Busto di Aristotele, filosofo della Grecia antica, tra i primi a cimentarsi sui fondamenti della politica

È un assioma, un postulato, un mantra quello secondo cui la democrazia è nata nell’Occidente del mondo, per cui i popoli e gli Stati di questa parte della Terra sono quelli che si ritengono naturali depositari dei valori democratici, e perciò spetterebbe agli Stati di questa parte non solo rappresentare, ma anche difendere e, se del caso, imporre quei valori a coloro che sono ritenuti non averli recepiti, e che, pertanto, sono bisognosi di riceverli dai portatori storici.

L’Italia invase la Somalia nel 1940 durante la Seconda Guerra mondiale

Da molti decenni questo ritornello gira per le istituzioni nazionali, e anche internazionali, e circola sulla grande stampa in modo quasi ossessivo. Per questo, sino dagli Anni 80 dello secolo scorso, siamo andati in Somalia, in Iraq, in Libia, in Afghanistan; e con evidenti “successi”, avendo trasformato quei Paesi in ridenti e pacifiche terre, dove notoriamente regnano la pace e l’armonia. L’obiettivo era quello di estirpare feroci dittature e di sostituirle con sistemi costituzionali e giuridici che avessero come modello quelli europei o quello statunitense.

Quasi tutte le fonti concordano nell’indicare in trentamila il numero dei desaparecidos in Argentina tra il 1976 e il 1983, durante la dittatura militare, ma ci sono stati anche migliaia di bambini scomparsi e non conteggiati nei tragici elenchi

In particolare gli Usa sono intervenuti direttamente o indirettamente anche nel loro cortile di casa (l’America Latina), ma il risultato è sempre stato quello di dare l’avvio a feroci dittature militari. Dunque, a giudicare dai risultati ottenuti dai Paesi occidentali e dalle loro istituzioni e alleanze internazionali, non sembra che l’esito sia consistito in un allargamento del fronte dei Paesi che si ispirano ai valori delle democrazie liberali, nate dalle rivoluzioni e dalle vicende storiche dei paesi anglosassoni o dell’Europa di cultura latina.

Offensiva talebana a Kabul

Al contrario, gli interventi militari occidentali, con l’unica ma debolissima eccezione del Libano, hanno da subito dato luogo a situazioni di grave e perdurante instabilità (vedi Iraq, Libia e, naturalmente, la Somalia) oppure a dittature ancor più oppressive e oscurantiste (vedi l’Afghanistan).

Fosse comuni in Cecenia

Per doverosa obiettività, non possiamo ignorare che anche interventi di forza attuati da Stati non inquadrabili nel novero dei Paesi occidentali, come l’invasione del Tibet da parte della Cina Popolare o della Cecenia da parte della Russia, abbiano dato risultati migliori dal punto di vista dell’instaurazione di sistemi politici democratici.

E allora possiamo, da tutta questa premessa, già dedurre una prima conclusione; e cioè che non solo i sistemi politico-istituzionali nei quali ci identifichiamo non sono facilmente esportabili e importabili nei Paesi in cui pretendiamo di intervenire per “sistemare le cose”, ma che anche quei Paesi non vedano negli Stati europei e americani il modello socio-politico-istituzionale cui ispirarsi per organizzare quelle società. E il motivo appare del tutto evidente per quanto sopra considerato, e per quanto si dirà.

Elmetto metallico usato dai conquistadores spagnoli nelle Americhe

Poiché dalla fine del 1400 sino alla metà del secolo scorso (dunque per quasi 500 anni) l’Europa e gli Stati europei sono stati i loro padroni e sfruttatori, non si vede ragione per cui la gran parte degli Stati africani, asiatici e dell’America latina dovrebbero identificarsi e acquisire il modello politico e giuridico di chi sino a ieri li ha impietosamente oppressi e derubati. In altri termini l’Occidente, per loro, non è né un modello né un maestro, ma l’occhiuto padrone dal quale molti ancora oggi, seppure a fatica, aspirano a liberarsi.

Mappa della decolonializzazione francese e inglese

Se tale è la visione dell’Europa e degli Usa da parte dei popoli e degli Stati ex colonie, perché dovrebbero aspirare a essere simili ai loro ex padroni? Possono fidarsi e confidare in chi, per interesse politico e cinico calcolo economico, li ha invasi? Naturalmente ci saranno anche in quei Paesi coloro che hanno convenienza a fare società con gli inviati e i rappresentanti degli Stati ex colonialisti, ma ciò non corrisponde di certo all’autonomo interesse delle ex colonie.

Dunque, per il resto del mondo, nonostante tutta la nostra prosopopea e autostima, non godiamo di altrettanta considerazione da parte di almeno tre continenti. Gli esiti di molteplici votazioni dell’assemblea delle Nazioni Unite, dove gli Stati ex colonialisti sono stati messi più volte in minoranza, sembrano confermare tale considerazione.

Ma, allora viene da chiedersi, come possiamo noi arrogarci il diritto, o quanto meno la credibilità per potere conferire a questo o quello stato la patente di democrazia? Infatti, facciamo ampie concessioni alla Turchia, salvo poi nutrire dei dubbi sulla democraticità di quel sistema politico, oppure accreditiamo anche l’Ucraina, salvo accorgerci che tra gli eroi nazionali di quel Paese ci sono dei simpatizzanti di Hitler. Ma, quando siamo di fronte a un Paese come Israele, allora non abbiamo dubbi sulla sua natura democratica.

Assemblea Onu (Imagoeconomica)

Minimizziamo il fatto che si tratti di uno Stato, pur aderente all’Onu, che si rifiuta da oltre 50 anni di applicarne le risoluzioni. Passiamo sopra alla occupazione militare di territori che non gli appartengono e sui quali da oltre un cinquantennio viene applicata la legge militare di guerra a carico della popolazione residente. Riteniamo irrilevante che nello Stato di Israele vi siano cittadini col diritto di voto e cittadini che non godono di tale elementare diritto politico.

Ottobre 2023, visita di Giorgia Meloni in Israele. L’incontro con Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele (Imagoeconomica)

Sorvoliamo anche sul fatto che in Israele vi sono migliaia di detenuti in carcere, in forza di provvedimenti amministrativi, i quali restano in prigione a tempo indeterminato e senza un regolare processo. Si tratta di situazioni che confliggono apertamente con i principi giuridici europei, e anche statunitensi, ma che non ci fanno desistere dal considerare che, poiché in Israele si vota (ma non tutti votano), allora lì vi è la democrazia. Ma, si potrebbe obiettare, che anche in Russia votano (tutti, peraltro si è visto…) benché si possa ben dubitare della vocazione democratica di quello Stato.

Collage di alcune facciate di Parlamenti

E allora, appare inevitabile la domanda: sulla base di quale criterio diamo la patente di democratico a chi non pratica quei principi politici e giuridici; ma riteniamo antidemocratico chi fa le stesse cose in uno Stato diverso?

Il punto dirimente di quell’interrogativo sta proprio in quella domanda, e cioè nei diversi pesi e misure che si applicano allorché si danno quei contraddittori giudizi. Ma la risposta non può essere né coerente, né razionale perché in realtà si tratta solo di una valutazione politica, dettata da precise convenienze proprie degli Stati più potenti, che ancora pretendono, ancora in epoca ritenuta post-coloniale, di esercitare un potere dettato dalla loro forza militare ed economica su Stati più giovani, più deboli, più poveri.

Alberto Asor Rosa (Imagoeconomica, Stefano Carofei). L’intellettuale è scomparso nel dicembre del 2022

Come aveva ampiamente scritto, e da tempo, l’indimenticato letterato e uomo di grande cultura Alberto Asor Rosa, scomparso nel 2022, l’occidente ex colonialista ha barattato l’indipendenza nazionale di alcuni Stati del mondo, con un mandato assolutamente vincolante a essere i loro gendarmi nelle rispettive aree geografiche. Così, per risarcire il grave torto inflitto al popolo ebraico, quando il mondo si voltò dall’altra parte a fronte delle persecuzioni fasciste e naziste, venne affidato allo Stato di Israele, a titolo di risarcimento internazionale istituzionalizzato, un preciso compito politico per quel popolo disperso, e cioè quello di diventare il gendarme del medio oriente, per tenere a bada altri popoli storicamente non sottomessi (i Paesi arabi) all’Occidente e per avere disponibilità delle loro preziose risorse, tra le quali spicca il petrolio.

(Imagoeconomica)

Ma tale affidamento ha modificato completamente tutta la vicenda storica e culturale del popolo ebraico, che da entità spirituale e religiosa, appartenente alla grande famiglia delle religioni monoteiste, si è trasformato in bastione armato dei Paesi occidentali, governato da sempre da un ceto politico di formazione militare, per tenere a bada un mondo che ha radici storico-culturali differenti e autonome, storicamente indipendenti dalle avide mani occidentali.

Carro armato israeliano

E tutto ciò creando una situazione di grande tensione intorno a sé. Non vi è infatti dubbio che, fino a quando si difenderà la propria legittimazione con la forza e le armi il vicino non sarà mai rassicurato e vedrà a sua volta quegli strumenti come una minaccia per sé. Tutto ciò non farà altro che fomentare una spirale di odio, dove le atrocità diverranno l’unico metodo di confronto di entrambe le parti. Specialmente se i dispositivi bellici sono usati infliggendo sofferenze alle popolazioni locali per mantenere il controllo della situazione ed adempiere così al proprio mandato conferito dalle ex potenze colonialiste.

Forze militari israeliane in azione a Gaza (Imagoeconomica)

E tale mandato si sta drammaticamente espletando nella operazione di guerra in corso a Gaza. Israele deve infatti dimostrare ai suoi mandanti morali (ma anche materiali) che sta svolgendo fino in fondo il compito assegnatogli, che è la distruzione di qualsiasi impianto politico e militare che tenta di resistergli. Ma per fare ciò è costretto non solo a usare una forza brutale, ma anche ad agire contro il volere dei propri cittadini e anche della comunità internazionale. Come fermare, nel nome di milioni di civili, inermi e dimezzati nei loro diritti, quella enorme forza, imbestialita peraltro da spirito di vendetta e risentimenti reciproci coltivati da oltre 70 anni? Si tratta di azioni degne di uno Stato che si definisce democratico? Le strade, difficili e faticose, comunque, ci sono e sono diverse.

Da una parte è la comunità internazionale che deve prendere coscienza del proprio ruolo di occulto fomentatore, giocato sino a oggi, e considerare quei Paesi e quei popoli come entità che si possano e debbano autogovernare, prescindendo dai compiti che gli Stati ex colonialisti ancora pretendono di assegnare loro. Dall’altro, quelle società devono maturare uno spirito di convivenza comune, prendendo coscienza che, fintantoché dovranno considerarsi l’uno e l’altro come nemici, nessuno dei due potrà sentirsi sicuro. Infatti, la vera sicurezza sta invece nel cominciare a fidarsi l’uno dell’altro.

Per ragionare anche sul nostro passato e sull’oggi

Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi e socio di Libertà e Giustizia