Lo confesso: ciò che mi ha colpito di questa campagna referendaria è l’equilibrio, direi il pudore, dei più autorevoli promotori del Sì.

Il malizioso avrebbe potuto paventare, da parte del governo, un intervento a piedi uniti, una qualche esagerazione, addirittura il sotterfugio della bugia (sia pure a fin di bene, s’intende). Invece, niente. Ha prevalso una sola parola d’ordine: sobrietà.

Per non parlare dei costi della politica. È sotto gli occhi di tutti l’encomiabile risparmio della campagna referendaria per il Sì, accompagnato – per di più – dal puntuale rendiconto di ogni centesimo di euro speso. E il rigore etico e istituzionale, lo vuoi mettere? Mai una parola sopra le righe, mai un sia pur lontano ammiccamento ai disdicevoli riti del qualunquismo e della demagogia, chessò, basta con i politici, tagliamo le poltrone, cacciamo la casta.

Per essere più chiari, nessun tentativo di condizionare il voto all’estero, per esempio, con un tour latinoamericano – si fa per dire, naturalmente – di un ministro della Repubblica. Nessuna lettera firmata dal presidente del Consiglio ai cittadini italiani residenti all’estero. Nessun pieghevole di otto pagine a cura del comitato per il Sì inviato per posta a tutte le famiglie italiane.

Ma l’aspetto più sorprendente è senza dubbio dato dall’immotivata ma costante assenza di Matteo Renzi dagli schermi televisivi. Mai in Rai, mai su Mediaset, mai sulle altri emittenti. Va dato atto alla presidente della Rai – è da aggiungere – di aver tenuto ferma la barra della completezza e dell’obiettività dell’informazione, evitando in modo certosino e forse pignolo un qualsiasi squilibrio nell’esposizione delle ragioni del Sì e del No; si parla della Signora Monica Maggioni che, com’è noto, dal gennaio 2017 non sarà presidente della sezione italiana della Trilateral, nonostante tale associazione – è risaputo – sia foriera di atti e fatti ad esclusivo beneficio degli esclusi e degli emarginati del mondo intero, ispirandosi al pensiero ed all’azione di don Andrea Gallo.

Per la verità, la misura dei comportamenti del governo, tale – va riconosciuto – da debordare sul terreno della vera e propria castigatezza, è stata agevolata dalla formulazione del quesito referendario, pennellata con mirabile obiettività al fine da non condizionare né punto né poco l’orientamento dell’elettore.

Va preso atto, poi, che il presidente del Consiglio non ha mai parlato – e tampoco presentato – dagli schermi televisivi di una scheda elettorale per il voto popolare per il Senato riformato. Come avrebbe potuto farlo, d’altra parte, dato che, ove venisse confermata la riforma dal voto referendario, tale elezione non potrebbe avvenire perché il nuovo testo costituzionale afferma in modo esplicito che sono i consigli regionali ad eleggere i senatori?

Concludendo, nei modi e dei toni della campagna referendaria per il Sì ha prevalso la moderazione e il senso di responsabilità; lo stesso non si può dire di coloro che hanno dato vita alla campagna per il No; Smuraglia, Camusso e Chiavacci hanno addirittura sottoscritto un appello comune, e l’ANPI si è persino permessa non solo di promuovere una bizzarra staffetta radiofonica e online con Radio Articolo1, ma addirittura di dar vita ad una grande manifestazione per il No al teatro Brancaccio di Roma dove fra l’altro – e questo la dice davvero lunga – è intervenuto persino il costituzionalista Alessandro Pace. Ma dove siamo arrivati?

Non basta, perché… Scusate, c’è un imprevisto. Vi devo proprio lasciare perché, per motivi a me del tutto oscuri, mi stanno ricoverando con urgenza in una casa di cura con Trattamento Sanitario Obbligatorio.