C’è un’emergenza razzismo? I fatti dicono di sì. Ma capiamoci sulle parole. Prima di essere incardinato in una o più leggi o sistemato “filosoficamente” declinando i presunti motivi “biologici” o “storici” di una diversità “di razza” che inesorabilmente diviene una inferiorità, il razzismo pulsa come un veleno nel sangue dei comportamenti quotidiani e progressivamente si afferma, attraverso una serie di passaggi psicologici e sociali: l’intolleranza, il fastidio, la paura, il rancore. E cresce spesso nei ceti più umili o in quelli decaduti nella scala sociale. Così è avvenuto nei secoli verso gli ebrei, verso i neri d’America, verso “gli zingari”, verso gli islamici, verso gli slavi in generale e in particolare del confine orientale. Così avviene sempre, in una spirale non inevitabile. Perché dipende in gran parte dalle classi dirigenti e dominanti, dalla loro capacità di contrastare questi fenomeni o, viceversa, dalla consapevole scelta di alimentarli quotidianamente con rumorose dichiarazioni o colpevoli silenzi.

I fatti dicono che c’è un’emergenza razzismo per la punta dell’iceberg che si vede, vale a dire l’impressionante sequenza di episodi di cronaca nera che, oramai da tempo, hanno come vittime principalmente persone di colore e in qualche caso di etnia rom o sinti. Gli ultimi eventi, per quanto minori dal punto di vista penale, e cioè l’aggressione alla studentessa e atleta italo-nigeriana Daisy Osakue – per quanto si neghi l’aggravante razzista – e l’oltraggio al senegalese che si sente dire in una Asl “qui non c’è il veterinario”, raccontano di un Paese che sta cambiando pelle sotto la sferza di un ministro che ha fatto della lotta senza quartiere e senza limiti ai migranti la sua missione e di un governo corrivo o inerte.

Né va sottovalutato che il “patrimonio genetico razzista” è parte integrante di tutte le organizzazioni neofasciste e neonaziste che pullulano in Italia e che riversano i loro liquami ideologici quotidianamente attraverso i socialnetwork. Si è sviluppata da anni cioè una sorta di sottocultura parallela che si alimenta con i post, i like, i mi piace, le fake news, e che, sottovalutata dalle istituzioni, sta emergendo in tutta la sua devastante portata.

Non è un mistero che i sondaggi dicono che questo governo per ora trova un consenso significativo fra gli italiani. Ma guai a noi se ci si facesse condizionare in alcun modo: l’apprendista stregone sta evocando fantasmi che col tempo possono diventare incontrollabili. Si discute sui fini di questo “strano” modo di governare: l’obiettivo sono le elezioni anticipate, o le elezioni europee, questo partito vuole fare le scarpe a quest’altro partito, e così via almanaccando. Non ci compete e per alcuni aspetti non ci interessa neppure affrontare questo argomento. Ci interessa altro, e cioè che si sta scientemente gonfiando una bolla di rabbia e di invidia sociale che può esplodere nelle forme meno prevedibili e più devastanti.

Tutto questo dev’essere fermato con la forza tranquilla della democrazia, dell’unità, della cultura, della funzione formativa e informativa dei media. Lanciamo un grido di allarme che sappiamo già essere condiviso da tante ed autorevoli forze sociali di vario orientamento ideale. La barca Italia delle fucilate ai neri, degli ammiccamenti verso il gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Cechia), dei complimenti di Trump al presidente del Consiglio per la politica contro i migranti, andrà a sbattere, e potrà sbattere drammaticamente. Vanno fermati i capitani e i timonieri. Con la forza della ragione, ma al più presto.