«Merito dell’Anpi è di aver portato allo scoperto gli squadristi. Anche quelli che fanno finta di non esserlo. E il motivo dell’odio per l’Anpi è che l’Associazione dei partigiani educa i giovani alla Costituzione, alla legalità e all’antifascismo». Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della Stampa, viene da giornate intense: il 5 ottobre era a Marzabotto, su invito del sindaco della città, per ricordare la strage di Monte Sole, compiuta dai nazifascisti nell’ottobre del 1944. Il 1° ottobre si trovava a Conselice, nella Bassa Romagna per il 14° del Monumento alla libertà di stampa e alla stampa clandestina.
Dal 2006 sulla piazza del paese stata installata la “pedalina”, una vecchia macchina tipografica a pedale che negli anni ’43-’44 era utilizzata per stampare i giornali dell’antifascismo. Alle spalle della pedalina le lastre impresse con le testate dei giornali che si stampavano nella clandestinità e sopra le bandiere italiana ed europea.
Da 14 anni la celebrazione, organizzata assieme all’Anpi e all’Associazione della Stampa Emilia-Romagna, è diventata un evento nazionale. Come si spiega questo successo?
«Si tratta di un’idea molto semplice e molto bella per ricordare giornalisti e tipografi uccisi dai nazifascisti. Un appuntamento straordinario, merito dei sindaci di questa piccola comunità che il 1° ottobre diventa la capitale nazionale dell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di stampa. Aggiungo che quello di Conselice è l’unico monumento in Italia che ricorda la libertà di stampa e che da quella piazza ho lanciato la proposta di un gemellaggio tra Conselice, Pianaccio di Lizzano in Belvedere e Marzabotto, perché nella terra di Enzo Biagi e Sergio Zavoli si costituisca un circuito sulla Libertà di pensiero, contro un fascismo che diventa ogni giorno più evidente.
Dobbiamo insegnare ai nostri giovani che il fascismo nasce bruciando la Case del popolo, le cooperative, i giornali. Il regime mussoliniano per sua natura non ammette differenze e diversità. Tra le cosiddette leggi fascistissime successive all’assassinio di Giacomo Matteotti c’è proprio la censura, il controllo dei giornali da parte del governo, lo scioglimento del sindacato dei giornalisti, l’obbligo per i direttori di essere iscritti al Pnf. L’elenco dei martiri della libertà di stampa è lungo: Matteotti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, Piero Gobetti, solo per citarne alcuni, erano non solo esponenti politici di primo piano dell’opposizione ma anche giornalisti che con la loro penna avevano mostrato il volto informe e feroce della dittatura».
La soppressione delle voci dissenzienti è un tratto tipico dei regimi autoritari non solo nel secolo breve, ma anche nel terzo millennio…
«Anche oggi i regimi sono accomunati dall’odio verso la libertà di informazione, ostilità che, ovviamente, si manifesta in forme diverse rispetto al passato. È una linea che accomuna Trump e Bolsonaro, ma pure la Sira, l’Iraq, la Turchia. E sta emergendo un attacco alla libertà di informazione che sta spargendo i suoi veleni perfino nel cuore dell’Europa. Penso in particolare all’Ungheria – dove Orban, ha supervisionato una legge che col pretesto della pandemia prevede pene detentive fino a cinque anni per chi diffonde informazioni che non piacciono al regime – e alla Polonia. E quello che preoccupa è che mentre l’Unione europea è riuscita ad intervenire a suo tempo con durezza sulla Grecia per far rispettare i conti, quando si tratta di far rispettare i trattati fondamentali e i valori essenziali, tra questi la libertà di informazione o la libertà dei migranti e la dignità delle persone, ebbene quel grado di energia è purtroppo decisamente inferiore».
La classifica 2020 realizzata da Reporters Sans Frontières in merito alla libertà di stampa nel mondo vede l’Italia al 41° posto. Dietro tutte le altre maggiori potenze europee. Perfino dietro paesi in via di sviluppo come il Ghana e il Burkina Faso. Siamo davvero messi così male?
«L’Italia è un paese che ha 222 cronisti sotto scorta, il numero più alto in Europa, legato alla specificità della presenza della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta. A questo elemento, determinato dalla criminalità organizzata, dobbiamo aggiungere un altro triste primato: l’Italia ha un giornalista sotto scorta – Paolo Berizzi, di Repubblica –, minacciato perché tiene una rubrica sui gruppi fascisti. Carlo Verdelli ha ricevuto spesso minacce di morte sui social per avere ospitato su Repubblica, quando era direttore di quel giornale, inchieste documentate sui gruppi neofascisti. Per non dire dell’aggressione subita dai cronisti de L’Espresso al cimitero Verano di Roma il 7 gennaio dello scorso anno durante una commemorazione dei morti di Acca Larentia. E potrei continuare. Quando la giornalista Angela Caponnetto mette piede a Lampedusa e smaschera, raccontando i fatti e facendo il suo mestiere, la montagna di fake news che viene scritta sui migranti, parte immediatamente, come a comando, una batteria di squadristi che maneggiano tutto l’armamentario fascista, compresi volgarità irripetibili e sessismo per colpire la giornalista di Rainews. Ma voglio ricordare anche le aggressioni permanenti nei confronti di Asmae Dachan, straordinaria ragazza italiana di origine siriana. È donna, musulmana, porta il velo, rivendica la sua identità, ama la nostra Costituzione e vuole costruire ponti che uniscano culture e popoli: quanto basta per finire nel mirino delle destra sovranista. I fascisti odiano ogni forma di diversità e odiano chi si dedica a scrivere su questi temi. D’altronde una delle persone più detestate dai fascisti è il Papa. Ai miei tempi lo scontro era destra/sinistra, oggi Francesco che parla dei ponti contro i muri è nella top degli obiettivi dei fascisti. E non perché sia di sinistra, come dice qualche stolto, ma semplicemente perché difende valori fondamentali di convivenza e tocca i temi che l’estrema destra non vuole nemmeno sentire sfiorare».
La cronaca di questi ultimi anni ci pone di fronte ad una rinnovata aggressività delle organizzazioni dell’estrema destra. La normativa per colpire i movimenti che si ispirano al ventennio fascista esistono, legge Scelba e legge Mancino, il punto è che non vengono quasi mai applicate.
«Circola da tempo ormai una singolare idea: che meno si parla delle organizzazioni neofasciste è meglio è. C’è chi pensa che non dando risalto alle loro azioni squadriste questi gruppi, chissà per quale motivo, andrebbero sgonfiandosi. Un’assoluta sciocchezza. Io, per quel che mi riguarda continuerò ad alzare la mia voce e quella del sindacato, per dire basta alla violenza squadrista. Non mi stancherò mai di ripeterlo, il fascismo non è una opinione tra le altre. È un reato da perseguire. Non puoi costituzionalmente girarti dell’altra parte. E non puoi per tanti validi motivi che sintetizzo così: 1°, perché lo vieta la Costituzione; 2°, perché lo vietano le leggi; 3°, perché lo vieta la dignità; 4°, perché lo vieta la memoria di chi è stato ammazzato per restituire la libertà al Paese».
Dalla pedalina di Conselice ad oggi: la strada della libertà è stata lunga e faticosa.
«Lunga e faticosa e ancora da percorrere, però per fortuna che c’è stata la pedalina di Conselice. Sono all’antica tendo a vedere il percorso e mi sento di dire senza quella pedalina noi non saremmo qui a scrivere e a parlare. Quelle pedaline hanno segnato la ripresa della libertà. Sono memoria da onorare ma anche monito per il presente. Perché i rischi dell’oggi sono tanti. Le nuove ideologie della destra radicale non solo prevedono che il capo parli alla folla attraverso il balcone digitale ma mirano a fare a meno della mediazione del parlamento, dei sindacati, dell’associazionismo. Ecco perché il progetto di educazione alla Costituzione portato avanti dall’Anpi è così importante. Ed ecco perché non possiamo non dire grazie all’Associazione partigiani per quello che fa nelle scuole per aiutare a far crescere cittadini consapevoli dei loro diritti».
Pubblicato lunedì 12 Ottobre 2020
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