Non di sola recensione vive il critico. Se si intende trattare di film ben conosciuti o di grande successo, di cui si sta parlando molto, si può scrivere di un film, senza entrare fino in fondo nel meccanismo della valutazione specifica di una determinata opera. Per cui quanto sto trattando presuppone l’aver visto i film di cui parliamo. Colpo basso, a volte i critici li tirano. Mentre scrivo, sugli schermi italiani ha grande successo il film della regista esordiente (già però attrice di razza e sceneggiatrice) Paola Cortellesi, C’è ancora domani, capace di suscitare l’enorme interesse del pubblico, soprattutto quello di sesso femminile, con conseguenti altissimi incassi (le donne di qualsiasi età hanno sancito anche il successo planetario di Barbie di Greta Erwig, l’estate scorsa). Al contempo ha suscitato molto interesse Comandante di Edoardo De Angelis, regista partenopeo con all’attivo film come Mozzarella Stories, Perez, Indivisibili, Il vizio della speranza.

Paola Cortellesi, regista e protagonista di “C’è ancora domani”, e Valerio Mastandrea in una scena del film

Il film di Paola Cortellesi ha meriti del tutto rilevanti. Riportare l’attenzione su un evento di portata fondamentale come le prime elezioni a suffragio davvero universale – le prime a cui finalmente poterono partecipare le donne – per il referendum Repubblica\Monarchia del giugno 1946 è una scelta il cui successo ci rende felici. Inoltre questo film ha mosso le donne non solo verso le sale cinematografiche, perché rappresenta una prospettiva identitaria molto bella. Di fronte alle difficoltà che il mondo femminile continua a vivere (la piaga terribile delle molestie, delle violenze, del femminicidio; la mancanza di una effettiva parità di diritti, sul lavoro e in altri ambiti; la differenza di potenzialità economica e di accesso ai vari livelli sociali; la riduzione culturale della rappresentazione mediatica del femminile in stereotipi che resistono a oltranza; e ancora altro da aggiungere), mi pare importante che un film faccia ricentrare il dibattito su un passaggio storico così forte e determinato.

Ricordiamoci che, poco dopo, ci furono delle donne eccezionali chiamate a dare il loro contributo (come già accaduto nella guerra di Liberazione, e fu fondamentale) alla stesura della Costituzione della Repubblica Italiana. C’è ancora domani disloca la narrazione apparentemente a lato della storia maggiore, nella vicenda di una donna del popolo, Delia, vessata dal marito violento, prigioniera di un sistema patriarcale che sembra negarle ogni autonomia, ogni prospettiva di evoluzione sociale e della qualità di vita. Eppure, il pertugio offerto dalle circostanze storiche c’è: come per moltissime altre, sarà la possibilità di andare oltre, diventando sul piano del Diritto pienamente cittadine. Le figlie (come già quella di Delia) e le nipoti di quella generazione, pur nei limiti già accennati, avranno altre potenzialità di esprimersi, di essere.

Di fronte a questi elementi di analisi, ogni ulteriore parere impallidisce. Il film è stato apprezzato anche per altri motivi, più precisamente cinematografici, come l’atmosfera, la capacità di tratteggiare i personaggi femminili, la poetica di alcune scene, la sensibilità autoriale in genere.

Poiché questa non è una recensione, posso lasciare da parte una mia valutazione sul film in quanto tale per condividere alcuni passaggi che mi hanno fatto riflettere. La definizione dei personaggi maschili non è del tutto risolta. In particolare mi sarebbe sembrato importante sottolineare che le caratteristiche dell’oppressivo patriarcato che grava dolorosamente sulle spalle delle protagoniste femminili sono da attribuire anche (e soprattutto, vista la sintesi di classismo, clericalismo, sessismo, violenza di genere, che esso ha rappresentato) al fascismo, che ha a questo titolo enormi responsabilità. Le donne che si recarono a votare vi andarono anche perché motivate da ragioni ideali molto forti.

La tradizione socialcomunista, quella di una parte del cattolicesimo italiano, la cultura liberale, concorsero a far sì che ciò divenisse possibile. Ci furono in tal senso delle meravigliose figure femminili che furono di riferimento per la nascente democrazia italiana. Nel film di Cortellesi ciò rimane sfumato: forse la sua efficacia sta anche in questo. Mostrare una figura femminile che, senza caratterizzarsi in maniera politica, arriva comunque a compiere una scelta che le potrebbe costare cara è un elemento di sceneggiatura che ha consentito un forte principio di immedesimazione. Non vorrei però – non lo penso della regista, che ho conosciuto personalmente e stimo molto – che si fosse di fronte alla timidezza con cui talora si affrontano le questioni che determinano uno schierarsi. Il referendum del 1946 fu la sconfitta di determinate forze politiche. Non se ne può che gioire. Se un’opera cinematografica fa memoria di questa Storia è ottima cosa. La sua lettura politica poteva darci altro.

Pierfrancesco Favino nel film “Il Comandante” interpreta il ruolo di Salvatore todaro

Altra riflessione impone Comandante. Non metto assolutamente in dubbio la buona fede di De Angelis e Veronesi (anche lui ho avuto la fortuna di conoscerlo, apprezzo i suoi romanzi) nel raccontare la vicenda di Salvatore Todaro, che compì sicuramente un atto di valore assoluto nel salvare l’equipaggio di una nave belga, che aprì il fuoco per prima e dal suo stesso sommergibile fu affondata in risposta, a rischio della vita dei suoi sottoposti. Dalla vicenda si definisce nel film una narrazione che rischia di essere molto ambigua.

Montenegro, civili ostaggio dell’occupante esercito italinao prima e dopo la fucilazione

Il microcosmo del sottomarino Cappellini diventa l’esempio di una Italia composita, che necessita comunque di un comandante, che sia sempre pronto a affermare che noi italiani siamo quelli che salvano le persone, perché siamo “brava gente”: facciamo atti generosi perché “siamo italiani”.

Non è stato sempre vero durante la guerra, non lo è adesso che gli interventi in mare per salvare i migranti sulle rotte del Mediterraneo non sono certo suffragati da una maggioranza nel Paese che chieda al governo attuale altre dinamiche di intervento.

Questo film, mi direte, ha proprio lo scopo di provocare in tal senso. Mi potrei sbagliare, ma non penso lo faccia in modo efficace. Sono sempre stato affascinato dalla vicenda di Giorgio Perlasca, Giusto di cui si fa memoria a Gerusalemme per aver salvato dallo sterminio centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale, poi tornato alla sua vita senza nulla raccontare, fino a che Enrico Deaglio non lo ha fatto ne La banalità del bene.

Perlasca è rimasto fascista, qual era quando ha fatto quel che ha fatto. Onore a chi, nella sua ideologia politica, sa conservare intera la propria umanità. Todaro, appunto, in quella circostanza: poi egli diventerà parte della storia della futura Xª Mas, morirà però in caombattimento prima del ’43 e del “pronunciamento” di Junio Valerio Borghese e quella sinceramente è stata decisamente un’altra storia.

Si può trattare di un argomento del genere senza entrare nel dettaglio del contesto di una guerra voluta dal fascismo e di cui lo stesso Todaro non è solo eroe, ma anche protagonista e vittima? Non sarà che adesso si racconta di alcune circostanze cercando di minimizzare i dati controversi, visto il vento culturale che soffia da tempo? La guerra qualcuno la sceglie, la maggior parte, direi la quasi totalità, assolutamente no. Ciò che in mezzo a quell’inferno che è la guerra non è stato e non è inferno (per citare Calvino) merita di essere raccontato. Ma bisogna anche affermare al contempo che in un massacro voluto per motivi economici, ideologici, dei vari fondamentalismi e integralismi, non c’è nessuna nobiltà. Quel conflitto seminò morte a dismisura: occorre fare memoria di chi la dichiarò e attribuirgli le debite responsabilità. Davanti all’umanità intera.

Su questa precisa esigenza i mezzi toni, le affermazioni smorzate, le indecisioni di posizionamento non sono consentite. La verità è un ideale regolativo, scriveva Karl Popper: forse. La perdita di dignità quando si smette di cercarla è tutta a nostro carico.

Andrea Bigalli, docente di Cinema e teologia all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, referente di Libera per la Toscana