(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Attraverso le proprie strutture territoriali e in collegamento con le amministrazioni locali, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha realizzato – assieme allo SPI-CGIL – una serie di progetti tesi a recuperare e valorizzare monumenti, luoghi e ambienti che videro lo svolgersi di momenti decisivi per la costruzione di un mondo di giustizia e libertà nel corso della Seconda guerra mondiale e della lotta di Liberazione dall’occupazione nazifascista del nostro Paese. Si tratta di siti sicuramente non inferiori per importanza a quelli storicamente più conosciuti, visto il sempre crescente interesse per i luoghi della Memoria, testimonianza del sacrificio di tanti – partigiani, militari, civili, donne e uomini – per la libertà e la democrazia. Tali opere poste a perenne ricordo di fatti, vicende e figure simbolo della Resistenza e del Secondo conflitto mondiale rischiavano lo scherno del tempo, dell’incuria e del degrado.

L’iniziativa ha preso il via nel 2019 ed è proseguita con l’approvazione da parte dei competenti organi del Ministero della Difesa per il triennio 2020-22. Al recupero di cippi, lapidi e altri monumenti hanno fatto seguito cerimonie di inaugurazione alle quali hanno presenziato le autorità amministrative e militari del territorio, con la partecipazione di cittadine e cittadini delle comunità coinvolte. La prosecuzione del Progetto “Per la valorizzazione dei luoghi della Resistenza in Italia” è stata approvata anche per l’Esercizio Finanziario 2023 del Contributo alle Associazioni Combattentistiche e Partigiane e proprio in questi giorni ripresentata tra i progetti per il prossimo 2024.

Nel corso del 2022 sono stati realizzati 11 interventi di restauro, in 7 tra città capoluogo e centri più piccoli.

Provaglio Valsabbia (Brescia). Uno dei recuperi che le ANPI hanno realizzato con i contributi 2023 del Progetto ANPI Nazionale “Per la valorizzazione dei luoghi della Resistenza in Italia”. Nella foto, il cippo riqualificato e un momento dell’inaugurazione alla presenza delle istituzioni

In località Cesane, a Provaglio Valsabbia (Brescia) nel 2022 non sono solo stati ricordati – come ogni anno – dieci giovani martiri della Resistenza: il loro coraggio e sacrificio per la libertà sono divenuti più visibili. Perché il cippo che li ricorda è stato restaurato. Era stato posato nel passato proprio nel luogo in cui, il 5 marzo 1945, nove ragazzi della settima Brigata “Matteotti”, tra i 19 e i 25 anni (tra loro un catanese, un belga, una Fiamma Verde) furono catturati e assassinati dopo un calvario di torture dai fascisti del 40° battaglione camicie nere. Morirono Amilcare Baronchelli, Arnoldo Bellini, Angelo Bruno, Luigi Cocca, Teodoro Copponi, Pierre Lanoy, Alfredo Poli, Gaetano Resa e Ferruccio Vignoni, assieme al comandante Domenico Signori, suicida. E tante persone sono tornate a riunirsi a leggere su quel cippo i nomi dei martiri e le parole a loro dedicate. Il merito è stato delle Sezioni ANPI della Valsabbia che, in collaborazione con lo Spi-CGIL, hanno rimesso a nuovo il cippo grazie al contributo del Ministero della Difesa. Alla cerimonia d’inaugurazione erano presenti l’onorevole Gian Antonio Girelli, numerosi Sindaci valsabbini e tantissimi cittadini. (Tratto da “Brescia Oggi” del 7.3.2023)

Verona, in piazza Martiri della Libertà

Sono cinque le “pietre” della memoria partigiana restaurate dall’ANPI Provinciale di Verona, grazie ai fondi della Difesa. In pieno centro cittadino, in Piazza Martiri della Libertà, a pochi passi dal Teatro Romano, nel 20° della Liberazione l’amministrazione comunale pose una targa sulle mura dell’edificio trasformato dai nazifascisti in prigione e luogo di tortura. “Tra molti la cui sorte restò oscura” è ricordato il nome del colonnello degli Alpini Giovanni Fincato, originario del vicentino ma divenuto comandante clandestino della piazza di Verona durante l’occupazione. Non era giovanissimo Fincato (1891-1944) e aveva già combattuto nella Grande guerra, ferito in due combattimenti per i quali fu decorato con MAVM. Subito dopo l’Armistizio, mentre era al comando di un battaglione dislocato in Provenza, riparò sui monti del Piemonte per poi raggiungere il veronese dove iniziò a organizzare gruppi di partigiani. Dopo la nomina da parte del CLN a comandante della piazza e numerose azioni di guerra, un anno dopo, ai primi di settembre del ’44, nel corso di uno scontro armato con il nemico viene catturato e incarcerato. Subisce interrogatori e sevizie per circa un mese, non parla, poi il 6 ottobre dopo 16 ore consecutive di tormenti, Giovanni Fincato muore. Il suo corpo fu gettato nell’Adige dal ponte di Pescantina e mai più ritrovato. 53 anni, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Verona. Un evidente esempio di prima e dopo il recupero in via San Francesco sulle mura della ex caserma “Carlo Ederle” ora sede universitaria

I primi atti di Resistenza avvengono a Verona il 9 settembre 1943. Quando le truppe tedesche entrano in città si trovano a dover combattere nella piazza delle Poste e presso la caserma “Carlo Ederle” dove il colonnello Eugenio Spiazzi, comandante dell’8° reggimento artiglieria “Pasubio” e reduce dalla campagna di Russia, decide di non arrendersi. I colpi dei carri armati tedeschi bersagliano le difese predisposte causando morti e feriti. Dopo una breve tregua, vista la superiorità del nemico e per evitare ulteriori perdite di vite umane, il colonnello si arrende ottenendo l’onore delle armi. La lapide che commemora quegli aspri combattimenti, apposta nel 1973 in occasione del trentennale dall’inizio della Resistenza, si trova in via San Francesco sulle mura della ex caserma, divenuta nel dopoguerra sede dell’università. Tra i Caduti vi sono due artiglieri dell’8° Reggimento, entrambi decorati con Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria: Filippo Calcagno, preso in pieno da una granata, era un siciliano della provincia di Enna, mentre Filippo Mosca è a sua volta colpito a morte da un proiettile dopo aver centrato un carro armato tedesco con la sua mitragliera. Il cippo che li ricorda, inaugurato nel 1983, è posto attualmente presso la ex caserma “Ugo Passalacqua”.

Verona, il cippo dedicato agli artiglieri Calcagno e Mosca era provato dalle inclemenze del tempo

Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, Verona diviene la cittadella del potere nazista in Italia. Comandi militari e civili tedeschi trovano sede in alcune ville della città e dei paesi limitrofi. In quei giorni buona parte della popolazione si adopera per aiutare i militari a evitare la cattura fornendo abiti borghesi e sistemazioni improvvisate. Nell’ultimo scorcio dell’anno, poi, la città diventa la capitale del nuovo fascismo repubblicano. E all’inizio del gennaio ’44 vi si celebra il processo ai membri del Gran Consiglio del fascismo che avevano votato contro Mussolini il 25 luglio. Le condanne a morte vengono eseguite nel poligono di Forte Procolo.

Veneto. Le brigate nere fucilano un partigiano (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Fin dall’autunno 1943 si costituiscono le prime formazioni partigiane, nella parte orientale della provincia. La divisione “Pasubio” compie azioni contro i fascisti, diventando l’autorità di riferimento per la popolazione delle valli. I tedeschi attaccano quindi i paesi della zona, incendiano abitazioni e uccidono civili inermi. Nel 1944 un piccolo nucleo di partigiani della “Garemi” si trasferisce nella zona del Monte Baldo dando vita alla brigata “Avesani”. In città, intanto, i componenti del secondo CLN vengono arrestati e deportati nei lager tedeschi. Il 17 luglio un comando gappista libera dal carcere Giovanni Roveda, esponente della direzione della CGL. Dopo l’arresto dei membri del secondo CLN, se ne forma un terzo, molti componenti del quale sono anch’essi arrestati all’inizio dell’autunno. Uno di loro è il colonnello Fincato.

Verona, il cippo in memoria dei due artiglieri restaurato

In questi mesi tantissimi ebrei subiscono la deportazione e lo sterminio nei lager nazisti. Nella primavera 1945 la Resistenza veronese si prepara all’insurrezione finale, il CLN divide la provincia in tre zone: città, pianura e montagna. Mentre le truppe alleate si avvicinano i tedeschi fanno saltare i ponti e compiono un ultimo eccidio nelle vicinanze di San Martino Buon Albergo. Nel 1993 Verona è insignita di Medaglia d’Oro al Valor Militare, questi alcuni passaggi della motivazione: “Città di millenarie tradizioni risorgimentali… in 20 mesi di lotta partigiana… l’attività del CLN rinvigorì le azioni di guerriglia… uno ad uno i suoi membri, tra luglio e ottobre 1944, vennero catturati, torturati e deportati… Il contributo di sangue, i bombardamenti, le persecuzioni, le distruzioni di interi paesi, sia nella pianura che nelle valli prealpine, non scalfirono ma rafforzarono la lotta della popolazione, degna protagonista del secondo Risorgimento Italiano”. E anche questo non va dimenticato.

I tedeschi occupano il paese di Caprino Veronese già il 9 settembre 1943 e subito dopo nella locale Casa del Fascio (ex Cinema Sociale, ora sede INPS) prende dimora la Guardia Nazionale Repubblicana. Nei pressi del Forte di Naole, invece, si forma la Brigata d’assalto garibaldina “Vittorio Avesani”. Il ’44 è segnato da ripetuti rastrellamenti nazifascisti in varie frazioni, poi dal bombardamento della linea ferroviaria Verona-Caprino. Nel 1945 proseguono i rastrellamenti che causano morti, razzie di generi alimentari e bestiame fino al 25 Aprile quando i partigiani attaccano e mettono in fuga i tedeschi da Caprino, due giorni prima dell’arrivo degli Alleati. Nelle due lapidi del Monumento ai Caduti della località del veronese, oggi restaurate, oltre ai resistenti morti in combattimento della Brigata “Avesani” sono ricordati i soldati deportati in Germania con lo status di Internati Militari Italiani (IMI), privati del trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra riservato ai prigionieri di guerra e dunque senza nessun tipo di assistenza da parte della Croce Rossa. Solo in questa ristretta zona gli IMI che finirono nei campi di lavoro tedeschi furono 17.

Nozzano Castello, il cippo restaurato dedicato alle efferatezze compiute sui civili dalla 16ª Panzergrenadier Division “Reichsführer-SS”

In provincia di Lucca, nei giorni di agosto del 1944 Nozzano Castello non è più un tranquillo borgo di campagna. La maggior parte degli uomini hanno abbandonato il paese per rifugiarsi sulle colline vicine e i campi giacciono abbandonati. Già dagli ultimi giorni di luglio si è insediata a Nozzano una delle più spietate divisioni dell’esercito tedesco, la 16ª Panzergrenadier division “Reichführer-SS” agli ordini del generale Max Simon. Colonne di soldati, camion, auto e blindati della Wehrmacht e delle SS percorrono minacciose le strade sterrate del paese. La scuola elementare che sorgeva al centro della piazza viene requisita e la maestra che abita al piano superiore cacciata. L’edificio da luogo di crescita e formazione è trasformato in prigione, luogo di segregazione e morte. Alle voci dei bambini si sono sostituite le urla strazianti dei torturati. La gestione del carcere è affidata alla Feldgendarmerie del tenente Gehrard Walter che sguinzaglia i suoi uomini alla cattura di cittadini inermi. In poco più di un mese nella scuola sono concentrati centinaia di sfollati, sbandati e rastrellati. Coloro che sono individuati come partigiani o oppositori del regime di occupazione vengono brutalmente interrogati e torturati. Oltre 80 di loro sono passati per le armi nelle campagne circostanti. Ma le uccisioni e le sevizie nella ex scuola non risparmiano neppure i civili, alcuni insegnanti e parroci dei dintorni. Nozzano porta già nel nome la sua vocazione e il suo destino – da “noxa”, cioè pena – e la sperimentò purtroppo in quel periodo che intercorse fra l’arrivo degli Alleati all’Arno (30 luglio 1944) e l’8 settembre, giorno della Liberazione del paese. Prima di lasciare Nozzano, i tedeschi minano e fanno saltare in aria l’edificio della scuola. Subito dopo la fine della guerra, il generale Simon è processato a Padova da un tribunale inglese e condannato a morte, ma la pena viene commutata in reclusione e nel 1954, per intercessione dell’arcivescovo di Colonia, torna libero. Durante il processo dichiarò: “Rifarei esattamente tutto ciò che ho fatto”. Il restauro curato dall’ANPI Lucca è una sorta di concreta risposta all’arroganza nazifascista.

Racconta di Resistenza corale ai nazifascisti, il monumento a Colle San Marco (AP), studenti e civili morirono in combattimento e in battaglia contro un invasore super armato e intenzionato con la collaborazione dei saloini italiani a schiacciare nel sangue ogni tentativo di opporsi all’occupazione. Non restaurare il Monumento ai Caduti era un’offesa ai martiri

La parte superiore del Monumento ai Caduti sul pianoro di Colle San Marco ad Ascoli Piceno, tornato “giovane” grazie al restyling dell’ANPI Provinciale, ricorda due studenti vittime degli scontri avvenuti il 12 settembre 1943, subito dopo l’Armistizio, tra una colonna motorizzata tedesca e gli avieri della Caserma Vecchi ai quali si erano uniti parecchi civili che prelevarono le poche armi rimaste nella caserma. Adriano Cinelli, 17 anni, frequentava l’Istituto Tecnico per Geometri ed è considerato il primo Caduto “attivo” dell’opposizione ascolana ai nazifascisti. Trovò la morte mentre sparava contro un automezzo tedesco della colonna in transito, stroncato da una raffica di mitra ed è stato decorato con MBVM. Invece la sua compagna di scuola, Concetta Cafini, fu colpita sulla porta di casa. Alla fine del combattimento, militari e civili insieme, riuscirono a catturare l’intera colonna tedesca.

I dettagli del monumento di Colle San Marco provato dal tempo

La frazione di Colle San Marco si trova a pochi chilometri da Ascoli e costituisce un baluardo naturale sulla via Salaria e sulla via Adriatica. Per questo sul Colle si diressero gli antifascisti ascolani il 13 settembre, dopo gli scontri in città. Dal giorno dopo la zona iniziò a riempirsi di soldati, civili ed ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Fu un sottotenente degli Alpini, Spartaco Perini, a organizzare i nuclei di resistenti, assumendone il comando insieme al capitano Tullio Piconi giunto qualche giorno dopo. Presto San Marco divenne il rifugio di tutti, con vari problemi di sussistenza e di assistenza: erano necessari vestiti, tende, coperte, ma anche ordine e disciplina. Si formò così un comitato cittadino di antifascisti e tra la città e il Colle si creò una certa collaborazione. Il 22 settembre gli uomini del San Marco fecero saltare in aria il ponte di Castel Trosino. L’artificiere sarà fucilato dai tedeschi il 5 ottobre. Il 23 Perini fece prigioniero un noto “ras” dei fascisti locali. Nel pomeriggio del 2 ottobre, nei pressi di Porta Cartara, ci fu uno scontro tra alcuni giovani del San Marco e i soldati tedeschi. Durante la notte si susseguirono notizie allarmanti su un’imminente azione di accerchiamento.

Colle San Marco (AP), dettaglio del monumento restaurato con i fondi del mistero della Difesa assegnati per il progetto dell’Anpi nazionale

All’alba del giorno 3 un intero battaglione di paracadutisti della divisione “Herman Goering” attaccò, circondando il Colle. Iniziò una cruenta battaglia che fu interrotta da un provvidenziale terremoto intorno alle dieci della mattina. Ma lo spavento durò poco e prima di sera ricominciarono i combattimenti. I partigiani resistettero finché poterono, poi si ritirarono di fronte all’offensiva. I due comandanti e una trentina di uomini raggiunsero il versante abruzzese. Gruppi isolati si difesero strenuamente prima di essere catturati e condotti al Forte Malatesta. Il giorno dopo furono trasferiti nel campo di Spoleto e poi deportati in Germania. Alcuni si salvarono quasi per miracolo: “Man mano vedevamo il loro tiro farsi più accurato e il cielo sopra di noi illuminato da razzi rossi e verdi, per segnalare la nostra posizione. Era la fine. Inchiodati dietro sacchi di sabbia, decidemmo di giocare l’ultima carta: ci lanciammo allo scoperto buttandoci giù da un burrone. Tra rovi, cespugli e alberi, rotolammo per circa venti metri e ci andò bene” (testimonianza di Serafino Ficerai). Il 5 ottobre i tedeschi fucilarono 16 prigionieri, complessivamente nell’attacco al Colle San Marco caddero una trentina di uomini. Per non dimenticare, oltre al restauro è stato progettato un Sentiero della Memoria che ripercorre tutti i luoghi della battaglia.

Monumento in memoria dei 9 partigiani della Brigata “Palombaro”, uccisi l’11 febbraio 1944. Dettagli del prima e del dopo

Il cippo in marmo e pietra in località Colle Pineta, a Pescara, fu fatto erigere dai familiari dei 9 partigiani vittime dell’eccidio nazifascista dell’11 febbraio 1944. I nove uomini, tutti giovani tra i 16 e i 31 anni, facevano parte della banda partigiana “Palombaro” che si era costituita a Chieti il 9 settembre 1943. Catturati per le delazioni di alcuni fascisti, vennero arrestati dai militi della GNR guidati da Mario Fioresi, uno dopo l’altro, tra il 13 gennaio e il 3 febbraio ’44, rinchiusi nel carcere chietino di san Francesco e torturati. Pochi giorni ancora e con un processo sommario arrivò la condanna a morte che avvenne per fucilazione in una cava d’argilla sul Colle Pineta, dove furono seppelliti in una fossa comune. Solo sei mesi dopo, a Liberazione avvenuta, i poveri resti poterono essere riesumati grazie alla testimonianza di chi aveva assistito di nascosto all’esecuzione e riconsegnati alle famiglie.

Tra loro c’era Alfredo Grifone, decorato con MOVM alla memoria, attivamente ricercato e braccato, riusciva sempre a sfuggire alla cattura. Quando seppe che erano stati arrestati numerosi compagni, fra cui due suoi fratelli, ritenuti corresponsabili delle azioni di guerra da lui compiute, non esitò a presentarsi al comando germanico chiedendo la liberazione dei prigionieri e assumendosi personalmente la piena responsabilità. Fu invece obbligato ad assistere alla fucilazione degli altri otto e a trasportarne i cadaveri nella fossa. Giunto il suo turno, rifiutò di essere legato e bendato e affrontò il plotone di esecuzione al grido “Viva l’Italia”.

Nel luogo in cui avvenne l’eccidio sorge oggi una scuola elementare, nel cui cortile è il cippo commemorativo. Nella parte anteriore è stata realizzata una lastra di plexiglass per ricordare tutti i nomi dei nove Caduti

Nel luogo in cui avvenne l’eccidio sorge oggi una scuola elementare, nel cui cortile è il cippo commemorativo. Questa circostanza, illustra l’ANPI Provinciale che si è attivata per dare nuova vita all’opera, ha favorito un percorso educativo alla pace e alla cittadinanza consapevole, che si rinnova annualmente grazie al lavoro degli insegnanti. Dal 1998 la scuola stessa ha assunto il nome di “11 febbraio 1944”. Nella parte anteriore del cippo è stata realizzata una lastra di plexiglass per ricordare tutti i nomi dei nove Caduti.

Nettuno, piazza Mazzini, la targa che ricorda l’insurrezione dei nettunesi contro i nazifascisti nel settembre 1943, prima e dopo il restauro

Le targhe della memoria tornano a vivere a Nettuno, vicino ad Anzio, sul litorale laziale in provincia di Roma dove avvenne lo sbarco degli Alleati dal 22 gennaio 1944. Si tratta di due lapidi che ricordano l’insurrezione dei nettunesi contro i nazifascisti avvenuta nel settembre del 1943 e la morte del partigiano, ebreo, decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare, Eugenio Curiel, assassinato dai fascisti il 24 febbraio 1945.

La prima, in piazza Mazzini, ricorda l’insurrezione dei nettunesi contro i nazifascisti nel settembre 1943, a ridosso dell’Armistizio. La targa fa riferimento agli avvenimenti che hanno riguardato Nettuno in quei giorni, quando i reparti della 220° divisione costiera, coadiuvati da patrioti locali che volontariamente si unirono ai soldati del Regio Esercito, diedero vita alla Resistenza contro le truppe germaniche.

Nettuno, l’inaugurazione della targa in memoria di Eugenio Curiel restaurata

La seconda, sulla facciata dell’edificio comunale, ricorda il partigiano Eugenio Curiel, assassinato dai fascisti a Milano il 24 febbraio 1945. Di famiglia ebrea, il giovane Curiel, laureato in fisica e assistente all’Università di Padova, fu costretto dalle leggi razziali a lasciare l’insegnamento. Impegnato nell’attività clandestina antifascista, nel 1939 venne arrestato da agenti dell’Ovra, detenuto nel carcere di San Vittore, processato e condannato a cinque anni di confino a Ventotene.

La targa in memoria di Eugenio Curiel come appare oggi sul muro del palazzo municipale

Dopo la caduta del fascismo tornò a Milano dove tenne i contatti con gli intellettuali antifascisti e promosse l’organizzazione giovanile della Resistenza, il Fronte della Gioventù per l’Indipendenza nazionale e per la Libertà. A due mesi dalla Liberazione, venne sorpreso da una squadra di militi repubblichini guidati da un delatore. Non tentarono nemmeno di fermarlo: gli spararono una raffica a bruciapelo. Curiel si rialzò e si rifugiò in un portone, ma venne raggiunto e finito dai fascisti. Il giorno dopo, sulla macchia rimasta a terra, una donna pose dei garofani.

Per l’inaugurazione della targa di Eugenio Curiel, a cui il Comune ha dedicato un’iniziativa nella Sala consiliare, ha mandato un messaggio, rivolto ai ragazzi delle scuole, il partigiano Aldo Tortorella

Il restauro delle targhe è stato realizzato dall’ANPI con il contributo del Ministero della Difesa, che ogni anno assegna all’Associazione fondi destinati al recupero e alla valorizzazione dei monumenti e dei luoghi della memoria. “Fondamentale è stato anche il sostegno delle istituzioni cittadine”, spiegano i responsabili del Comitato Provinciale ANPI di Roma e della Sezione “M. Abruzzese e V. Mallozzi” di Anzio-Nettuno che, in occasione dell’inaugurazione del restauro, hanno realizzato anche un incontro con gli studenti nella sala Consiliare del Comune di Nettuno. (Tratto dal quotidiano “La Repubblica” del 29.12.2022).

Il medagliere dell’Anpi nazionale (Imagoeconomica, Raffaele Verderese)

L’ANPI ha richiesto anche per il 2024 al Ministero della Difesa il contributo per valorizzare i luoghi dove si combatté la lotta di Liberazione. In attesa dell’approvazione della prosecuzione del progetto da parte del dicastero, diventa ancora più importante utilizzare la parte di fondi già assegnata. Il termine per il 2023 è il 31 dicembre, data in cui i restauri devono essere stati realizzati. Sezioni e ANPI Provinciali interessati possono contattare l’ANPI Nazionale, scrivendo ad amministrazionenazionale@anpi.it con oggetto “Restauri 2023”.

Stesso indirizzo con oggetto “Restauri alluvione” per il recupero delle opere partigiane danneggiate dal fango.

Nel tempo delle omissioni e dell’uso politico, distorto, della Storia, quelle lapidi e cippi, quelle targhe su cui si posano gli occhi dei passanti, ci ricordano il prezzo pagato per sconfiggere il nazifascismo. Nel triennio che porterà all’80° della Liberazione è ancora più importante restituirle all’oggi, perché ognuno di quei monumenti grida “Ora e sempre Resistenza!”.

E se non è Memoria Attiva questa…

Daniele De Paolis