Il ritrovato interesse, in Italia, per la storia del confine orientale, in primis foibe ed esodo, non è un’esclusiva del nostro Paese, bensì la variante locale di un fenomeno europeo sviluppatosi dai tardi anni Ottanta, quando la riunificazione della Germania e la frantumazione delle compagini multinazionali jugoslava e cecoslovacca diedero una nuova attualità ad eventi storici rimasti non spendibili sul piano politico a causa della Guerra fredda.
I temi preferiti dalla nuova stagione politica furono in Germania il Vertreibung, l’espulsione dei cittadini tedeschi dall’Europa orientale, e in Italia le foibe e l’esodo.
A queste storie “riscoperte” – avevano avuto ampia risonanza in entrambi i Paesi nel primo periodo postbellico – si sarebbero presto affiancate le nuove narrazioni nazionaliste sviluppate nei Paesi post-socialisti come la Slovenia e soprattutto la Croazia.
In queste terre la retorica socialista “della fratellanza e dell’unità” venne sostituita da quella nazionalista che permetteva di rivalutare le esperienze delle forze collaborazioniste che nel corso della guerra si erano alleate alle potenze dell’Asse contro i partigiani di Tito. Si iniziò, quindi, a discutere pubblicamente sulla questione dei regolamenti di conti, rappresentata simbolicamente dalla località austriaca di Bleiburg, nei pressi della quale nel maggio del 1945 i partigiani catturarono una gran quantità di collaborazionisti in fuga.
Al di là dell’entità e delle modalità delle esecuzioni perpetrate dai comunisti jugoslavi a Bleiburg, non ancora ricostruite in maniera del tutto convincente, l’aspetto che desta maggiore interesse è il passaggio dalla retorica “internazionalista” jugoslava a quella nazionalista delle repubbliche post jugoslave. In questo contesto, così come nel caso delle foibe e dell’esodo, episodi che inizialmente erano stati spiegati come vendette motivate da ragioni politiche, negli anni Novanta vennero reinterpretati in chiave etnica. In entrambi i casi, italiano e jugoslavo (ma anche in quello tedesco) eventi complessi e di lunga durata vennero appiattiti in slogan scanditi dai media, perdendo la propria complessità e la contestualizzazione storica.
Un elemento caratteristico del passaggio da narrative internazionaliste a nazionaliste è proprio la ripresa di conflittualità tra Stati attorno a fatti storici. La Polonia e la Repubblica Ceca reagirono con estremo fastidio alle commemorazioni delle espulsioni di cittadini tedeschi dall’Europa orientale nel dopoguerra. In maniera analoga, Slovenia e Croazia disapprovarono il ritrovato interesse italiano per la storia del confine orientale, tanto più che tale “interesse”, almeno inizialmente, era corredato dal tentativo del mondo politico italiano di ottenere alcune concessioni dalle Repubbliche, motivo per cui l’Italia tentò di bloccare l’ingresso della Slovenia nella UE nei primi anni Novanta.
Con l’istituzione del Giorno del ricordo nel 2004, la conflittualità tra i tre Paesi rivieraschi dell’Adriatico aumentò. Da un primo scambio di note diplomatiche a causa della fiction Rai dedicata alle foibe Il cuore nel pozzo, si arrivò ai contrasti tra Giorgio Napolitano e il Presidente croato Stjepan Mesić all’indomani del Giorno del ricordo del 2008.
Può essere interessante soffermarsi brevemente sull’atteggiamento assunto dai media di Italia, Slovenia e Croazia. La stampa croata vi dedicò grande attenzione cercando di “smontare” le tesi italiane, definite propagandistiche. In Italia, invece, ci si limitò a liquidare il disappunto di sloveni e croati come residui della mentalità comunista.
L’apice della diatriba seguita al film sulle foibe si toccò il 7 febbraio 2005, quando il quotidiano istriano Novi List scrisse che «il film conduce emotivamente il pubblico italiano nell’abisso della foiba in cui la destra italiana ha trovato il senso più profondo della propria esistenza».
Lo scambio di accuse tra i presidenti italiano e croato, ad ogni modo, fu l’occasione che permise di rendere pubblici gli effetti del cambiamento delle coordinate politiche sulle due sponde dell’Adriatico. All’epoca fu compito del governo italiano di centrosinistra salvare l’onore della nazione di fronte alle accuse di razzismo e revanscismo mosse dalla Croazia.
Al contempo in Croazia fu il partito di estrema destra HSP (Partito croato di diritto) a schierarsi in difesa dell’operato dei comunisti jugoslavi constatando che «tenendo conto di tutto ciò che hanno fatto in Croazia e in altri Paesi, gli italiani sono gli ultimi che possono dare lezioni su genocidi e pulizie etniche». Parallelamente, a lamentare l’impoverimento culturale determinato dalla scomparsa della componente italiana in Dalmazia fu un noto membro dell’intellighenzia croata della sinistra radicale, lo storico Dragan Markovina, che a queste tematiche ha dedicato l’innovativo lavoro storiografico “storia degli sconfitti” (Povijest poraženih).
Gli attriti tra Germania, Italia e i Paesi confinanti dell’Europa centrale si ricomposero grazie ad atti di pacificazione formale e richieste di scuse ufficiali all’indomani dell’allargamento ad Est dell’Unione Europea: la visita di Angela Merkel a Danzica del settembre del 2009 e il concerto dei tre presidenti Napolitano, Türk e Josipović nel 2010, a conferma del valore dell’esperienza europea in difesa della pace e della comprensione tra i popoli.
Tale impegno è stato in seguito confermato dall’incontro dei tre presidenti a Pola nel 2011 e a Ronchi dei Legionari nel 2014. Inoltre nel 2011 Barbara Miklič, moglie del Presidente sloveno, partecipò alla commemorazione delle vittime del campo di concentramento fascista di Gonars, in cui fu imprigionato anche suo padre.
Federico Tenca Montini, ricercatore, autore del volume “Fenomenologia di un martirologio mediatico”
Pubblicato giovedì 2 Febbraio 2017
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