasioni, perché un incontro con Carlo Smuraglia rappresenta sempre un’occasione importante, capace di mobilitare le migliori energie che un territorio possa esprimere, tanto che la sala dei Giganti della Rocca di Bazzano risulta ben presto sottodimensionata per i tanti – molti anche i giovani – che non hanno voluto mancare all’appuntamento.
La giovane presidente del Comitato per le celebrazioni di Sabbiuno, Sara Bonafè, ha ritenuto opportuno affiancare alla celebrazione ufficiale dell’eccidio in programma domenica 15 dicembre, un ulteriore momento di riflessione, organizzando per sabato 14 dicembre l’incontro con Carlo Smuraglia.
Preceduto dai saluti del sindaco di Valsamoggia Daniele Ruscigno nel ruolo di padrone di casa e dalla puntuale ricostruzione storica dell’eccidio nel quale furono fucilati 100 tra partigiani e antifascisti (di questi non fu possibile identificarne 47) di Pietro Ospitali, Smuraglia non ha certo deluso le aspettative.
Partendo dal presupposto che si tratta di un eccidio di cui si è parlato troppo poco, Smuraglia ha riconosciuto l’importanza del lavoro ottenuto con l’atlante delle stragi nazifasciste, realizzato grazie ad un finanziamento del governo tedesco. Un risultato che non cambia il severo giudizio espresso nei confronti di un governo che continua a considerare i morti della Resistenza come caduti in guerra senza fare distinzioni quando si tratta di stragi a danno di civili o di inermi, come nel caso dei caduti sulla collina di Sabbiuno. Perché c’è differenza tra un partigiano che muore durante uno scontro a fuoco rispetto a qualcuno che viene prelevato, fucilato e gettato nel fondo di un calanco senza nemmeno una pietosa sepoltura. Questo è l’indicibile, il male totale che annienta la persona.
La Costituzione prima e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo poi, hanno voluto restituire alla persona la sua umanità. È necessario, quindi, fare in modo che i giovani sappiano ciò che è stato, dato che stanno venendo meno i testimoni diretti e che da tempo si assiste al tentativo – spesso riuscito – di diffamare la Resistenza, della negazione di crimini orrendi.
Citando la domanda di una bambina in occasione di un suo intervento in una classe “cosa facevano i partigiani quando non combattevano?”, Smuraglia ha raccontato dei sogni, delle discussioni dei progetti di ragazzi che spesso non avevano mai avuto occasione di maneggiare un’arma prima e che decisero di prendere parte alla Resistenza quasi per istinto. Forse per la prima volta si trovarono vicini ragazzi del nord e del sud del Paese, contadini e operai, persone semplici e intellettuali. Certi che la guerra sarebbe stata vinta, progettavano insieme un Paese migliore e più giusto, democratico, nel quale le persone avessero la stessa dignità. Un processo di crescita e di maturazione collettiva che ha prodotto il miracolo della Costituente e della nostra avanzatissima Costituzione.
Solo due esempi: la scelta del verbo ripudiare riferito alla guerra e aver inserito l’impegno a rimuovere gli ostacoli che si frappongono di fatto all’uguaglianza delle persone, rappresentano la cifra di un dibattito alto, maturato da lontano, nelle carceri, in montagna, al confino. La società che ha costruito la Costituzione era un passo più avanti della società italiana nel suo complesso e che si è impegnata nel tempo a non rispettarla, a non volerla applicare. Anzi, si è assistito ad un continuo susseguirsi di vicende tese a modificarla. D’altra parte basta ben poco per non rispettarla: è sufficiente togliere la centralità del Parlamento o abusare del voto di fiducia.
Attuare pienamente la Costituzione sarebbe davvero una rivoluzione civile perché, ha proseguito Smuraglia, questo non è il paese che sognavamo e per il quale abbiamo combattuto. Il lavoro deve essere un diritto garantito, così come deve essere garantita la tutela del territorio. Ci siamo battuti per una politica tesa al benessere del Paese, per un Parlamento che discuta di come uscire dalla crisi, di come ridurre le diseguaglianze. Invece un governo così litigioso non si era mai visto …
La Costituzione – che è tutta antifascista – deve essere il baluardo contro i nostalgici che vedono vicina e possibile la realizzazione delle loro idee.
Il vero senso di un ricordo, ha concluso Smuraglia, sta nel guardare con il cuore al passato e con la mente al futuro. La nostra deve essere una forte scelta di campo democratica, tesa alla piena applicazione della Costituzione, avendo ben chiari i valori della solidarietà e pensando ad un mondo nel quale si possa essere felici senza egoismi.
Il 15 dicembre, giorno dell’anniversario, è stato il turno di Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale.
“Il 14 e il 23 dicembre 1944 – ha detto fra l’altro Flick ricostruendo i tragici eventi – dal carcere di San Giovanni in Monte due gruppi di prigionieri, incolonnati a piedi o su camion coperti, vennero condotti attraverso le strade del centro di Bologna verso le colline fino a Sabbiuno dove furono fucilati. Nel dopoguerra vennero ritrovati in fondo al calanco dalle pareti del quale erano stati fatti precipitare.
Erano partigiani rastrellati dai nazisti tedeschi e dai fascisti italiani nella zona nord est di Bologna.
L’azione antipartigiana a Bologna si intensificò con l’arresto e la fucilazione del gruppo dirigente del partito d’azione avvenuto il 20 ottobre. Il 7 e il 15 novembre la battaglia di Porta Lame e lo scontro della Bolognina; iniziarono i rastrellamenti e molte basi dei resistenti vennero scoperte grazie alle indicazioni di fascisti e di due tedeschi infiltrati.
Il sovraffollamento del carcere di San Giovanni in Monte e la necessità di disfarsi di elementi considerati pericolosi impose una nuova strategia: non più grandi stragi, come quella di Marzabotto; i prigionieri dovevano sparire senza che nessuno sapesse più niente di loro, e il calanco, che avrebbe divorato e nascosto quei corpi per sempre, era il luogo ideale. Perciò in due riprese, il 14 e il 23 dicembre ’44, i prigionieri, circa un centinaio, furono portati a Sabbiuno, fatti pernottare nella casa colonica, condotti al mattino sul ciglio del calanco e fucilati.
Le pietre continuano a parlare, anche quando le voci iniziano a tacere e via via si spengono: oggi siamo qui riuniti per ascoltare il linguaggio di quelle pietre che segnarono il sacrificio dei morti insepolti di Monte Sabbiuno”. Ed ha aggiunto: “La Resistenza è stata per noi anche un movimento di massa corale e politico prima che militare. Un movimento di liberazione dal regime totalitario fascista che per un ventennio aveva occupato il nostro Paese dall’interno, con un apparato di violenza, di oppressione e di cancellazione delle libertà civili, politiche, sociali ed economiche.
Quell’apparato non può essere mascherato dal maldestro – e purtroppo ripetuto ancora oggi – riferimento a qualche “benemerenza”, a qualche opera pubblica e a qualche risultato economico raggiunti dal fascismo. Non può essere occultato dal confronto di una sua pretesa bonomia e tolleranza del dissenso, rispetto alla ferocia e alla repressione del regime nazista. Durante il ventennio i treni arrivavano in orario; forse. Ma alla fine della guerra i binari, i ponti, le stazioni erano distrutti. Durante il ventennio vi furono i manganelli, l’olio di ricino, la violenza, gli omicidi: Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli e tanti altri stanno a ricordarcelo.
Durante il ventennio si raggiunse con i Patti Lateranensi e il Concordato la pace religiosa; ma contemporaneamente si adottarono le ignobili leggi razziali del 1938 e si diede inizio alla persecuzione dei cittadini di religione ebraica. Durante il ventennio si svilupparono le industrie; ma si soffocarono le libertà civili e sociali; si praticò con ogni mezzo la persecuzione degli avversari politici e del dissenso.
Il prezzo conclusivo – certamente non l’unico – del ventennio fascista fu una guerra sciagurata. Fu un prezzo elevato, pagato con il sacrificio e l’eroismo dei soldati e della popolazione civile. Ma fu pagato anche con la fuga e con l’irresponsabilità di chi consentì e concorse a quella guerra, dopo aver avallato altre scelte irresponsabili e criminali; di chi contribuì alla disorganizzazione e allo sfacelo dell’armistizio dell’8 settembre 1943, nel tentativo di dissociare la propria responsabilità e connivenza con il fascismo”.
Annalisa Paltrinieri è del Comitato provinciale Anpi Bologna
Pubblicato venerdì 20 Dicembre 2019
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