Siamo sinceri: predire il futuro ci rende tutti vulnerabili. La Storia ha una lunghissima lista di “profeti” che con le loro affidabili previsioni hanno dimostrato d’essere completamente nel torto. Alcuni importanti avvenimenti pronosticati non sono mai accaduti, mentre altri eventi di assoluta rilevanza sono giunti del tutto imprevisti: il crollo dell’Unione Sovietica, per esempio, prese molti alla sprovvista, soprattutto dopo le molte predizioni dell’imminente collasso del capitalismo occidentale. Cionondimeno, alla luce di alcuni importanti successi elettorali dell’estrema destra in Europa, abbiamo il dovere di fare alcune osservazioni e porci delle domande.
Lo facciamo con Matteo Albanese storico contemporaneista e studioso delle destre estreme postfasciste.
Matteo Albanese è dal 2013 ricercatore all’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Lisbona. Ha pubblicato saggi e libri in Italia e all’estero sui temi della violenza politica, dell’estremismo e del terrorismo. Da anni si occupa delle reti transnazionali del neofascismo e del neonazismo. Il suo ultimo libro, Transnational Fascism edito da Bloomsbury nel 2016, ha vinto il premio ERICS dell’accademia portoghese e ha ricevuto ottime recensioni accademiche e grande attenzione sui media di molti Paesi europei.
Come mai hai deciso di studiare l’estrema destra in Italia e in Europa?
Inevitabilmente la violenza politica, organizzata e ideologica, ha caratterizzato l’esperienza umana in ogni epoca; è chiaro che le esperienze legate ai gruppi estremisti a noi cronologicamente più vicini presentano diverse sfide per una storiografia che non voglia rimanere emarginata, ma al contrario decida di essere partecipe del dibattito pubblico. Per questo mi sono dedicato e mi dedico allo studio dell’estremismo politico; ho cominciato, in realtà, con una tesi di dottorato sulle brigate rosse [1]. In realtà, il passo dall’estrema sinistra all’estrema destra è stato piuttosto breve. Gli schieramenti erano talmente polarizzati da giustificarsi, in parte, l’uno con l’altro. L’anticomunismo armato [2] è sicuramente una delle chiavi di lettura per capire l’antifascismo “militante” e la fascinazione per la mitologia sulla Resistenza “tradita”. Insomma direi che, per fortuna, i fenomeni non possono essere studiati in sé semplicemente perché quel piano dell’esistente non esiste. Per questo oggi lo storico, essendo un esperto del contesto, può rintracciare meglio di altri scienziati sociali le determinanti che stanno dietro all’esplodere di alcuni fenomeni. Rispetto all’approccio che ho scelto di usare, ossia la storia transnazionale, il metodo è venuto quasi da sé una volta che, raccogliendo dati e fonti, mi sono reso conto sempre di più di quanto il contesto e i gruppi di cui stavo cercando di capire ideologia e azioni, si muovessero in un teatro che non era più quello dello Stato Nazione [3]. Quando vedi che non solo i gruppi dell’estrema sinistra sviluppano una rete di relazioni internazionali, cosa consona alla loro ideologia, ma che lo stesso percorso viene battuto dalla destra neofascista, allora sei portato a pensare che quel tratto sia un tratto distintivo di un momento storico, parte del quadro d’insieme e, quasi come conseguenza, ti sposti su di un terreno di ricerca transnazionale.
Dicevi di aver conosciuto alcune di queste realtà; potresti descrivere alcune di queste tue esperienze?
Nel corso del mio lavoro mi è capitato spesso di avere a che fare con fonti orali. Studiando fenomeni relativamente vicini nel tempo, mi è capitato spesso di intervistare alcuni dei protagonisti degli anni 60 e 70. È stata, senza dubbio, un’opportunità importante sia da un punto di vista scientifico sia umano. Mi ha permesso, a volte, di dare volto, muscoli e cervello a personaggi che, altrimenti, sarebbero rimasti solo nella descrizione dei documenti. Come diceva Topolski nella sua Metodologia della ricerca storica, non bisogna mai fidarsi delle carte e delle fonti. Figuriamoci degli uomini! Le interviste sono state importanti per il contesto; difficilmente hanno fornito elementi completamente nuovi alla ricerca. Ogni uomo tende ad autoassolversi e a giustificare le proprie azioni. Questo è vero in ogni frangente e ancor più nel caso in cui si abbia a che fare con persone che hanno compiuto gesti estremi. Il dato interessante è stata la disponibilità che ho incontrato da parte di questi soggetti; in più di dieci anni di ricerca quasi nessuno si è negato. Un altro dato che occorre sottolineare è il grande livello di ideologismo che ho trovato anche tra i militanti più giovani. Nel lavoro che, insieme ad altri, ho svolto su CasaPound [4] mi hanno molto colpito alcuni aspetti di iper-politicizzazione di alcuni temi già presenti nella destra neofascista degli anni 70. Questo è, a mio parere, un segno importante del passaggio di valori tra una generazione e l’altra [5]. Vuol dire che, almeno in parte, il “filo nero” che univa e unisce differenti generazioni di estremisti non si è mai spezzato. Questo non vuol dire che i neofascisti odierni siano rimasti incollati, sclerotizzati, in una sorta di loop anti-storico a ripetere le stesse cose di cinquanta anni fa. Vuol dire che esiste un movimento reale e negli ultimi anni sempre più ampio che ragiona da destra sulle questioni della modernità. Ci sono legami ideologici profondi che riprendono almeno tre punti: l’avversione per la democrazia rappresentativa [6] e i partiti che sarebbero portatori del peccato originale: stabilire l’uguaglianza tra le persone. Il secondo punto è relativo a un razzismo di fondo che si esprime sia in termini biologici (il nero, l’ebreo) sia, e direi soprattutto, in termini culturali nei confronti dell’Islam; in nome di un antico tradizionalismo si rivendicano appartenenze cristiane con letture estremamente ultra-montane della fede cristiana. Il terzo punto ha direttamente a che fare con una visione anti-liberale della società e dell’economia. L’idea di uno Stato organico che debba prendersi cura della vita della comunità (quella che risponde ai criteri di purezza) ha, per forza, in odio le forme di speculazione finanziaria e lo stesso individualismo che sta alla base del pensiero liberale. Da questo punto di vista un nuovo nazionalismo condito da tratti quasi autarchici ha preso piede nel discorso pubblico delle destre radicali in tutta Europa con il nome di “sovranismo”, infatti, si pubblicizzano antiche tesi autarchiche.
In cosa consiste secondo te il nuovo consenso che oggi intercettano le formazioni di estrema destra?
Bisogna, a mio parere, rifarsi ai tre punti appena enunciati e capire come questi abbiano incontrato le società occidentali: la crisi ha messo in discussione non solo i livelli di vita di milioni di persone, ma ne ha profondamente minata la fiducia nel futuro; da questo punto di vista la vittoria culturale della destra estrema è emblematica. Molti dei suoi slogan sono oramai completamenti accolti dai media mainstream. I partiti sono corrotti, la democrazia non funziona, l’Europa ci obbliga a tagliare le spese sociali e i migranti sono tutti criminali e terroristi. Ecco, l’estrema destra ha dato risposte semplici ai problemi della modernità individuando i nemici (nella loro propaganda non sono avversari ma nemici, con tutto il carico di violenza che ne consegue) in una perfetta visione schmittiana. Un ritorno a un mondo chiuso e autarchico, sia economicamente che culturalmente e razzialmente, viene auspicato come panacea di ogni male. Purtroppo la narrazione del neofascismo semplifica e banalizza problemi enormi, ma è vero che rimette tutto sul terreno; prende fenomeni lontani e li fa apparire vicini. Riconnette i cittadini alla dimensione dello scontro politico dicendogli che i nemici sono qui dove lui può vederli e combatterli. Questi nemici sono i migranti, i partiti e l’Europa. Sia chiaro non tutto è propaganda: le misure suicide varate da Bruxelles in tema di crisi, austerity e spesa sociale sono state oggettivamente devastanti e hanno sicuramente lasciato ampio spazio di consenso a chi, come appunto le destre neofasciste, cavalca un nuovo nazionalismo.
Oltre alla raccolta della rabbia popolare c’è un’idea programmatica nelle destre neofasciste?
Sì, una proposta esiste e per capirlo basta andarsi a rivedere il programma del Front National francese che ha quasi vinto le elezioni: chiusura delle frontiere, uscita dalla moneta unica, e di conseguenza una forte possibilità di uscita dalla UE, oltre alla rivendicazione di valori tradizionali per arginare le minoranze interne ai paesi europei. C’è di fondo l’idea che il solo modo per gestire i movimenti migratori sia quello di ghettizzare le comunità non native. Anche questa pratica è per nulla nuova. Dal punto di vista economico spesso convivono elementi classici del fascismo sociale, come l’aumento di salari e pensioni, insieme a provvedimenti ultra-liberisti quali la flat tax. In particolare c’è l’idea della supremazia della politica sull’economia e sulla vita civile; basti guardare quello che sta accadendo in Polonia, con la legge che pone la magistratura sotto il controllo del potere politico, o in altri paesi dell’Est Europa. Siamo de facto di fronte a un rifiuto della Rivoluzione francese e dei suoi valori di eguaglianza e di divisione dei poteri. Tutto questo in favore di un modello post-democratico autoritario.
Molti hanno provato a dare delle ricette per contrastare l’affermazione di questi movimenti che nelle periferie predicano l’odio contro rifugiati, rom e nuovi italiani. Ritieni valida qualcuna di queste soluzioni?
In realtà la risposta, a mio parere, sarebbe una sola, e cioè creare opportunità di lavoro. Di lavoro vero, s’intende, non di simulacri. Hanno gettato due generazioni in pasto alla paura della precarietà e della disoccupazione. Questo affermarsi della destra nazionalista è, in parte, frutto di questo clima sociale e culturale. Ti faccio un esempio semplice: tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 80 in Italia migrano 3 milioni di persone dal Sud al Nord del Paese. Un dato impressionante che, se paragonato ai flussi migratori odierni, farebbe sembrare questo fenomeno una scampagnata; i giovani che arrivavano a Milano o a Torino dalle campagne del Sud non avevano certo vita facile; mio padre lo chiamavano “terrone” e in città non volevano affittargli le case perché era meridionale. A mia madre chiedevano se noi “terroni” piantavamo il prezzemolo nel bidet (è curioso pensare che i figli di molti di questi emigranti poveri oggi possano pensare di votare Salvini…). Eppure quella generazione si è integrata e si è integrata grazie al lavoro, un posto fisso, al mutuo per comprare casa e far studiare i figli. Oggi un mutuo chi te lo eroga con i nostri contratti precari?
La risposta è semplice, ed è il lavoro da creare per le generazioni più giovani; certo, per fare questo si dovrebbe uscire dalla mera dimensione di analisi storica del fenomeno neofascista e parlare di redistribuzione e di tante altre cose che non sono il cuore di questa intervista.
Qual è stata in Italia la connessione tra criminalità organizzata, servizi deviati e neofascismi?
Questa è una domanda piuttosto complessa che, se permetti, dividerei in due. I rapporti tra estrema destra e pezzi di servizi deviati ci sono stati ed è stato dimostrato da decine di processi e da molta letteratura[7]. Quel tipo di collaborazione criminale, però, va contestualizzata dentro un processo globale che noi chiamiamo Guerra Fredda[8]. Gladio, Stay Behind erano tutte strutture che hanno utilizzato e coperto i neofascisti al fine di utilizzarli contro l’avanzata del Pci. Nel contesto odierno, com’è facile intuire, questo tipo di relazione non credo esista nei grandi numeri. Per quanto riguarda la criminalità organizzata, invece, le cose sono differenti. In passato (ed anche questo lo sappiamo bene) le cosche si sono spesso mischiate con l’estrema destra e viceversa. Basti pensare al processo di nascita della Sacra Corona Unita nelle carceri pugliesi per averne una prova. Allo stesso modo che elementi della criminalità romana, come la Banda della Magliana, fossero vicine al neofascismo è anch’esso un dato acquisito. Per quanto riguarda l’oggi, la vicenda di Roma Capitale e il riaffacciarsi sulla scena di personaggi dell’estremismo nero degli anni 80, insieme a comitati di malaffare, apre scenari assolutamente inquietanti.
Puoi provare a tratteggiare uno scenario futuro per le estreme destre in Italia e in Europa in una visione d’insieme?
Se ti riferisci solamente all’Italia è indubbio che la Lega (anche grazie a un aumento esponenziale delle sue capacità finanziarie che pare provengano dalla Russia [9]) sta operando in maniera massiccia sui media; a questo si aggiunga che l’accordo stretto quasi due anni fa con CasaPound permette di guardare questa formazione come un partito che sta transitando a rapidi passi dentro l’area del neofascismo. Riusciremo probabilmente a comprendere meglio l’influenza di CasaPound, e forse anche a quantificarla, quando saranno rese pubbliche le liste elettorali. Per il resto non dobbiamo pensare al neofascismo come a una realtà organica con un piano preciso per prendere il potere; come cercavo di dire nel mio ultimo lavoro, Transnational Fascism [10], il neofascismo è un progetto culturale transnazionale di lunga durata. Quello che cercano di ottenere questi movimenti, e in parte ci sono riusciti, è di spostare a destra l’asse politico e il dibattito. Vogliono che alcuni temi rientrino nella discussione pubblica. Guardiamo al dibattito e alle politiche sui migranti o sullo ius soli per capire quanto il pensiero dell’estrema destra abbia già colonizzato molti gruppi e partiti non necessariamente appartenenti a quell’area specifica. Il piano non è semplicemente quello elettorale, seppure importante, ma quello culturale.
Davide Franco Jabes, PhD in Storia alla The University of York (UK), ha lavorato a numerosi progetti come consulente e ricercatore di Storia Moderna e Contemporanea per l’Università di Siena e molti altri Istituti di ricerca e case editrici (Rizzoli, Bompiani, Guanda)
Note:
[1] Albanese, M., Storia di una sconfitta: le Brigate Rosse e la Gauche Prolétarienne di fronte alla globalizzazione,
Firenze EUI, PhD Thesis, 2011.
[2] Biscione, F., Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Milan: Bollati-Boringhieri, 2003.
[3] Mammone, A. Godin, E. and Jenkins, B. (eds.), Mapping the extreme right in contemporary Europe: from local to transnational, Oxford, Routledge, 2012.
[4] M. Albanese, G. Bulli, P. Castelli, C. Forio, Fascisti di un altro Millennio? Crisi e partecipazione politica in CasaPound Italia. Bonanno Editore, 2013
[5] Tarchi, M., La rivoluzione impossibile. Dai campi hobbit alla nuova destra, Florence, Vallecchi, 2010.
[6] Taguieff, P.A., Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico, Florence, Vallecchi, 2003.
[7] Franzinelli, M., La sottile linea nera, Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia,
Milano, Rizzoli editore, 2007.
[8] Romero, F., and Varsori A., (eds.), Nazione, Interdipendenza, Integrazione: Le Relazioni Internazionali dell’Italia, 1917-1989, Roma: Carocci, 2005.
[9] È questa una suggestione giornalistica che è, però, estremamente interessante: https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/18/the-telegraph-lega-nord-finanziata-da-mosca-salvini-e-una-azzata/2384685/
[10] Matteo Albanese and Pablo Del Hierro: Transnational Fascism in the 20th Century,
Bloomsbury, historical – Collection, Settembre 2016
Pubblicato martedì 23 Gennaio 2018
Stampato il 11/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/perche-la-rapida-avanzata-neofascista/