L’ultima opera di uno dei maestri del fumetto italiano ci riporta nel cuore degli anni Trenta con “I cugini Meyer”. Vittorio Giardino dà di nuovo vita a Max Fridman – ex agente segreto francese di stanza a Ginevra – creato negli anni 80 proprio per raccontare le vicende cruciali dell’Europa fra le due guerre mondiali.
L’annessione dell’Austria al Terzo Reich nel 1938, l’Anschluss, è l’ambientazione per un graphic novel capace di intrecciare il destino di una famiglia ebrea con gli sconvolgimenti della Storia. La brutalità dell’antisemitismo nazista viene raccontato nella sua essenza, un’essenza che richiama, fin dal testo introduttivo di Giardino stesso, inquietanti analogie con l’oggi. È l’universalità dell’esperienza raccontata che dona a “I cugini Meyer” un ricco significato civile.
Il protagonista, dicevamo, è Max Fridman, dopo essere stato protagonista di vicende che, inanellate una dopo l’altra, si stringono in una esplorazione di quello che ha portato alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Rapsodia ungherese (1982), La porta d’Oriente (1986) e la trilogia No pasarán! (trilogia, 1999-2008) presentavano Max Fridman soprattutto come agente segreto e testimone degli eventi storici, pur mantenendo sempre uno sguardo critico sulle atrocità del fascismo e del fanatismo ideologico. “I cugini Meyer”, pur collegandosi a queste storie e senza che vi sia il bisogno di averle già lette, se ne distacca per tono e prospettiva privilegiando una vicenda familiare rispetto alle trame di spionaggio.
Il nuovo graphic novel si apre a Vienna, nell’aprile 1938, poche settimane dopo l’Anschluss. Al centro della vicenda vi è la famiglia Meyer, ebrei viennesi colti e ben integrati che dall’oggi al domani si ritrovano esclusi dalla società. L’intera prima metà dell’opera, con estrema cura storica, è dedicata al precipizio della discriminazione in cui piomba la quotidianità. Date, orari e scadenze compaiono spesso in didascalia, quasi a ricordarci che ogni giorno la morsa si stringe di più. Chi legge sa già che questo è un conto alla rovescia verso l’eliminazionismo, quel graduale trasformarsi di alcuni viennesi da persone comuni in fanatici persecutori esemplifica chiaramente la capacità massificante dell’ideologia nazionalsocialista.
Max Fridman, fino ad allora neppure menzionato, entra in scena come ultima speranza, lasciando da parte i consueti intrighi di spie e servizi segreti ma comunque virando l’opera verso i toni più classici del romanzo d’avventura e di spionaggio.
Dopo l’Anschluss, i nazisti istituirono in Austria uffici per l’emigrazione ebraica che però controllavano rigidamente le uscite dal paese e le condizionavano alla perdita pressoché totale degli averi di chi desiderava andarsene. Ai cugini Meyer comunque viene negata l’autorizzazione e Fridman dunque si improvvisa organizzatore di una fuga, diventando in pratica un “trafficante di uomini” al servizio della giustizia. Da questo momento in poi siamo nel consueto canone di una godibilissima avventura internazionale, con tensione e colpi di scena. Friedman si troverà a misurarsi con la Gestapo, in una gara di astuzia e sangue freddo, fino ad un epilogo dolceamaro.
Sul piano narrativo la sceneggiatura de “I cugini Meyer” è costruita su una cronologia implacabile, quella del ticchettio dell’orologio della Storia. Dal punto di vista grafico, quest’ultimo lavoro di Giardino rappresenta una conferma del suo stile preciso, pulito, dettagliatissimo. Una “linea chiara” meticolosa.
Al di là dei meriti narrativi e artistici, è evidente che Giardino non ha scelto a caso di tornare a parlare di fascismo e nazismo nel 2025.
Emarginazione progressiva, incitamento all’odio del diverso, persone comuni che si voltano dall’altra parte o, peggio, assecondano la violenza: l’intolleranza verso lo straniero è un tema centrale, evidenziato non solo dalla condizione degli ebrei in fuga nel 1938, ma anche da un preciso parallelo con i migranti di oggi. Nell’introduzione del libro, Giardino pone a se e al lettore una domanda: «Se aveste 24 ore di tempo per lasciare il Paese e poteste portare con voi solo una valigia, che cosa ci mettereste?» È la domanda che affrontarono gli ebrei tedeschi e austriaci negli anni 30. È la domanda che affrontano oggi le persone che oggi attraversano il Mediterraneo o altre frontiere per sfuggire a guerra, persecuzioni, povertà, dittature.
Un passo del fumetto usa un fatto storico significativo: nel 1938, alla conferenza di Evian, le nazioni si riunirono per discutere la questione dei profughi ebrei in fuga dalla Germania nazista, ma quasi nessun Paese occidentale accettò di accoglierli. Oggi come allora si alzano muri, si discute di quote, di espulsioni, di “remigrazione”.
I razzismi sono tutti uguali e ogni razzismo è specifico, è questo fatto a permettere a Giardino di usare l’antisemitismo in chiave universale ed è così che “I cugini Meyer” diventa un atto di memoria storica attiva. Quando la massa indistinta dei fascismi avanza, sono le azioni – singole e collettive – di generosità e solidarietà a fare la differenza. Nell’opera si cita Antigone, la legalità non sempre coincide con la giustizia: ieri le leggi razziali erano legali, oggi lo stesso sentimento discriminatorio cerca ancora “normalità” e coperture normative.
Se i razzismi riacquistano potenza, incluso il galoppante antisemitismo, le motivazioni possono essere le più disparate. I modi sono però sempre i medesimi, fatti di pratiche di violenza. Sempre la medesima è la narrazione, quella di un nazionalismo interpretato come tribalità su grande scala. E i fini, i fini non sono diversi neppure quelli.
Pubblicato venerdì 19 Dicembre 2025
Stampato il 19/12/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/finestre/i-cugini-meyer-una-storia-che-non-passa/









