Da http://formiche.net/2013/10/la-condizione-delle-carceri-questione-dignita/

Ci misuriamo qualche volta con cose più grandi di noi. Di sicuro più grandi di chi scrive; forse proprio per questo è meglio parlarne. La questione delle carceri si presta bene come paradigma di vari discorsi: dalla democrazia-sicurezza-libertà alla possibilità reale di fare i conti con la Carta costituzionale e la salvaguardia dei diritti umani.

Lontano da noi l’idea di inoltrarsi in discorsi che hanno bisogno di altre e alte conoscenze. Certo non sarebbe male comprendere meglio il significato di alcuni provvedimenti – peraltro ancora in discussione – come il testo di riforma dell’ordinamento penitenziario e chiedersi perché qualsiasi aspetto riguardante la vita dei detenuti scateni sempre il peggio in tanta parte della politica e dell’opinione pubblica. Proposte indirizzate a rendere dignitosa la vita, già senza libertà, diventano immediatamente nel discorso pubblico provvedimenti svuota-carceri, strade piene di delinquenti; ladri e assassini in libera uscita, la sicurezza dei cittadini a rischio, e il solito florilegio di assurdità. Inutile spiegare, solo per fare un esempio, con studi attendibili alla mano, come il miglioramento della vita detentiva comporti il calo, meglio sarebbe dire il crollo, della recidiva dal 60 al 19%, scendendo addirittura all’1% per chi lavora. Insistere sull’idea di misure alternative alla carcerazione, privilegiando il percorso rieducativo e riabilitativo, fa subito gridare allo scandalo. A ben vedere, invece, si tratta di scelte complesse che per intanto escludono chi ha commesso delitti di mafia e terrorismo. Sarà sempre la magistratura di sorveglianza a stabilire caso per caso chi può eventualmente accedere alle pene alternative. Potrebbe forse aiutare la lettura di un bel libro di Gherardo Colombo laddove dice: “Continuavo a pensare che il carcere fosse utile; ma piano piano ho conosciuto meglio la sua realtà e i suoi effetti. Se il carcere non è una soluzione efficace, ci si arriva a chiedere: somministrando condanne, sto davvero esercitando giustizia?”.

Forse in molti ricorderanno la legge che porta il nome del nostro Presidente emerito Carlo Smuraglia, legge 22 giugno 2000, n° 193 “Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti”, meglio conosciuta come “legge Smuraglia”, che già alla fine degli anni 90 poneva uno sguardo diverso sul mondo carcerario. Come dicevamo all’inizio sono questioni più grandi di noi. Ecco perché, allora, realizzare un progetto in carcere sulla Costituzione nel suo 70° anniversario dall’entrata in vigore e perché allargare la visione sulla Resistenza e la lotta di Liberazione.

Ne abbiamo parlato su Patria del 22 febbraio con “Resistenza e Sopravvivenza”. Nella Casa circondariale di Catanzaro si è tenuto il primo corso a livello nazionale di Sociologia della sopravvivenza. Vi è stato un ottimo riscontro da parte dei detenuti coinvolti e l’apprezzamento della dirigenza dell’Istituto. Se si vuole dare un senso profondo ad ogni singolo articolo della Carta costituzionale non bisogna dimenticarne nessuno. A partire dall’art. 27, Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, strettamente legato all’art. 13 e poi all’art. 3, col suo famoso comma sulla rimozione degli ostacoli per rendere effettiva l’uguaglianza dei cittadini.

Da http://www.youreporter.it/foto_ La_Casa_circondariale_di_Catanzaro_intitolata_a_Ugo_Caridi

Ci pare dunque davvero necessario prendere le distanze da ogni concezione punitiva. Dai pensieri di quanti si sentono sollevati nel vedere il male rinchiuso in carcere, senza porsi minimamente il problema di quante vite si potrebbero salvare se non si agitasse come una clava lo spirito vendicativo delle pene. Si deve, in buona sostanza, secondo noi, riconoscere che i luoghi di detenzione ci appartengono. Stanno nelle città alla pari con tutto il resto. Bisogna prenderne atto. Questo ci dice la Costituzione, e agire di conseguenza nel migliore dei modi. Per una maggiore comprensione delle finalità di quanto si potrà fare col progetto richiamato, si rimanda al documento stipulato tra la Casa circondariale “Ugo Caridi” e il Comitato provinciale dell’Anpi di Catanzaro. Vogliamo solo richiamare la particolarità di alcune scelte, come la lettura delle “Lettere dei condannati a morte nella Resistenza italiana” unitamente alla conoscenza del Campo di internamento di Ferramonti. Letture e studio di periodi storici finalizzati alla conoscenza della deportazione, delle leggi razziali volute dal regime fascista. Insomma è un tentativo di far entrare la Costituzione e la Storia per la porta principale di un carcere. Far rivivere – per quanto possibile – la tensione dei partigiani e poi dei Padri costituenti nella stesura della Carta costituzionale è un modo per avvicinare persone che hanno sbagliato a valori forti e idealità smarrite ancora recuperabili nella speranza di una nuova vita. Per questo ci sentiamo davvero onorati per il contributo che riusciremo a portare come Anpi.

Mario Vallone, Presidente Comitato provinciale Anpi Catanzaro


Ed ecco il progetto “Studiare la Costituzione in carcere, 2018-70° anniversario dall’entrata in vigore della Costituzione italiana” della Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro in partenariato con l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – Comitato provinciale di Catanzaro:

  1. Premessa

Il carcere italiano nel 2018 è un carcere in cui non possono essere detenuti oppositori politici; è un carcere in cui non possono essere commessi abusi o torture; è un carcere in cui le persone che stanno scontando una pena in seguito ad una sentenza sono aiutate ad intraprendere un percorso rieducativo, attraverso il completamento degli studi, la formazione professionale ed il reinserimento lavorativo.

Questo modo di concepire l’istituzione detentiva, che è l’esatto contrario di quanto accadeva nelle prigioni del regime fascista, non è nato dal nulla: è l’idea di carcere come servizio sociale espressa nella nostra Costituzione, in cui viene stabilito che anche in condizioni di restrizione della libertà personale, il rispetto della dignità umana resta, sempre e comunque, il valore supremo dell’ordinamento italiano.

Conoscere la Costituzione vuol dire non solo conoscere i propri diritti, ma anche capire come questi diritti sono stati conquistati.

Per questo motivo l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Comitato provinciale di Catanzaro, e la Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro hanno deciso di intraprendere un percorso di approfondimento del testo costituzionale con riferimento agli art. 2, 3 e 27 della Costituzione.

  1. Struttura del progetto: studio, elaborati scritti, raccolta testimonianze, visione materiale cinematografico.

Per ognuno di questi tre articoli si prevede un’attività preliminare di studio da parte dei detenuti, in collaborazione con gli educatori e gli insegnanti.

Gli articoli saranno spiegati con riferimento ai lavoratori preparatori che ne hanno determinato il contenuto e con riferimento alle leggi ordinarie che oggi ne costituiscono l’attuazione.

Si suggeriscono anche le letture delle lettere dei partigiani detenuti durante il regime ed in particolari le lettere dei condannati a morte durante la Resistenza italiana (si allega selezione).

I detenuti produrranno poi dei brevi elaborati scritti in cui evidenzieranno:

  1. a) come hanno percepito nella loro esperienza di vita l’attuazione o la non- attuazione degli articoli della Costituzione oggetto di studio;
  2. b) l’eventuale conoscenza di persone a loro vicine (genitori, nonni, zii, ecc.) che hanno vissuto l’esperienza della dittatura ed il passaggio alla democrazia e quanto questa esperienza ha inciso sul loro vissuto;
  3. c) come hanno percepito l’attuazione degli articoli 2, 3 e 27 durante la loro esperienza detentiva.

I testi saranno raccolti ai fini di un’eventuale futura pubblicazione.

Dovrà essere studiata anche l’esperienza del campo di concentramento calabrese di Ferramonti di Tarsia, in cui venne attuata una forma non violenta di dissenso al regime.

Qui infatti nessun detenuto venne ucciso, ma tutti furono trattati in modo dignitoso ed ebbero la possibilità di studiare, coltivare le loro abilità artistiche e le loro conoscenze professionali.

A questo proposito sarebbe opportuna la visione del film “Diciottomila giorni fa”, di Gabriella Gabrielli, tratto dal libro di Carlo Spartaco Capogreco, nonché la testimonianza del funzionario in servizio presso questo Istituto, dr.ssa Anna Panebianco, nipote di un militare in servizio presso il campo di Tarsia, custode dei racconti e dei ricordi del nonno, ma anche di molti oggetti che testimoniano quel caso unico – in Italia ed in Europa – di campo di concentramento in cui gli ebrei trovarono la salvezza invece della morte.

Completati questi elaborati si terranno tre incontri con i referenti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, uno su ognuno degli articoli della Costituzione indicati, durante i quali studiosi e storici della Resistenza e partigiani che hanno lottato per la nostra democrazia, racconteranno le loro esperienze, la lotta da cui è scaturito l’ottenimento di quei diritti che oggi spesso vengono dati per scontati e le loro esperienze di detenzione durante il regime fascista.

Si ricorda che nel dicembre scorso il carcere cittadino di Ferrara, in cui erano stati detenuti anche molti oppositori politici ed ebrei durante le deportazioni nazifasciste, è diventato il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah, e quindi un edificio nato per essere una zona di reclusione è diventato oggi uno spazio inclusivo, in cui sono conservate anche testimonianze della presenza degli ebrei in Calabria. Anche questo cambiamento potrebbe essere uno spunto di riflessione.

  1. Linee guida dello studio e del dibattito sull’art. 2 della Costituzione italiana con riferimenti all’art. 13.

Art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Riflessioni da sollecitare, oltre ovviamente a tutte le altre riflessioni che docenti ed educatori riterranno inerenti:

1) Ritieni che nella tua esperienza di vita i tuoi diritti inviolabili siano stati sempre rispettati e ritieni di aver sempre rispettato quelli degli altri, anche in contesti sociali come la famiglia, la scuola, il lavoro, eventuali associazioni? Ritieni che nei tuoi confronti siano stati adempiuti doveri di solidarietà politica economica e sociale e ritieni di averli adempiuti a tua volta?

2) Qualcuno nella tua famiglia ha vissuto l’esperienza della dittatura e della guerra? È stato arruolato, o è stato tra gli oppositori al regime?

3) Il carcere di Catanzaro ha messo al primo posto i progetti di studio e di lavoro; eventuali reclami dei detenuti vengono prontamente riscontrati, al fine di tutelare i loro diritti, contenere le tensioni ed assicurare la funzione sociale di questo Istituto. Alla luce della tua esperienza racconta di un aspetto che hai particolarmente apprezzato e di un aspetto, nell’organizzazione delle attività formative e dei percorsi rieducativi, che invece avresti voluto fosse diverso.

Dopo avere esaminato l’art. 2 va letto e commentato l’art. 13 della Costituzione.

Art. 13: “La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.

Riflessioni da sollecitare.

1) Nell’Italia di oggi la polizia non può mettere in carcere nessuno senza un provvedimento del giudice. In casi di necessità e urgenza la libertà può essere limitata per pochissimo tempo, in attesa della convalida del magistrato. Durante il fascismo chiunque poteva essere arrestato dalla polizia sulla base di un semplice sospetto di opposizione al regime, senza limiti di tempo, e poteva essere sottoposto a tortura.

Valutazioni e commenti.

  1. Linee guida dello studio e del dibattito sull’art. 3 della Costituzione italiana

Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Dopo aver spiegato la differenza tra il principio di eguaglianza formale, e cioè l’enunciazione dello stesso al I comma, e il principio di eguaglianza sostanziale, e cioè l’impegno dello Stato italiano, evidenziato al II comma, ad intervenire laddove i contesti sociali pregiudichino di fatto le condizioni di libertà ed eguaglianza, e quindi il pieno sviluppo della persona umana, dovrebbero essere sollecitate le seguenti riflessioni, oltre a tutte le altre che docenti ed educatori riterranno inerenti:

1) Durante la tua esperienza di vita hai avuto in qualche occasione la sensazione di essere discriminato per motivi di genere, razziali, linguistici, religiosi, o ritieni che in passato persone della tua famiglia siano state vittime di discriminazioni, anche prima dell’entrata in vigore della Costituzione?

2) Ritieni che nella tua esperienza di vita ci siano stati dei limiti, dettati dalle condizioni economiche o sociali della famiglia di origine, che non siano stati rimossi dallo Stato e ritieni che ciò abbia pregiudicato la tua condotta di vita? Ci sono state invece occasioni in cui invece puoi riconoscere che lo Stato è intervenuto per cambiare una situazione di diseguaglianza (per esempio con l’asilo gratuito per i bambini di famiglie non abbienti, con un sussidio per agevolare la frequenza della scuola o altro)?

3) Il carcere di Catanzaro ha messo al primo posto i progetti di studio e di lavoro. Alla luce della tua esperienza, descrivi un aspetto del percorso rieducativo che abbia contribuito a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di te come persona (lo studio, la formazione professionale o altro) e descrivi invece un aspetto di questo percorso che invece avresti voluto fosse diverso per motivi di equità sociale.

  1. Linee guida dello studio e del dibattito sull’art. 27 della Costituzione italiana.

Art. 27: “La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte”.

Dopo aver letto e commentato questo articolo, evidenziando magari il richiamo all’art. 13, IV comma “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”, è opportuno sollecitare le seguenti riflessioni, oltre ovviamente a tutte le altre riflessioni che docenti ed educatori riterranno inerenti:

1) In Italia nessuna persona può essere punita per un reato commesso da un’altra persona, si è comunque considerati innocenti fino a condanna definitiva e la pena deve tendere a un percorso rieducativo, attraverso l’istruzione, la formazione professionale ed il reinserimento lavorativo. Durante la dittatura fascista la polizia poteva mettere in carcere persone senza necessità di mandati di arresto da parte del giudice, anche se erano semplici familiari di oppositori politici, cioè parenti (per esempio, mogli), di persone che a loro volta non avevano commesso alcun reato. Queste stesse persone in carcere subivano ogni forma di abusi. In molti Paesi del mondo dove non c’è democrazia, a distanza di 70 anni, la situazione è esattamente identica a quella dell’Italia fascista.

Alla luce della tua esperienza ritieni che un carcere che dia la possibilità di studiare e di lavorare, ed in cui la persona umana in quanto tale sia rispettata, adempia alla sua funzione di servizio sociale come concepita dalla Costituzione?

2) Durante la dittatura, qualche persona della tua famiglia o di tua conoscenza è stata condannata a morte per essersi opposta al regime fascista?

3) Leggendo le lettere dei condannati a morte della Resistenza, che non avevano posto in essere alcun reato, ma avevano solo contestato la mancanza di libertà del regime fascista, è chiaro che la pena di morte nel nostro Stato in passato è stata subita da molte persone innocenti. Da ottant’anni in Italia è stata formalmente abolita: non è possibile condannare a morte un uomo, nemmeno se questo ha ucciso un altro uomo, fermo restando che chi ha privato della vita volontariamente un’altra persona deve scontare pene molto lunghe ed intraprendere nel corso delle stesse un altrettanto lungo percorso rieducativo.

La pena di morte non esiste solo nei regimi dittatoriali: è contemplata anche in altri Paesi democratici, come gli Stati Uniti.

Alla luce della tua esperienza ritieni che il divieto della pena di morte, che si concretizza comunque nella “possibilità di avere un’altra possibilità” conquistato dai partigiani e poi formalizzato dall’Assemblea costituente rende il nostro Paese migliore di altre democrazie?

Dalle riflessioni scaturiranno le domande che i detenuti prepareranno per i tre giorni di dibattito con i membri dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, i quali appunto racconteranno la loro esperienza nelle prigioni del regime, dove nessuno dei diritti enunciati nella Costituzione era né previsto, né lontanamente immaginato.

Le conclusioni dovrebbero portare a un confronto tra le due diverse forme di limitazione della libertà personale: quella dittatoriale, volta a reprimere l’individuo come persona, e quella del carcere di uno stato democratico, volta a far riflettere l’individuo come persona, per consentire l’acquisizione da parte sua di una consapevolezza responsabile delle sue azioni, dei suoi errori e soprattutto delle sue possibilità di riscatto.