Il centro storico di Verona

Le commemorazioni, si sa, rischiano spesso di musealizzare ciò che vorrebbero ricordare, se dietro le corone deposte e i discorsi declamati non c’è la netta volontà di conoscere spassionatamente i fatti che si celebrano: conoscerli e promuoverne la conoscenza fra i cittadini.

Anzi, la maniera migliore per togliere muffe e ragnatele alle commemorazioni è proprio offrire, per loro tramite, l’occasione a una comunità di interessarsi alla storia che raccontano, approfondirla, interrogarla.

Attenzione, però, il connubio storia-discorso pubblico rischia spesso di portare fuori strada, accantonando la verità storica dei fatti – da cui sempre occorre partire – per strumentalizzarla a vantaggio di questo o quel partito, e proprio la peggiore politica è spesso la principale responsabile di questa nociva deviazione.

È successo spesso in occasione del Giorno del Ricordo, è successo anche lo scorso 10 febbraio a Verona, alla commemorazione ufficiale in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati: il sindaco Federico Sboarina non ha infatti gradito il discorso tenuto da Camilla Velotta, presidentessa della consulta provinciale degli studenti, secondo lui ideologizzato e teso a fare differenze tra le vittime.

Camilla Velotta, presidentessa della consulta provinciale degli studenti, durante commemorazione ufficiale in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli istriani giuliani e dalmati

Ma cosa avrebbe mai detto la studentessa? Velotta si è limitata a “contestualizzare” storicamente l’accaduto, operazione che – presso gli ambienti di destra – significa tout court “negare” la tragedia delle foibe o, se va bene, “sminuire”.

Tale equivalenza vale anche per il sindaco Sboarina, che nel febbraio del 2019 aveva minacciato di togliere una sala comunale all’ANPI scaligera per aver organizzato un convegno con il prof. Tenca Montini, un convegno che secondo Sboarina avrebbe fornito “una versione riduzionista e giustificazionista della tragedia italiana ai nostri confini orientali”.

Ma ecco alcuni passaggi dell’intervento della studentessa:

“[…] è necessario, invece, anche attraverso le numerose ricerche che per anni diversi storici hanno condotto sul tema, fare chiarezza sul quel periodo e studiarlo soprattutto a partire dalle nostre scuole. È importante contestualizzarlo, e interrogarsi su cosa è venuto prima e cosa ha comportato, quali ne sono state le cause e chi ne ha subite le conseguenze. […] Ricordare serve proprio a questo: capire le cause profonde di tanti mali, e guardare al presente con la consapevolezza che è necessario tenere sempre l’attenzione alta sull’avanzata di nuove ingiustizie. Al termine della seconda guerra mondiale, col mutamento dei confini e degli assetti internazionali, ci fu l’esodo giuliano-dalmata, l’emigrazione di gran parte degli abitanti della Venezia Giulia e della Dalmazia. In quel contesto molti uomini furono costretti ad abbandonare per sempre la propria terra, e a pagare le conseguenze di un nazionalismo sfrenato che l’Italia fascista aveva per anni seguito con convinzione, e che aveva contribuito a tenere quegli uomini all’interno di un nuovo sistema che si stava formando, la Jugoslavia di Tito, un sistema diverso da quello in cui avrebbero voluto vivere”.

Che cosa, in queste parole, non è condivisibile? La rappresentante di una consulta studentesca cos’altro potrebbe chiedere, specie ai suoi coetanei, se non di studiare e di conoscere per capire e comprendere?

Il sindaco di Verona, Federico Sboarina (Imagoeconomica)

Spiace che il primo cittadino veronese, dall’alto della sua carica, redarguisca una giovane che attraverso le sue parole e il suo impegno riconosce l’importanza della politica e del sapere storico per costruire scenari futuri di pace e convivenza, migliori di quelli passati. Invece proprio queste sue parole hanno provocato la reazione di Sboarina, che si è dichiarato “dispiaciuto e allibito per la mancanza di rispetto e l’impostazione ideologica” dell’intervento. E a quanto pare Sboarina di ideologie se ne intende, vista la cerchia nera di cui si attornia, in consiglio comunale e non solo: un nome per tutti, Andrea Bacciga, uomo scelto dal gruppo neonazista Fortezza Europa per essere rappresentato nel comune di Verona.

Il sindaco ha proseguito affermando che “Tutte le cerimonie celebrative, nessuna esclusa, servono a condannare qualsiasi tipo di totalitarismo e violenza, mentre atteggiamenti e parole come quelle ascoltate oggi, intrisi di ideologia, puntano a separare, a classificare tragedie di sere A e drammi di serie B, nel segno dello scontro”.

Ma se vanno ricordati tutti i totalitarismi e le violenze, come non ricordare anche quelle del “fascismo di confine” che per vent’anni afflissero croati e sloveni?

Come anche Camilla Velotta ha ribadito nel suo intervento, la soluzione “per evitare che il 10 Febbraio diventi l’occasione di una battaglia ideologica che crea contrapposizioni strumentali” è proprio studiare la storia, studiarla tutta e da lì partire e ricondursi sempre. Solo così il Giorno del Ricordo smetterà di essere, per alcuni, pretesto di oblio.