Lunedì scorso (29 gennaio) si è tenuta in Ungheria la prima udienza del processo a Ilaria Salis. Il Comitato Liberiamo Ilaria Salis e la rete antifascista romana hanno organizzato per lo stesso giorno un presidio a Roma, in prossimità dell’Ambasciata d’Ungheria.

Organizzazioni sociali, realtà politiche e in prima fila l’Anpi, hanno chiesto a gran voce la liberazione immediata per Ilaria Salis e la possibilità che lei possa rispondere in Italia, e da cittadina libera, dei reati di cui è accusata. Riferendosi alle condizioni di Ilaria Salis nei carceri ungheresi, il presidente Pagliarulo ha dichiarato: “Ammesso e non concesso che questo sia un trattamento sopportabile in un carcere civile, non stiamo parlando di un condannato ma di un presunto colpevole e quindi presunto innocente: è una situazione preoccupante che contraddice, oltre che qualsiasi buon senso, qualsiasi riferimento e nesso con le regole, scritte e non scritte, dell’Unione Europea, a cominciare dal trattato di Lisbona”.

Il presidente nazionale dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo

Pagliarulo ha voluto anche precisare che “non è un caso che questi fatti siano avvenuti nel Paese governato da Victor Orban”.“Ci sono preoccupazioni da parte della Corte di Giustizia Europea, anche in passato ci sono state delle rimostranze nei loro confronti nei confronti del regime di Orban che si caratterizza anche da questo punto di vista come un regime oscurantista”. “Quello che mi preoccupa – evidenzia ancora Pagliarulo – è la situazione italiana. Nordio ha rifiutato l’estradizione di don Franco Reverberi, di cui l’Argentina aveva chiesto l’estradizione per i reati di omicidio e tortura durante il regime di Videla, per motivi di salute. Che vi sia una preoccupazione per una persona accusata di reati gravissimi e ci sia stata invece quella che mi pare una leggerezza nei confronti della qualità della detenzione di Salis da parte dello stesso ministro, non va bene”.

Roberto Salis, il padre di Ilaria

Ilaria Salis ha 39 anni ed è un’insegnante italiana. Da quasi un anno è rinchiusa in un carcere di massima sicurezza in Ungheria, in condizioni di detenzioni durissime. È accusata di aver preso parte all’aggressione di alcuni militanti di organizzazioni neonaziste.  Per i reati che le sono imputati, rischia oggi fino a 16 anni di carcere. L’obiettivo del Comitato è quello di rompere il silenzio complice del governo italiano, che solo recentemente ha iniziato a esporsi, affinché Ilaria possa tornare in Italia e possa difendersi da libera cittadina dai reati a lei contestati. A oggi, la lunga e sofferta carcerazione cui è stata sottoposta rappresenta una palese violazione dei diritti umani e per questo la sua liberazione risulta quanto mai necessaria.

Giorgia Meloni e Viktor Orban, ministro presidente dell’Ungheria dal 2010, carica che ha anche ricoperto precedentemente tra il 1998 e il 2002 (imagoeconomica, via Palazzo Chigi)

L’arresto in Ungheria
Nell’Ungheria di Orban, fedele alleato di Meloni, ogni anno l’11 febbraio, una grande commemorazione ricorda le gesta delle SS e delle truppe naziste durante la Seconda guerra mondiale, in particolare le truppe che combatterono contro l’Armata Rossa: la Giornata dell’onore. Un’adunata di odio che diventa spesso occasione di violenze squadriste da parte dell’estrema destra europea, ritrovo internazionale per organizzazioni apertamente neonaziste e neofasciste. Il tutto si svolge con il tacito assenso delle autorità statali ungheresi.

Budapest, Giornata dell’onore. Protagonisti della battaglia commemorata ogni 11 febbraio anche le Croci frecciate, partito antisemita e filonazista che governò l’Ungheria dall’ottobre ’44 al gennaio ’45

Ilaria Salis è un’antifascista ed è stata arrestata, mentre era su un taxi, dopo aver partecipato ad alcune contromanifestazioni organizzate dai movimenti sociali e antifascisti. Da quasi un anno è detenuta senza che i soggetti aggrediti abbiano sporto denuncia e senza che sia stato celebrato un giusto processo, che dovrebbe essere garantito in uno Stato di diritto. Basti pensare che, come ha scritto Ilaria Salis in una lettera agli avvocati recentemente e come riportato in un articolo de il Manifesto, affronterà tutto questo da dentro «una cella di transito» grande «come un armadio». Con «le manette», «un cinturone legato alle manette» e «un’altra manetta a cui è attaccato un guinzaglio».

All’udienza, intanto, questa volta saranno presenti anche gli osservatori internazionali indipendenti del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia – CRED, in rappresentanza anche dell’Associazione europea dei giuristi e delle giuriste per la democrazia e i diritti umani nel mondo, con le avvocate Francesca Trasatti e Veronica Scali e con l’avvocato Fabio Marcelli.