«Saremo in piazza, donne e uomini insieme – ha detto Carla Nespolo, presidente nazionale Anpi, annunciando l’adesione dell’Associazione alla manifestazione nazionale promossa per oggi da “Non una di meno” – per difendere, in continuità con le lotte sociali che le nostre partigiane hanno portato avanti anche dopo la Resistenza, le conquiste ed i valori propri di uno stato democratico, aperto e avanzato, per costruire relazioni e solidarietà diffusa e respingere, con forza, l’assalto all’autodeterminazione della donna, la paura e l’odio».
Patria, alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza di genere, vi ripropone, una poesia di Alda Merini e un’intervista dello scorso anno alla partigiana Marisa Ombra, vice presidente nazionale dell’Anpi, pubblicata lo scorso anno ma sempre attualissima.
SPAZIO (in “Vuoto d’amore”, 1991)
Spazio spazio io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita;
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.
Ed ecco un estratto dell’intervista alla partigiana Marisa Ombra, vice presidente dell’Anpi nazionale, già dirigente dell’Udi. Ombra racconta a Monica Emmanuelli il progetto e il volume “Noi, compagne di combattimento… I Gruppi di difesa della donna, 1943-1945”, nato da un’idea del Coordinamento donne dell’Anpi e sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in occasione del 70° anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione.
Marisa Ombra, presentando in anteprima il progetto al convegno tenutosi a Torino al Teatro Carignano, il 14 novembre 2015, aveva ricordato la prima riunione dei Gdd dell’Astigiano a cui partecipò nel 1944 in veste di giovane staffetta di Agliano: «Eravamo riunite intorno a un tavolo, in una calda cucina contadina, una ventina di donne. Immaginiamole per un istante: cresciute nel fascismo, conoscevano poche parole all’infuori di quelle che si pronunciavano in famiglia: credere, obbedire, combattere. Quelle che stavano scritte sui muri delle case. Non ricordo cosa dissi. Ricordo, invece, come fosse ieri, l’atmosfera di attenzione, quasi di rivelazione, che aleggiava in quella cucina: come l’attesa di un nuovo mondo che sarebbe stato svelato».
La nascita dei Gruppi di difesa della donna significa molte cose. Prima di tutto una rottura epocale: la prima volta delle donne in guerra. Partecipazione diretta mai avvenuta prima. Il Comitato di Liberazione Nazionale, organo di direzione della Resistenza, le accomuna ai partigiani ed esse stesse si presentano come «compagne di combattimento». Un fatto che modifica l’idea stessa di Resistenza, quel tipo di Resistenza tramandata dalla storiografia fino ai primi anni Settanta, in cui si racconta unicamente di un pugno di ragazzi che, armi in mano – anche se poche – combattevano in condizioni terribili – due inverni freddissimi – contro uno dei più attrezzati eserciti del mondo. L’organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, invece, può essere considerata uno tra gli eventi che ha mobilitato buona parte dell’Italia. Per questo è importante studiarne i documenti e ricostruire le biografie delle sue attiviste, spesso rimaste anonime.
La lotta di liberazione delle donne ha caratteristiche peculiari? Quali?
Le donne sono state l’anima di questa mobilitazione: una sorta di fronte interno che toglieva terreno agli occupanti, che si muoveva alle loro spalle. Le donne provvedevano a nutrire i partigiani, a vestirli, li avvertivano della presenza dei tedeschi, procuravano loro le armi, attraversavano posti di blocco, diventavano staffette, ma non solo, facevano i turni di guardia, prendevano esse stesse le armi e sparavano quando era necessario.
Parri nel novembre del 1945 disse che senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza. Si tratta di un’affermazione importante, purtroppo trascurata per molti anni dalla storiografia ufficiale.
La partecipazione delle donne alla Resistenza cambiò anche il loro ruolo nella famiglia e nella società?
Certo. Le donne vennero trasformate dalla Resistenza: passarono dalla condizione di madri che avevano come unico compito quello di fare figli per la patria – per mandarli in guerra –, alla scoperta di doti fino ad allora inespresse: il coraggio, l’inventiva, la capacità di fare tutto ciò che avevano visto fare solo ai ragazzi. Questo fatto può essere interpretato come l’ingresso delle donne nel mondo come soggettività, come titolari di diritti, come cittadine. Si tratta dell’inizio di una lunga e lenta battaglia, innanzitutto per scoprire in quanti e infiniti modi erano state da sempre discriminate ed andare contro queste discriminazioni per far emergere quella parte di sé rimasta latente e soprattutto per prendere coscienza di ciò che potevano essere e diventare, cioè partecipando attivamente alla crescita del proprio Paese.
Pubblicato sabato 24 Novembre 2018
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