Roberto Carignani, “Le Quattro Giornate di Napoli”, dettaglio

C’è ancora chi gaglioffamente afferma che la disperata e spontanea reazione popolare delle Quattro Giornate di Napoli dal 27 settembre al 30 settembre 1943 sarebbe stata una farsa perché “gli americani erano alle porte e le belve naziste ormai sarebbero state inoffensive”

 

Il mattino del 30 settembre 1943 veniva ritrovato al centro di Giugliano (allora paese eminentemente agricolo a una decina di chilometri da Napoli) il corpo senza vita di Pietro Wattermann, un militare tirolese a seguito dell’esercito tedesco, addetto all’approvvigionamento e alle confische. Il soldato era stato ucciso con un colpo di pistola alla testa e privato dei documenti per paura della reazione dei nazisti. Gli autori dell’agguato furono indicati in una guardia municipale (l’unico autorizzato dagli occupanti a portare la pistola d’ordinanza, e aveva dimestichezza con il soldato perché questi lo “precettava” per accompagnarlo armato nelle requisizioni di generi alimentari e bestiame) e in altre quattro o cinque persone che poi si scoprirono aver ricevuto via radio da Brindisi, dai comandi militari di Badoglio, l’ordine di contrastare almeno esemplarmente i tedeschi che stavano scappando a seguito dello sbarco alleato a Salerno e compivano razzie, distruzioni, omicidi e deportazioni in tutta la provincia di Napoli.

Napoli, ultima vendetta dei nazisti in ritirata. Mine a scoppio ritardato esplodono davanti al Palazzo delle Poste

Il soldato fu attirato in un agguato e dopo averlo fatto ubriacare fu rincorso e poi freddato. Il corpo venne spostato altrove dagli abitanti che ebbero paura della ritorsioni naziste.

La ricostruzione postuma degli eventi che decise di minimizzare questo evento paventò il movente di un improbabile agguato delinquenziale a scopo di rapina (che sarebbe stato tra l’altro perpetrato inspiegabilmente da un agente di polizia municipale e non da altri ben più “coperti” dall’anonimato).

Questa versione antistorica e incredibile e incoerente, contraria a ogni norma di indagine criminologica o criminalistica si è protratta fino a oggi a causa del fatto che gli autori si erano immediatamente dileguati nella concitazione degli eventi avendo (fondata invero) paura di ritorsioni e vendette dei familiari delle vittime della strage da essi improvvidamente provocata, pur se non prevista e comunque non voluta, e per la permanenza, su complicità degli Alleati, ai posti di comando e in particolare ai comandi di polizia, degli stessi soggetti di prima della guerra.

Quando si svolsero questi eventi, gli americani erano ormai alle porte e si avvicinavano e si preannunciavano preceduti da cannoneggiamenti e bombardamenti aerei e via terra che fecero decine e decine di vittime civili.

Giugliano, la chiesa dell’Annunziata domina la piazza dove per rappresaglia gli occupanti nazifascisti mitragliarono 13 persone, fra cui un ragazzo di 16 anni e un disabile

La reazione nazifascista fu immediata e bestiale. I tedeschi, già braccati, saputo dell’agguato al soldato, attraversarono il corso principale di Giugliano provenienti dalle “Colonne” di Melito, dove si trovava il loro comando territoriale, prossimo all’attuale Rione Scampia, sulla via Appia verso Roma, con le camionette armate di tutto punto, sparando all’impazzata contro tutto e tutti e in particolare contro i maschi di ogni età. Furono tra l’altro radunati in piazza Annunziata 13 inermi cittadini, tra cui un ragazzo di sedici anni (con i calzoni corti e quindi visibilmente minorenne) e uno psicolabile.

Dopo una estenuante attesa piangendo e implorando con le mani sulla testa, sotto il tiro di una mitragliatrice piazzata su una camionetta e attorniata da file di soldati con i mitra spianati, alle tre del pomeriggio tutti furono mitragliati senza pietà e nessun avviso mentre i familiari, che credevano tuttalpiù li stessero deportando in Germania, trattenuti da due cordoni di tedeschi urlavano per la disperazione e l’angoscia.

Giugliano, lapide in memoria dei 13 martiri di piazza dell’Annunziata

Una prostituita, detta da tutti con il “contronome” di “Rusina Cacciuttona”, epiteto che richiamava le cagne in calore, affibbiatole pare fin da piccola per i comportamenti da “cacciuttella”, ipocritamente criticati in pubblico ma “tollerati” in privato dalla società patriarcale e maschilista, confusa tra la folla per chiedere la liberazione dei sequestrati che si credeva essere destinati ai campi di lavoro in Germania, riuscì impetuosamente, istintivamente ed eroicamente a divincolarsi dal pigia-pigia dei familiari agghiacciati e dai mitra spianati per tentare almeno di prestare soccorso e dare almeno un’ultima carezza ai moribondi e urlare la propria pena e disperazione per gli amici, i parenti, i concittadini e, (perché no?) abituali clienti, massacrati da macellai senza onore.

Napoli, 1 ottobre 1943, l’arrivo degli Alleati

Lo stesso coraggio, Rosina lo dimostrò quando, si racconta, salvò varie giovani dalle “attenzioni” dei militari alleati malintenzionati delle truppe di occupazione.

Il cognome di questa donna non è stato possibile attingerlo dai racconti diretti e tramandati dei testimoni perché pare il cognome sia ancora molto comune e potrebbe ingenerare imbarazzo ancora dopo ottant’anni. Del resto, fino a poco tempo fa a Giugliano era invalso l’uso dei “soprannomi” che spesso sostituiscono ancora i nomi di famiglia, di cui sono antropologicamente antesignani. Lo stesso autore dell’attentato al soldato tedesco, pur noto a tutti, è ricordato come “Cutenella á guardia”, non con il nome e cognome, e ciò lo ha anche “protetto” dall’essere riconosciuto e riconoscibile.

Eppure eroici giovani giuglianesi in quegli stessi giorni versarono il loro sangue nella Resistenza contro il nazifascismo. Sulle montagne romagnole cadde vittima di una imboscata dei repubblichini Biagio Riccio, aggregato a una formazione partigiana. In Emilia fu assassinato dai tedeschi l’aviere Mario Pirozzi che non aveva voluto obbedire all’ordine illegale di consegnare l’aeroporto e le armi, nonostante i suoi superiori lo avessero lasciato solo abbandonando le armi.

Napoli 2 ottobre 1943. Corteo funebre per i Caduti delle Quattro Giornate. Si piange sulla sepoltura provvisoria (foto ICSR)

A piazza Annunziata però, purtroppo, non ci fu nulla da fare e i nazisti continuarono a urlare ordini gutturali orribili e agghiaccianti e a sparare in aria e sulle facciate dei fabbricati per terrorizzare e ammutolire i familiari delle vittime e chiunque potesse aver avuto intenzione di prestare almeno conforto religioso ai tredici Martiri che pagarono innocenti le conseguenze, certamente improvvide ma causate dalle necessità belliche, di qualcuno che aveva voluto considerare le belve come uomini.

I cadaveri furono lasciati sul selciato e solo dopo mezz’ora il prete che aveva dovuto chiudersi in chiesa poté uscire per benedire i poveri mitragliati.

Una celebre fotografia di Robert Capa. Napoli 20 ottobre 1943: madri piangenti al funerale di un soldato italiano

Ma le atrocità proseguirono. Uno dei mitragliati era rimasto ancora vivo sotto i cadaveri dei compagni di sventura e pur gravemente ferito era riuscito di notte a trascinarsi nel vicino ospedale AGP. Il giorno dopo, il capitano tedesco, il boia Otto Gall, ordinò la conta dei cadaveri e intimò le ricerche minacciando di fare un’altra strage. Il povero Vincenzo Guarino, contadino, fu così riportato nel mucchio e gli furono strappate le bende apposte dalle pietose suore ospedaliere e fu lasciato morire dissanguato sotto una pioggia incessante senza nemmeno il pure, a tal punto altrettanto “pietoso colpo di grazia”.

I nazisti non calmarono la ferocia e nei giorni successivi compirono altri assassinii a sangue freddo di uomini solo sospettati di essere disertori o renitenti al lavoro obbligatorio. Molti furono i deportati rastrellati dalle campagne: Un conto preciso è tuttora impossibile. Poche decine tornarono e pochi si ripresero dalle torture e privazioni.

Nessuno dimenticò mai le urla e le percosse bestiali gratuite inferte dagli aguzzini e gli orrori di cui furono testimoni anche nei campi di sterminio di mezza Europa.

Nessuno aveva voglia di narrare e ripercorrere con il ricordo quegli orrori e solo da pochi anni chi come me ha avuto la fortuna di raccogliere le testimonianze di qualcuno tra i pochi superstiti ha potuto avere il segno e la misura di quanto terribile sia accaduto.

Furono in tutto trentasei i bersagli della follia nazista come risposta all’azione contro il soldato tirolese, che, a ben vedere, fu a tutti gli effetti un atto di legittima Resistenza a un occupante straniero e di difesa delle proprietà, dei beni e della vita della popolazione civile.

Eppure solo nell’ottobre 2022 è stata finalmente concessa la Medaglia d’Argento al Merito Civile al gonfalone della Città di Giugliano per l’episodio dei tredici Martiri di piazza Annunziata.

Solo all’alba del 4 ottobre, in un silenzio irreale del paese annichilito, senza neppure le campane a morto, fu possibile seppellire i poveri corpi mitragliati a piazza Annunziata grazie all’intervento del frate marista Pietro Cannone che, insieme a uno spazzino con il suo carretto, trasportò quattro per volta le salme davanti alla porta del locale cimitero.

I nazisti compirono allora un’altra retata di circa tredici persone prelevate dai campi e le condussero davanti al cimitero per fucilarli. Lo scoppio provvidenziale di una granata di artiglieria, sparata dagli Alleati, che finalmente stavano sopraggiungendo e che distrusse il vicino ponte della ferrovia Alifana, fece scappare i tedeschi e buona parte delle vittime designate.

Ma i nazisti riuscirono a trattenere il giovane Felice Pirozzi, che insultarono chiamandolo disertore (era invece un seminarista). Lo uccisero a bruciapelo davanti agli occhi dello zio Raffaele, un contadino, e prima di fuggire spararono anche a lui, rimasto paralizzato e inebetito dal terrore. Finalmente, lo stesso giorno i militari americani irruppero in Giugliano provenienti da via Colonne, sulla via Appia, mentre le orde impazzite e urlanti dei nazisti scappavano verso nord lasciandosi dietro terrore, morti e distruzione.

E nel tragitto di ritirata verso Roma compirono nefandezze bestiali come la strage di Caiazzo.

I napoletani anche a seguito dei fatti di Giugliano si erano ribellati e insorsero alla bestiale barbarie con le eroiche Quattro Giornate.

Negli stessi giorni, il capitano Otto Gall ordinava nella vicina Mugnano la fucilazione dì quattro sacerdoti che si erano recati a parlamentare armati solo dei loro breviari per evitare inutili scie di morti in prossimità dell’arrivo degli Alleati. E altrove fucilavano e deportavano chiunque gli capitasse a tiro. Come gli eroici undici carabinieri a Teverola in prossimità del campo di prigionia di Aversa.

Caravaggio, “Maria Maddalena in estasi”

Rosina rivelò la forza e la sensibilità umana e civile di una “meretrice” e riscattò con il suo gesto di affronto delle bestie senza onore. La sua memoria è rimasta nel ricordo collettivo, pur non riuscendo ad essere “perdonata” dalla abiezione morale. Ricordiamo che anche tra le “comari” e le “bizzoche” fino a qualche anno fa per indicare qualche soggetto che si dimostrava ipocritamente perbenista ma di fatto disonesto si diceva “pó Cacciuttona purtava a’nnummenata”, come “Bocca di Rosa” di De Andrè o la mitica “Belle” di “Via col Vento”. E i “bambini di una volta” che ho avuto il piacere di intervistare, prima che anch’essi come Rosina andassero “dall’altra parte dell’Orizzonte”, ricordavano commossi che fino agli anni Settanta quando Rosina morì, nonostante i rimproveri e le imposizioni dei loro genitori che intimavano di “non avvicinarsi a quella lì” essi facevano il “giro lungo” e Rosina aveva per tutti i bimbi sempre dolci e carezze e parole dolci.

E quando qualcuno le chiedeva del perché avesse affrontato i mitra tedeschi urlando pietà per implorare almeno “cristiana sepoltura” a chi non era neppure suo parente, rispondeva commossa “Erano tutti figli e Mamma”. E non rispondeva più a chi le chiedeva del figlio che si mormorava lei avesse avuto e fosse stato da lei “affidato” con una “cospicua dote” a una coppia del Nord Italia dove nessuno almeno conosceva il nome di “Rusina Cacciuttona”.

Andrea Faiello