“Non dovevamo partire così”, scrisse il generale Giacomo Zanussi, che s’era imbarcato col Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Mario Roatta. “E soprattutto, noi militari non dovevamo farlo, mentre i nostri compagni, i nostri soldati, sono impegnati in una lotta furibonda. Come possiamo averla disertata, dopo averla scatenata?”. Zanussi, la notte della fuga, sul ponte della Baionetta, sta conversando con Roatta (ricordiamo che si tratta dell’autore della Circolare 3C, una sorta di dichiarazione di guerra alle popolazioni civili slovene, praticata a partire dal 1942 con rappresaglie, incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie, internamenti nei campi di concentramento) quando questi gli pone una domanda: “Ho fatto bene, vero, a dire al re di partire? “Sì, il re doveva partire: non a quel modo, perché quel modo equivale a fuggire. Comunque d’accordo: il re doveva partire. È lei, piuttosto eccellenza, che non lo doveva fare”. “E perché?”. “Perché lei è il capo di un esercito e il suo esercito sta combattendo”.
Questo breve dialogo, riportato da Loris Viari, del direttivo dell’Anpi Genova Sestri Ponente, e coordinatore dell’evento dedicato alla Resistenza dei militari, rende l’idea del clima creatosi subito dopo l’annuncio di Badoglio dell’armistizio e la fuga notturna del re da Roma.

Le forze armate
L’Esercito, che in molte zone di guerra era ancora al fianco della Wermacht, a seguito dell’armistizio è interdetto e lasciato senza chiare direttive sul da farsi. Uniche indicazioni, le oscure parole lette da Badoglio alla radio:. «Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».
Soltanto alle 0:50, pressato da molte richieste di istruzioni, il Capo di Stato Maggiore Roatta, fa trasmettere il fonogramma: “Ad atti di forza reagire con atti di forza”.
Il 9 settembre i giornali pubblicano la notizia dell’armistizio, mentre il re Vittorio Emauele III e gran parte della corte fugge a Brindisi, Roma è abbandonata senza difesa alcuna. Saranno civili e un complesso di forze militari di composizione e qualità eterogenea a tentarne la difesa nella Battaglia di Porta San Paolo.
Ben lo ha ricalcato lo storico Alessio Parisi, direttore del Museo della Resistenza G.B. Lazagna: “Dopo l’8 settembre 1943, oltre quattro milioni tra soldati, marinai e aviatori, in patria e all’estero, restarono privi di direttive e si trovarono a dover fronteggiare i tedeschi che, già da tempo, allarmati dall’ambiguità del governo Badoglio, avevano elaborato un piano per il disarmo e la cattura dei soldati italiani, considerati traditori”.
Nell’indecisione del momento, nascono i primi nuclei di Resistenza, dai quali si sarebbero sviluppate, soprattutto al Nord, molte delle prime bande partigiane. All’estero, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania, i soldati delle Forze Armate italiane sono costretti a scegliere tra il combattere per l’ex alleato o contro di esso, pagando il rifiuto di schierarsi con l’esercito germanico con un alto tributo di sangue, versato non solo sui campi di battaglia, ma anche dietro il filo spinato dei lager. È la sorte riservata ai 600mila Imi (internati militari italiani) di cui in oltre 40mila non faranno più ritorno: ufficiali, sottufficiali e soldati moriranno per stenti, maltrattamenti e malattie.
Sono considerati “internati militari”, e non prigionieri di guerra, affinché non possano invocare il trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra.
Solo con l’istituzione del governo brindisino, si sarebbe organizzato e armato un piccolo esercito (reso poi cobelligerante) direttamente coinvolto nella risalita degli Alleati lungo la penisola, contribuendo al riscatto delle istituzioni e delle Forze Armate. Nel marzo 1944 si costituisce il Corpo Italiano di Liberazione, grande unità militare dell’Esercito, sulla scia del Primo Raggruppamento Motorizzato, costituito dopo l’armistizio nel Regno del Sud, è impiegato al fianco degli Alleati fino al settembre 1944. Da quella data la sua azione è continuata dai Gruppi di Combattimento e dalle divisioni ausiliarie. Nel CIL dopo la Liberazione delle Marche, con mesi di lotta nelle brigate di montagna, si arruolerà il partigiano Carlo Smuraglia, in seguito avvocato, docente universitario, senatore, presidente nazionale Anpi (2011-2017) e Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica.
Il 19 giugno 1944 nasce ufficialmente la struttura militare di coordinamento generale del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale. È il CVL, Corpo Volontari della Libertà, che unificherà sotto il suo comando tutte le formazioni partigiane.

A testa alta… da Porta San Paolo a Mignano Ponte Lungo, i 98 giorni che portarono alla riscossa
L’Esercito combatté duramente nei dintorni di Roma sbarrando le strade ai tedeschi, a cui oppose una strenua resistenza, insieme ai cittadini coraggiosi che si unirono alla lotta. Il drammatico bilancio della difesa di Roma fu di oltre 500 militari e 200 civili caduti e circa 800 feriti.
In tutto il territorio italiano l’Esercito contribuì alla Resistenza e, per quanto la situazione fuori confine non fosse facile, i militari combatterono subendo cruente rappresaglie a Porto Edda, Spalato, Ragusa, Coo. Quelli che riuscirono a sfuggire alla cattura, si unirono ai partigiani locali. In Montenegro il 2 dicembre 1943 fu ufficializzata la costituzione della Divisione italiana partigiana Garibaldi, formata da 4 Brigate, di 1.300 uomini ciascuna e da alcuni battaglioni di lavoratori. In Dalmazia, Albania e Grecia, i militari reduci delle Divisioni italiane, collaborarorono con i gruppi partigiani locali.

Alle azioni dell’Esercito per difendere Roma e tutti gli altri territori occupati, a 80 anni di stanza da quegli eventi, è stato dedicato il CalendEsercito, “A testa alta”, un calendario storico, che, come ha sottolineato il colonnello dell’Esercito Giovanni Boggeri, nel ripercorrere alcuni significativi passaggi dell’azione dell’Esercito Italiano, “racchiude il senso del giuramento dei soldati che combatterono dando un contributo fondamentale alla lotta partigiana per la liberazione della patria, non solo con le armi, ma anche attraverso il servizio di informazioni militari, azioni informative di collegamento in appoggio alle azioni partigiane nel territorio occupato dal nemico. Con le sue valorose azioni, costate anche molte vite, l’Esercito conquistò la stima e la fiducia degli Alleati”.

I caduti militari della provincia di Genova dopo l’armistizio
Ettore Matarese, sottotenente, fu la prima vittima dopo l’Armistizio, a Sestri Ponente (Ge). Era nato a Torremaggiore, in provincia di Foggia, l’8 settembre 1919 e, mentre stava disponendo la difesa del cantiere navale di Sestri Ponente, fu falciato dai tedeschi, che intendevano occuparlo. Era il 9 settembre 1943, Ettore aveva solo 24 anni! Nel 2001 la Circoscrizione VI Medio Ponente e l’Anpi di Sestri Ponente gli hanno conferito la medaglia d’argento al valor militare.
Il capitano di corvetta della Regia Marina Domenico Baffigo, nato a Cornigliano Ligure (Ge), il 12 agosto 1912, fu trucidato a Castellammare di Stabia (NA) dai tedeschi, l’11 settembre 1943. Decorato con medaglia d’argento e di bronzo al valor militare, nonché della croce di guerra, gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
A Manesseno (GE), 11 militari morirono in uno scontro a fuoco contro i tedeschi, prima della resa dei superstiti. A Pontedecimo (GE), un carabiniere di 42 anni e un fante rimasto sconosciuto, caddero al loro posto di guardia al viadotto ferroviario. A Sturla (Ge) cadde sotto il fuoco nemico, un fante di guardia alla porta carraia della caserma. Riprendendo Loris Viari: “tutti servitori dello Stato, di certo migliori di coloro che avrebbero dovuto difenderlo e che invece, preferirono darsi alla fuga”.
Il ruolo della polizia
Le forze di polizia furono parte attiva durante gli scontri con i tedeschi. A Roma tra l’8 e il 10 settembre, e nella sollevazione popolare delle Quattro giornate di Napoli. La consegna di documenti falsi, armi, munizioni, il sabotaggio del servizio informativo richiesto dai nazifascisti, volutamente evasivo e inefficiente, furono attività preziose per la Resistenza, ma molto pericolose, che comportarono spesso arresti, torture, uccisioni, per l’impegno a fianco dei partigiani.
I carabinieri
Così il capitano Carlo Alberto Sganzerla, comandante della Compagnia Carabinieri Genova-Sampierdarena: “Quando a luglio del 1943 venne dato l’ordine di arrestare Mussolini, capo del governo, partì da piazza Venezia per arrivare a un tenente dei carabinieri. Venne scelta l’Arma perché rispondeva direttamente a Casa Savoia e non al fascismo, che mal digeriva la questione. La presenza delle stazioni di carabinieri lungo il territorio italiano rappresentò un grosso problema per i tedeschi. Mentre l’esercito era affiancato dai tedeschi, non era lo stesso per i carabinieri, che rappresentavano uno scoglio, tanto che a Roma si decise la deportazione di oltre 2.500 carabinieri. L’8 settembre 1943, anche il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri venne trasferito in Puglia, a Bari, da dove tra grandi difficoltà, iniziò a diramare gli ordini alle stazioni di tutto il territorio nazionale. Sarebbe stato riportato a Roma soltanto nel luglio 1944.
Va ricordato, tra gli altri, un episodio di cui si parla raramente a proposito degli ufficiali dell’Accademia militare di Modena, i quali seppur con scarse risorse di armi e munizioni a disposizione, presero parte alla Resistenza, dal 9 settembre 1943, immediatemente dopo l’arrivo dei tedeschi. I sopravvissuti avrebbero assunto nella Repubblica incarichi di comando, traghettendoci alle Forze Armate di oggi. L’Arma dei carabinieri ha contribuito alla Liberazione con 2.735 militari caduti e 6.521 feriti: numerosi i riconoscimenti tra medaglie al valor militare, d’oro (32), d’argento (122) e di bronzo (208), nonché croci di guerra (354) al valor militare”.

Vincenzo Calisto, presidente del gruppo Anmi, Associazione nazionale Marinai d’Italia, di Cicagna e Valfontanabuona, nel rendere onore a tutti i marinai liguri caduti, imbarcati sia sulle navi della Marina Militare che Mercantile, si è soffermato sulla figura del capitano di corvetta Domenico Baffigo, caduto a 31 anni, mentre nel napoletano sovrintendeva all’allestimento dell’incrociatore Giulio Germanico. “Massima autorità militare presente nel cantiere navale, insieme a pochi ufficiali e sottufficiali, era riuscito a tenere testa alle truppe tedesche, senza ricevere risposta, né aiuto, dai comandi di altri presidi della Marina. Aveva fronteggiato con un’ardua lotta gli invasori, ma era stato attratto con l’inganno a parlamentare, per essere invece catturato e barbaramente trucidato dai tedeschi, che ne dispersero persino il cadavere”.

Massimo Bisca, presidente provinciale Anpi Genova, chiudendo i lavori ha posto l’accento su come: “nel nostro Paese si sia fatto un enorme errore nel non considerare la Resistenza come un’azione corale, che come Italiani, ci ha consentito di scrivere la nostra Costituzione. Quando ogni anno andiamo a fare le commemorazioni al Forte di San Martino, mi colpisce sempre la figura del tenente dei carabinieri Giuseppe Avezzano Comes, che il 13 gennaio 1944 si rifiutò, insieme ai Carabinieri del suo plotone (che spararono in aria), di fucilare otto partigiani, su ordine delle SS. L’eccidio venne comunque perpetrato dai nazisti, ma il tenente riuscì a tornare in caserma e a distruggere la nota di servizio con i nomi dei carabinieri, per evitare rappresaglie nei loro confronti. Avezzano Comes tenne alti i valori e gli ideali dell’Arma, anche come vero cittadino italiano, che rispettò un codice d’onore e per questo, fu incarcerato e torturato”.

Continua Bisca: “I carabinieri, in particolar modo nei posti più sperduti, erano dei punti di riferimento per la popolazione, che, oltre a partecipare alla Resistenza in diverse forme, spesso si sacrificavano per salvare i civili. È in corso il processo di beatificazione e canonizzazione di Albino Badinelli, carabiniere ucciso il 2 settembre 1944 (24 anni), a Santo Stefano d’Aveto, per salvare un gruppo di venti civili, che i nazifascisti minacciavano di trucidare per rappresaglia. Di molti episodi, come ad esempio., le migliaia di arrestati di Cefalonia, in trasferimento dall’Egeo all’Italia, imbarcati e morti affogati, non si racconta: perché? Tante sarebbero le storie da raccontare, di cui invece non si parla: la specificità italiana di coloro che hanno dato un contributo alla Liberazione, che hanno combattuto dalla parte giusta, va evidenziata, tenuta viva. Ho avuto la fortuna – ha proseguito Bisca – di conoscere Paolo Castagnino “Saetta” (originario di Chiavari, GE), che prima prese parte alla Resistenza greca (l’8 settembre 1943 si trovava ad Atene), quindi nel 1944, comandò prima la Brigata Garibaldi “Coduri”, poi la Brigata Garibaldina “Longhi”. Alla fine della guerra fu decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, militante del Pci e vicepresidente dell’Anpi Genova. È necessario riscoprire e valorizzare un importante periodo storico, che è stato la premessa all’unitarietà del nostro Paese e alla nostra formazione di Italiani”.

Floriana Mastandrea per la parte testuale e Loris Viari per i contributi video