L’Anpi con il Forum delle associazioni partigiane in Piazza San Giovanni il 16 ottobre 2021

Il 13 ottobre scorso, su questo stesso giornale, Gianfranco Pagliarulo, il nostro presidente nazionale ha scritto: «Ci sono momenti in cui, nella vita pubblica come in quella privata, prevale l’aspetto della riflessione. Altri in cui, invece, è urgente e indifferibile l’azione». Dopo la imponente manifestazione di Piazza San Giovanni, che ha rappresentato la compatta, efficace risposta della società democratica, nella varietà delle sue espressioni, all’offensiva dello squadrismo, è forse tempo di coniugare la necessità di tenere alta la vigilanza e di proseguire nella mobilitazione unitaria con l’avvio di una riflessione che si prefigga di comprendere meglio le cause, remote e prossime, degli inquietanti avvenimenti di cui Roma era stata teatro il sabato precedente.

Roma, disordini alla manifestazione no green pass del 9 ottobre (Imagoeconomica)

Partiamo da una considerazione. È indubbio che l’organizzazione del raduno di Piazza del Popolo e la regia degli assalti a Palazzo Chigi e alla sede nazionale della Cgil siano addebitabili ai neofascisti; ma altrettanto innegabile è la disponibilità di larghissima parte dei no vax e dei no green pass a fare ricorso alla violenza, come ha dimostrato l’irruzione nel Pronto soccorso dell’ospedale “Umberto I” e come attestano le adunanze, i cortei, i presidi che si susseguono da settimane nelle maggiori città italiane. Sta qui il “salto di qualità” denunciato nell’appello dell’Anpi.

Proteste no green pass  dei portuali nei principali scali marittimi italiani (Imagoeconomica)

Alla richiesta di garantire l’ordine democratico deve perciò accompagnarsi lo sforzo di comprendere le radici e le motivazioni di una protesta tanto esacerbata e durevole quanto inconcludente. Ancora: vi è il fondato sospetto che essa sia soltanto la punta dell’iceberg, ovvero ‒ e meglio ‒ che agisca da catalizzatore di un malessere sociale profondo e diffuso, esasperato dai molteplici effetti della pandemia, che va analizzato senza farsi tentare da frettolose semplificazioni e generalizzazioni.

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Si ha la sensazione che, esclusi i gruppi organizzati, gli attori della rivolta contro i provvedimenti assunti a tutela della salute pubblica siano, nella grande maggioranza, lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti: ovvero, che appartengano a categorie fra le meno duramente colpite dall’emergenza determinata dal virus. Certo, l’ultimo ventennio ha conosciuto il progressivo impoverimento dei ceti medi, il declino di attività tradizionali, i nuovi assetti della distribuzione commerciale, la crescente parcellizzazione e precarizzazione del lavoro, il notevole ridimensionamento della rete di protezione del welfare; ma fa impressione assistere a una disobbedienza incivile di tale ampiezza e intensità, alla improvvisa e iperbolica radicalizzazione del dissenso, per giunta ‒ e paradossalmente ‒ in una fase in cui si avvertono chiari segnali di ripresa produttiva e, per riflesso, di espansione dei consumi.

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Secondo Carlo Galli, questa disobbedienza sarebbe figlia di una «solitudine spaventata». Ipotesi condivisibile, a patto di precisare che la solitudine è provocata da almeno due fattori, fra loro peraltro ‒ almeno per certi aspetti ‒ correlati. Da un lato, il disfacimento dei legami sociali, la caduta del vincolo solidaristico e, per converso, l’affermazione di un egoismo ipertrofico, generato dalla cultura del narcisismo (acutamente analizzata da Christopher Lasch già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso), da una concezione «libertina» (l’aggettivo è di Recalcati) della libertà e dall’antistatalismo del pensiero neoliberista. Dall’altro, la sistematica svalutazione dei corpi intermedi, che ha privato i cittadini degli strumenti attraverso cui avevano concorso per decenni alla formazione della volontà politica, e che ha degradato la sfera pubblica a palcoscenico di un individualismo incontinente oppure a spazio di una dialettica paralizzante fra la Piazza e il Palazzo. In tutto ciò vanno ricercate le origini dello «sciopero della cittadinanza» di cui ha parlato Galli, e di cui è eloquente sintomo il preoccupante indice di astensionismo registrato nelle ultime tornate elettorali.

27 ottobre 2021, Senato. Dai banchi del centrodestra l’esultanza per essere riusciti ad affondare con voto segreto il ddl Zan (Imagoeconomica)

Se alla crisi dei partiti, all’immiserimento del discorso pubblico (cui danno un cospicuo contributo i social), all’imbarbarimento del confronto politico (dove la polemica spicciola, gli slogan propagandistici, l’esagitazione verbale hanno soppiantato l’argomentazione e la proposta), all’accentramento dei poteri nell’esecutivo e alla corrispondente marginalizzazione del parlamento, si aggiungono la crociata contro le élite, la denigrazione delle competenze, il disprezzo verso il sapere, il mito populista della democrazia diretta, la glorificazione dell’antipolitica, si distingueranno meglio le ragioni non soltanto del rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione (dovuto all’ignoranza, al pregiudizio, alla diffidenza nei confronti dell’autorità), ma anche ‒ e più in generale ‒ della contemporanea presenza di una larga area di sfiducia, di passività, e di un’area di ribellismo esasperato, per fortuna ancora circoscritta. Sarebbe però stolto trarre motivo di consolazione dall’aritmetica; nulla assicura che l’insubordinazione cieca e distruttiva non dilaghi, non solo e non tanto per effetto delle infiltrazioni neofasciste e dell’atteggiamento irresponsabile di quelle forze politiche che alimentano cinicamente incertezze e paure, quanto per l’incapacità della democrazia di recuperare ritardi, di correggere storture, di sanare ferite.

Non spetta certo a noi dettare l’agenda del governo; ma bene abbiamo fatto ‒ e la conferma viene dalle cose ‒ a porre al centro del documento congressuale la necessità e l’urgenza di affrontare alcune questioni capitali, che gravano sul presente e minacciano di ipotecare drammaticamente il futuro. Mi limito a nominarne tre, che mi paiono di particolare rilevanza.

La prima: se davvero si ha a cuore la coesione sociale (come peraltro tutti affermano), occorre impegnarsi a ridurre ‒ da subito, e concretamente ‒ le disuguaglianze, le disparità, gli squilibri territoriali, riaffermando la centralità del lavoro con la tutela dei suoi diritti e della sua dignità, regolando l’economia e ridefinendo in essa il ruolo del pubblico e quello del privato, ristabilendo il primato della politica sulla finanza.

(Imagoeconomica)

La seconda: appare indifferibile una profonda riforma democratica dello Stato, che ‒ in conformità con lo spirito e con il dettato della Costituzione ‒ favorisca la partecipazione collettiva al governo della cosa pubblica, esalti la funzione della cittadinanza attiva, ridia valore al principio della rappresentanza e ne ripensi i circuiti, gli istituti e le forme (ci viene ripetuto fino alla noia che i partiti di massa sono un’anticaglia novecentesca; resta il fatto che la loro dissoluzione ha scavato un abisso fra società civile e società politica, ha propagato frustrazione e rabbia, ha alimentato tentazioni cesariste).

Uno striscione esposto durante la manifestazione No green pass dello corso 9 ottobre in piazza del Popolo a Roma recita “Vaccini strage di Stato” (Imagoeconomica)

La terza: dopo un ventennio circa di interventi legislativi ispirati a una presunta istanza modernizzatrice, la scuola deve essere restituita alla sua missione di fondamentale agenzia educativa e formativa; l’attuale ventata irrazionalistica e antiscientifica è, in buona misura, la conseguenza della carenza di conoscenze, della insufficiente facoltà di discernimento, della disaffezione all’esercizio del senso critico, dell’atrofia dello spirito civico prodotte da un sistema scolastico che si è voluto piegare a una finalità utilitaristica, improntare a una logica produttivistica, modellare su criteri aziendalistici.

Essere antifascisti oggi significa anche avere consapevolezza che le storture e le inadempienze della democrazia sono le migliori alleate dei suoi nemici.

Ferdinando Pappalardo, vicepresidente nazionale Anpi, presidente Comitato provinciale Anpi Bari