Ci siamo: si vota domenica e lunedì. In tante regioni e in tanti comuni per le regionali e le amministrative. Dappertutto per il referendum. Ed è stata davvero una strana campagna referendaria. Alla progressiva crescita dell’argomentato sostegno al No di associazioni, comitati, costituzionalisti, personalità di tanti campi, ha corrisposto un appoggio francamente poco motivato e spesso quasi imbarazzato di tanti sostenitori del Sì. Né sono mancate vere e proprie cadute di stile, in particolare sul fronte del Sì, nel tentativo – per arrivare al nocciolo – di delegittimare le argomentazioni della parte avversa. E ancora: sia da destra che da sinistra c’è stato chi ha cercato di inquinare il voto referendario sostenendo che il suo esito avrà un determinante peso sulla tenuta del governo, laddove è ovvio che l’esito elettorale che potrà avere qualche conseguenza istituzionale non sarà certo quello referendario, ma quello delle regionali, che sono il vero campo di battaglia delle forze politiche in competizione.

Insomma, tutto secondo previsioni: un accorpamento improprio e infelice fra due votazioni di diversa natura, una scarsissima capacità dei sostenitori del Sì nella esposizione del loro punto di vista (in un referendum impropriamente chiamato confermativo spetta proprio ai promotori della legge spiegarne le sue supposte buone ragioni), un notevole tasso di confusione e di conseguenza una conoscenza molto limitata dei termini del problema da parte degli elettori.

L’Anpi – si sa – invita a votare No, proponendo riflessioni ed approfondimenti che sono stati avanzati negli ultimi mesi. Si tratta di una decisione ponderata che viene da lontano, da quando si è cominciato a parlare di questa “riforma” che cambia la Costituzione. Una decisione espressa formalmente in varie prese di posizione degli organismi dirigenti: il 4 marzo di quest’anno il Comitato nazionale Anpi approvava un ampio documento in cui si motivano le ragioni della scelta.

Una foto simbolica della deriva antiparlamentare: un gruppo di deputati che festeggia l’approvazione della legge costituzionale che riduce il numero di deputati e senatori

“La legge – si scriveva – non corrisponde, in realtà, ad alcuna necessità concreta e rappresenta semplicemente una manifestazione di quella antipolitica che si fa circolare nel Paese creando un grave discredito verso le istituzioni fondamentali della Repubblica. Questa riduzione del numero dei parlamentari – frutto di improvvisazione e opportunismo – non corrisponde ad alcuna esigenza reale, anzi investe negativamente il tema della rappresentanza, incidendo sulla stessa struttura istituzionale delineata nell’art. 1 della Costituzione, ponendo seri problemi per una composizione del Parlamento che sia veramente rappresentativa di tutte le esigenze e di tutte le realtà del Paese, e mettendo, insomma, a repentaglio, la funzionalità e la centralità del Parlamento stesso”.

Johnny Depp in un fotogramma del film “Edward mani di forbice”

Entrando nel merito, si aggiungeva: “Questa diminuzione del numero di parlamentari renderà precario e macchinoso il funzionamento delle Commissioni e degli altri organi delle Camere. Per di più occorrerà riscrivere immediatamente la legge elettorale al fine di garantire in Parlamento la presenza, a rischio con tale riforma, di tante forze politiche, e rivedere i criteri di partecipazione alla elezione del Presidente della Repubblica da parte dei grandi elettori delle Regioni. La stessa riduzione di spesa è ridicola, posta a fronte di tante altre spese che le istituzioni sopportano inutilmente e che da anni vengono segnalate con diversi progetti da esperti, le cui indicazioni non vengono mai raccolte”. “Ciò che occorre, semmai, è ricondurre il Parlamento a quel ruolo centrale per le istituzioni e la politica che la Costituzione gli assegna, come luogo di confronto e di elaborazione, anziché ricorrere – come accade continuamente – all’abuso dei decreti legge e del voto di fiducia”. E “la politica deve tornare ad essere quella pensata dall’art. 49 della Costituzione, che assegna ai partiti il compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.”

Su queste basi le strutture territoriali dell’Anpi hanno dato vita ad una campagna referendaria diffusa che ha toccato centinaia di piazze, di mercati, di luoghi di aggregazione popolare, mantenendo l’impegno contenuto nello statuto dell’associazione di difendere la Costituzione repubblicana nella sua essenzialità. Si intende il principio della democrazia rappresentativa ed il conseguente diritto dei cittadini ad essere rappresentati e a riconoscere nel parlamento il luogo dove si incarna la rappresentanza, si decidono le leggi, si controlla l’operato del governo. E tutto questo è stato fatto nonostante le difficoltà legate agli effetti della pandemia ed all’infelice decisione di accorpare il voto referendario a quello amministrativo.

Si rifiuta, in conclusione, una legge di riforma costituzionale motivata dai presentatori con argomenti inconsistenti e francamente demagogici, buoni soltanto a rimestare nel malumore e nel rancore che alberga, spesso a ragion veduta, in una parte degli elettori. Questo rifiuto nasce da una scelta meditata ed approfondita nel tempo, rappresentata dallo slogan prevalente della campagna referendaria dell’Anpi: “No, per essere rappresentati, non ignorati”.