Mario Leone è il direttore dell’Istituto di Studi federalisti Altiero Spinelli, lo abbiamo intervistato alla vigilia della partenza dell’iniziativa Anpi una “Staffetta partigiana per un’altra Europa” che dal 12 al 28 giugno, a cominciare da Ventotene, in dieci tappe, toccherà luoghi altamente emblematici della nostra storia antifascista e affermare la urgente necessità di pace, lavoro, democrazia, diritti. Come? Ripartendo dalle radici più profonde dell’Unione Europea riprendendo in mano il Manifesto scritto nell’isola dei confinati da Spinelli e Rossi, e pubblicato da Colorni che ne curò la redazione e ne scrisse la prefazione.

Direttore Leone, il Manifesto di Ventotene, nato nel 1941, è un testo ancora moderno e quanto è importante oggi per la sua proposta istituzionale, democratica e soprattutto pacifista?

Desidero prima di tutto ringraziare l’Anpi per aver avviato l’iniziativa che prenderà le mosse proprio da Ventotene ripercorrendo i temi evidenziati, e che sono molto importanti, partendo dal testo fondante dell’Unione Europea. Il Manifesto è un progetto “Per un’Europa libera e unita”. Quindi essendo un progetto ha di per sé nel titolo, come era in origine, anche il suo indirizzo, cioè quello di essere una sorta di cassetta degli attrezzi, che ovviamente può essere arricchita. Non va dimenticato che venne scritto in un’isola luogo di confino di polizia, nel pieno della Seconda guerra mondiale, sotto un regime antidemocratico dittatoriale che sull’imperialismo stava fondando la disfatta totale dell’Europa e del mondo intero. Allora il nazifascismo dominava in tutta Europa.

Come leggere in questo momento storico gli attrezzi che il Manifesto di Ventotene ci ha messo a disposizione? 

Bisogna dire anzitutto che quel progetto è stato soltanto parzialmente realizzato, quindi abbiamo ancora un cammino davanti a noi, speriamo breve, da dover compiere per arrivare all’obiettivo del Manifesto di Ventotene. Il Manifesto, essendo una cassetta degli attrezzi già allora e oggi ancora di più, ci dà la possibilità di avere strumenti utili da una parte per leggere la nostra realtà, e dall’altra per poter proporre delle soluzioni capaci di arrivare alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa, cioè di una federazione di Stati che ha come obiettivo l’instaurazione di un regime democratico di pace, non soltanto in Europa, ma in tutto il mondo. Infatti il Manifesto di Ventotene auspicava la Federazione Europea come primo passo verso una federazione mondiale. I ragionamenti che proponeva sono molto utili, e aggiungo necessari in questo nostro tempo, per poter creare una federazione europea.

A Ventotene

C’è ancora molto da fare, dunque.

Esiste un gap ancora da colmare, e questo gap viene dagli Stati nazionali. Ancora abbiamo una mentalità di tipo ottocentesco, ragioniamo in termini nazionali su diversi temi e su diverse competenze. Invece il mondo e anche l’evolversi del dinamismo delle relazioni internazionali richiedono un’organizzazione non soltanto di tipo economico e commerciale, ma anche di tipo politico per poter affrontare le sfide non del futuro ma proprio dell’oggi, e siamo già profondamente in ritardo rispetto a quello che il Manifesto di Ventotene aveva scritto. Per esempio per regolare i rapporti tra la Cina e gli Stati Uniti era necessario arrivare alla Federazione Europea, e questo l’avevano scritto nel 1941. Quando Spinelli scrive, è evidente che avesse già individuato quale poteva essere il vulnus, cioè l’organizzazione degli Stati di tipo continentale che, con la crescita economica e commerciale, avrebbero fagocitato in brevissimo tempo con la crescita economica e commerciale Paesi meno forti dal punto di vista organizzativo e dal punto di vista dimensionale. Quindi questi avvisi, questi campanelli di allarme che sono all’interno del Manifesto di Ventotene non siamo stati in grado di coglierli pienamente, sono state attuate soltanto parti del manifesto e oggi ci ritroviamo nella drammatica necessità di doverlo attuare per intero.

Gli autori del Manifesto, Arturo Spinelli, Ernesto Rossi e poi Eugenio Colorni, parlano di “un movimento rivoluzionario” soprattutto per arginare il “totalitarismo”. Per fortuna in Europa non dobbiamo fare i conti con regimi come quello imposto in Italia a partire dagli anni 20 e poi negli anni 30 in Germania e in altri Paesi, ma è reale e pericoloso il fenomeno legato a forme di sovranismo, a nuove forme di nazionalismo, a volte illiberale, come Orban definisce il suo governo?

Quando Spinelli parlava del Partito rivoluzionario era inevitabile parlare di un’organizzazione di quel tipo: avevamo la dittatura del fascismo e del nazismo. Non c’era altra soluzione se non quella di una azione rivoluzionaria per sovvertire degli ordinamenti antidemocratici. Questo era il dettato del Manifesto, l’intenzione del Manifesto, e quando si parla di partito si parla di organizzazione di un movimento, come é ben sottolineato da Eugenio Colorninella nella prefazione a Problemi della Federazione Europea, il testo all’interno del quale è contenuto il progetto. Per un’Europa libera e unita riconosciuta da Spinelli come il testo originario, poi appunto inserito da Colorni nel libretto del gennaio del 1944, Colorni specifica che cosa? Che il movimento a cui fare capo è un movimento federalista che all’interno possa far convivere diverse aspettative, diverse prospettive di persone che però hanno magari politicamente, ideologicamente, se vogliamo, degli obiettivi sociali, economici diversi, ma che hanno obiettivi politico-istituzionali inevitabilmente identici, cioè la realizzazione della Federazione Europea; la creazione di un governo sovranazionale nuovo che possa davvero veder delegate delle competenze tali che gli Stati allora e ancor di più oggi non sono in grado di poter gestire.

Mark Rutte, segretario generale Nato; Ursula Von Der Leyen, presidente Commissione Europea (Imagoeconomica, Christophe Licoppe)

Il Manifesto ha un altro elemento straordinariamente visionario e davvero contemporaneo. Riguarda l’esercito europeo. In questi mesi si discute tantissimo della proposta della Commissione sul ReArm, che adesso si chiama Readiness 2030, e come Anpi ci siamo trovati ad approfondire moltissimo il tema riprendendo esattamente  l’idea di Spinelli, Rossi e Colorni di un esercito sovranazionale e che quindi doveva rispondere a un governo sovranazionale. Qual è il suo punto di vista?

Tutti i poteri che si devono gestire hanno bisogno delle istituzioni. Anche un esercito. Se noi oggi non siamo in grado di creare delle vere e proprie capacità, come possiamo gestire un potere? Quindi dobbiamo chiederci: per avere un esercito europeo è necessario avere anche una capacità militare europea? È assolutamente necessario, ma è dunque indispensabile avere un potere politico. Il salto che si deve fare è di tipo costituzionale, perché oggi di moda, tra virgolette, va l’esercito europeo, ma ieri era la politica economica. Ricordiamoci anche la politica sanitaria, non dimentichiamo infatti che improvvisamente un virus è riuscito a buttare giù le nostre economie e sfaldare il tessuto sociale dell’intera Europa. È la dimostrazione che se le competenze restano a livello nazionale sui macro temi non si procede da nessuna parte. Tutto ciò è stato evidente per quello che abbiamo affrontato e lo è anche per ciò che dobbiamo affrontare: la migrazione, la sanità, la difesa e quindi la politica estera, la politica economica, la politica monetaria e tante altre questioni, tra cui soprattutto la capacità fiscale, perché senza la possibilità di avere proprie risorse l’Unione Europea sarà sempre e comunque sotto il ricatto degli Stati nazionali, fondamentalmente attraverso i trasferimenti.

(Imagoeconomica, Fred Marvaux)

Quindi cosa servirebbe?

Ecco, la necessità che abbiamo è di creare una capacità politica reale, e quindi un vero governo dell’Europa, un vero Parlamento europeo che non sia sottomesso alle decisioni prese in sede di Consiglio Europeo o dal Consiglio dell’Unione Europea, ma che sia un vero e proprio co-legislatore e abbia capacità di iniziativa legislativa, che manca totalmente. Sono i piccoli passi che avevamo affrontato con la Conferenza sul futuro dell’Europa, sottolineati con le 49 proposte approvate dal Parlamento Europeo ma che gli antagonismi e gli egoismi degli Stati nazionali all’interno del Consiglio Europeo hanno messo in un cassetto. E probabilmente non sarà mai riaperto se non c’è una vera e propria coscienza civile europea che richieda davvero più Europa e costruisca un’Europa dei diritti, un’Europa della democrazia e un’Europa federale.

Mario Leone, direttore dell’Istituto Altiero Spinelli, durante un incontro di formazione (ringraziamo l’Istituto per l’utilizzo della foto)’

L’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli che lei dirige promuove tantissime attività di formazione, dedicate soprattutto ai giovani, oltre a tante iniziative di approfondimento. Quanto bisogna puntare sulle nuove generazioni e cosa possiamo dobbiamo fare insieme per continuare in questo impegno?

I giovani… è un argomento di cui sentivo parlare anche quando ero io stesso giovane. Le nuove generazioni sono il perno del nostro presente e del nostro futuro. Se non si investe, e in modo critico, sulla loro formazione inevitabilmente vengono lasciate a se stesse nel reperimento di informazioni, opportunità, occasioni in modo davvero improvvisato. L’Istituto può operare in modo ovviamente parziale perché non può considerarsi una struttura di tipo accademico, per quello ci sono le università, ma sicuramente può rappresentare lo spirito dell’azione e delle idee Altiero Spinelli e farne uno strumento quotidiano per avanzare sempre di più verso una completa coscienza civica europea, impegnarsi per far acquisire l’ordinarietà della cittadinanza europea.

Il presidente Mattarella a Ventotene alla tomba di Spinelli, nel 2021, per l’80° del Manifesto

Quanto è determinante continuare con la diffusione di una cultura europeista e federalista?

Sentirsi europei è vivere il sentimento che teoricamente dovrebbe appartenere a un qualunque cittadino che ha una sua dimensione nazionale. Così dovrebbe essere per quella europea attraverso l’integrazione di esperienze, opportunità, scambi, con la possibilità di ragionare insieme su qual è il futuro migliore e su cosa fare, nell’ottica della solidarietà reciproca, per la realizzazione di una democrazia a livello europeo. Lo si fa con tantissime azioni di tipo seminariale e lezioni frontali, ma anche attraverso le arti. Ed è fondamentale riuscire a far sentire l’appartenenza europea attraverso la simbologia, cioè la rappresentazione di un sentimento legato alla costruzione di un qualcosa che non è diverso da noi, ma siamo noi stessi, cioè la patria Europa.

Susanna Florio, segreteria nazionale Anpi