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Sembra passato un secolo dal primo turno delle amministrative, ma si sa le lancette del tempo elettorale vanno a un altro ritmo. Ricordate l’inconsueto mea culpa di Salvini a spoglio in corso? “Siamo arrivati tardi a scegliere i candidati”. E Meloni: “Con un astensionismo così non si può parlare di crisi della politica, ma della democrazia”. Bruciava in quelle ore la sconfitta senza appello a Milano, Bologna, Napoli, mentre diveniva sempre più evidente che, nella non partecipazione al voto più alta di sempre, a rimanere a casa erano state le periferie delle grandi realtà urbane, proprio dove il duo sovranista nelle scorse consultazioni aveva incassato a mani basse, stracciando Pd e M5s.

Trieste, molo Audace (Imagoeconomica)

Perché è vero, anche in materia di elezioni non si sommano mele, pere e susine – locali, nazionali ed europee seguono ciascuna dinamiche diverse – nel 2019, la Lega era il secondo partito a Roma e il primo a Torino grazie a quelle aree. Due città – con Trieste (affluenza inchiodata al 46% e portuali sul piede di guerra contro il green pass) – cruciali al ballottaggio per il prestigio e il futuro politico personale della numero uno di Fratelli d’Italia, anelante premier, e del segretario del Carroccio.

9ottobre, Pamela Testa di Forza Nuova, arrestata con Fiore, Castellino, Aronica e altri

L’onda d’urto delle vicende Morisi e Fidanza che avrebbero potuto compromettere i due leader sovranisti nello scrutinio decisivo sono state praticamente scalzate in una manciata di giorni dalla gravità degli assalti partiti della capitolina Piazza del Popolo, alla tentata Capitol hill nostrana e dalla violenza squadrista alla sede Cgil. Lì sì che si è voluta colpire al cuore la democrazia, facendo tuffare indietro l’intero Paese di cento anni, diritti al biennio nero che precedette la marcia mussoliniana e il regime.

Giorgia Meloni a Madrid sul palco di Viva21, l’evento organizzato da Vox

Non è sussultata Meloni, volata in Spagna per cementare l’alleanza con i neofranchisti di Vox, a vedere la sua città devastata, “La matrice non la conosco” ha dichiarato. Eppure la sede romana del partito di Roberto Fiore, Forza Nuova, è nell’appartamento di un’elegante palazzina di un quartiere bene che fa parte del patrimonio della fondazione Alleanza Nazionale (Meloni sostiene di aver chiesto lo sfratto da anni), e se pure avesse dimenticato di essere stata scortata da Giuliano Castellino quando era ministra della Gioventù, il pluridaspato ha fatto molto parlare di sé negli ultimi mesi.

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In altre parole, l’atteggiamento è lo stesso di sempre, come quando, mai sorpresa a fare un saluto romano, non si è mai sognata di abiurare le radici “ideali” ben piantate nel ventennio. Riuscendo a distrarre dal tema vero, lo schiaffo ricevuto dalle periferie.

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In questa tornata, la fiamma che continua ad ardere nel logo del partito di Meloni ha continuato ad avanzare solo rosicchiando voti alla Lega salviniana e a Forza Italia. A Trieste riesce a tallonare il partito democratico e sbaraglia in campo alleato.

A Torino ora conta numeri sette volte maggiori di quelli registrati cinque anni fa e già ha portato in uno dei consigli circoscrizionali, il 6, Massimo Robella. Un tipo che ha fatto parlare subito di sé ringraziando i camerati. In un post privato, d’accordo, cioè leggibile solo dalle persone che su Facebook hanno stretto amicizia con lui, ma che rivela un’anima desiderosa di “mollare” l’ennesimo affronto alla Costituzione antifascista.

Tra gli altri nello scatto, Rachele Mussolini (Imagoeconomica)

FdI a Roma può vantare di essere la prima formazione politica con in cima ai già eletti Rachele Mussolini jr (dopo aver moltiplicato i voti nel capoluogo lombardo e in quello emiliano-romagnolo).

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Il caso capitolino è emblematico perché i rifiuti, la crisi economica dettata dalla pandemia, strade e marciapiedi colabrodo, addirittura la mancanza del trasporto pubblico, ormai riguardano sia il centro sia la periferia. Forse solo i dati dell’abbandono scolastico permettono dei distinguo.

Giorgia Meloni, Enrico Michetti e Matteo Salvini (Imagoeconomica)

Eppure il candidato sindaco del centrodestra Enrico Michetti, medico con la passione per la radio che dai microfoni di un’importante emittente locale, dava lezioni su Hitler e la Wehrmacht – “Se c’è caos, serve un uomo forte che rimetta in ordine il Paese”, e sulla Shoah è arrivato a chiedere “perché la stessa pietà e la stessa considerazione non viene rivolta ai morti ammazzati nelle foibe” ?”, e da quella stessa radio uno speaker ha recentemente affermato che “si deve pensare a tutti gli olocausti. Lenin era ebreo e ha ucciso molta gente – nei tour propagandistici Michetti ha appena sfiorato le borgate, in passato infiammate da rivolte popolari contro migranti e rom.

CasaPound, manifestazione contro gli immigrati (Imagoeconomica)

Con, immancabili a soffiare sul fuoco della protesta, i fascisti di FN e CasaPound.

Il candidato del centrodestra alla guida del VI Municipio, quello di Tor Bella Monaca, teatro nel 2019 di una rivolta (romacaputmundi.it)

Ma in tutta Italia nelle zone marginali territorialmente i candidati di ogni schieramento e lista non si sono visti o quasi e i leader nazionali si sono fermati nei quartieri centrali. Dove pesano in misura molto minore i grandi assenti o sono appena accennati nei programmi degli aspiranti sindaci: i temi dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’immigrazione. Che vale a dire: penultimi contro gli ultimi sbrigatevela da soli.

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Così le periferie abbandonate al loro destino e pure ignorate hanno semplicemente voltato le spalle a tutti, oggi al centrodestra, come ieri al centrosinistra.

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Al di là del risultato imminente delle urne, la delusione verso i partiti storici, la ribellione rappresentata dai consensi ai pentastellati e infine al duo sovranista-populista Meloni Salvini, la generalizzata tendenza al non voto, dovrebbe preoccupare e far correre ai ripari lo schieramento progressista, non immune all’emorragia di voti, e chiunque ambisca al benessere della collettività nel governo delle metropoli.

Rimandati al dopo ballottaggi i conti interni alla Lega e tra Meloni e l’alleato populista, vedremo se il sabato nero del 9 ottobre arresterà l’ascesa della nera di Garbatella.

L’astensione può essere un verme solitario insaziabile, ma se in questo ultimo miglio Meloni dovesse perdere, se i suoi potenziali elettori resteranno lontani dai seggi, non bisogna cadere nel tranello di considerare liquidata la destra che imbarca e difende chiunque strizzi l’occhio a Hitler e Goebbels: la prossima partita sono le politiche e non c’è da aspettarsi affatto la fine del populismo sovranista in salsa nero-verde.

La storia non insegna proprio nulla?