Prendiamo una classe di una scuola secondaria di primo grado alle porte di Roma. Prendiamo uno scrittore invitato a parlare del teatro di William Shakespeare che pone una domanda dopo aver visto su un banco vuoto una scritta che campeggia da parte a parte: DVX. Cosa significa dux? Il risultato è inimmaginabile. Il silenzio. E diventa raggelante quando un alunno risponde «papera», confuso dall’assonanza dell’inglese “duck”, papera appunto. Alla risposta dello scrittore, i commenti si susseguono. «Ah, il fascismo…», «Pare stia tornando di moda…».

Da questo episodio nasce il libro “Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi” di Daniele Aristarco per Einaudi Ragazzi.

Incontro l’autore in una osteria che velocemente si riempie di pubblico venuto per la presentazione del progetto editoriale. Siamo a Centocelle, periferia est di Roma, medaglia d’oro per la lotta antifascista e zona che continua a mantenere questo tipo di vitalità. «Ho dedicato questo libro a Idy Diene. Mi permetto di chiedervi chi è». Le persone cominciano a guardarsi vicendevolmente, ma nessuno dice niente. Anche le corde della chitarra del maestro Giufà Galati, che accompagna la presentazione, smettono di vibrare. L’imbarazzo è palpabile. Idy Diene fa parte del calendario nero delle centinaia di violenze quotidiane che subiscono soprattutto i cittadini neri, italiani o stranieri poco importa. Era un uomo senegalese che viveva da 20 anni in Italia, ucciso a colpi di pistola lo scorso anno a Firenze mentre stava lavorando. Faceva l’ambulante. Questa è stata una vicenda doppiamente tragica perché Diene aveva adottato la famiglia di Samb Modou, altro uomo senegalese ucciso nel 2011 da un estremista di destra nella stessa città. «Giorni dopo questa vicenda mi trovavo a Firenze. Sono andato su ponte Vespucci, dove è avvenuto l’omicidio per portare un fiore, riflettere su quanto accaduto, ma non c’era niente a ricordarlo. Un fiore, una targa… Per questo, adesso, non mi sorprende che nessuno si ricordi lui. A un anno da questi fatti, volevo spingere i lettori a cercare questa storia».

Idy Diene (da https://firenze.repubblica.it/cronaca/ 2018/03/06/foto/chi_era_idy_diene_ il_senegalese_ucciso_a_firenze-190584898/1/#1)

Il fascismo è una moda? «Quando i ragazzi utilizzano questa espressione, parlano anche di un atteggiamento provocatorio che diviene soprattutto un’arma utilizzata contro le istituzioni. Nel caso della scuola, sono gli insegnanti. Il racconto della seconda guerra mondiale e del fascismo può diventare un momento di scontro in classe, dove spesso ragazzi indottrinati urlano quei pochi argomenti che sentono infallibili, senza possibilità di dialogo. Anche questo è un atteggiamento fascista. È l’incapacità di confrontarsi serenamente» chiosa lo scrittore.

Di fronte ad una scuola che si richiama alla Costituzione e ad insegnanti che ne propongono i principi e i valori, il neofascismo intercetta la ribellione degli adolescenti e la incanala, creando una contrapposizione fra insegnanti “di sistema”, adulti “di sistema”, una politica “di sistema”, un mondo “di sistema”. In questa voluta contrapposizione il fascismo incarna paradossalmente la libertà e la spinta a rovesciare il gioco, collegandosi ad una dimensione rivoluzionaria e movimentista che era tipica del primo fascismo storico, quello sansepolcrista. Quello commemorato da Forza Nuova il 23 marzo scorso a Prato, autorizzato clamorosamente dalla Prefettura e che ha visto tra le sue file molti giovani. Di contro, una manifestazione partecipata da associazioni e società civile, anche di giovane età, ha rivendicato, nello stesso giorno e nella stessa città, l’antifascismo come valore costituzionale.

Chi, tra questi ragazzi, si dichiara fascista “per moda”, in realtà conosce ben poco della dottrina storica. Ragazzi inermi a livello di cultura e di memoria che riprendono del fascismo pochi elementi, assemblati in modo superficiale ma incisivo come un “meme” (immagini, citazioni che condividiamo sui social networks): patria, italianità, tradizione. Concetti dati in partenza per indefinibili e per cui non è previsto un dibattito. Concetti che lo studioso Furio Jesi definiva “idee senza parole”.

Questo fenomeno è ben raccontato dal libro di Christian Raimo “Ho sedici anni e sono fascista” (Piemme 2018) che ricostruisce come questa “cultura” (che rivisita Gramsci, riprende il fascismo mussoliniano e si rifà al nazionalista giapponese Yukio Mishima) si sia diffusa tra i ragazzi, passando per slogan, marchi di abbigliamento e di come questo percorso abbia portato poi ad impossessarsi delle curve negli stadi e a creare dei fenomeni anche mediatici.

«Credo – scrive Aristarco – che il fascismo sia profondamente antitaliano, perché di un Paese che pure esalta a parole non ha mai compreso la vera bellezza. La grandezza di una nazione, a mio avviso, non sta nel saper difendere i confini o nell’ampliarli il più possibile. La grandezza sta nelle possibilità che offre a chi la vive».

La recente bravata a Milano di alcuni tifosi (!?) della Lazio

Quando c’era lui. Un luogo comune nostalgico e giustificazionista che continua a vivere, dopo quasi un secolo, è sull’efficienza socio-economica del Ventennio da parte di chi pur di esaltare il pensiero fascista, ne nega le basi. «Come se io decantassi il sapore del miele esaltandone l’asprezza» commenta Aristarco. “In realtà – si legge da “Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi” – chi esalta i risultati del regime fascista, reali o immaginari, sta cercando di convincere gli altri che “il fascismo non era poi così male”. Chi esalta la costruzione di strade, la puntualità o l’incorruttibilità fascista tende a riabilitare i metodi sbrigativi e violenti che quel regime utilizzò sempre, come se la dittatura fosse l’unico modo per ottenere dei risultati positivi”. Di recente, affermazioni di questo tipo sono arrivate da parte del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. «Bisogna ragionare con i ragazzi sul perché si vanno a ritirare fuori questioni di cento anni fa per legittimare gli abusi di oggi, è un’operazione che vede la riscrittura del passato» dice l’autore.

“L’uso sistematico del revisionismo a fini politici confonde la storia con la memoria. Storia condivisa e memoria condivisa vanno invece tenute distinte” scriveva nel 2004 Sergio Luzzatto in “La crisi dell’antifascismo”. “L’una (la storia) rimanda a un unico passato, cui nessuno di noi può sottrarsi, mentre l’altra (la memoria condivisa) sembra presumere un’operazione più o meno forzosa di azzeramento delle identità e di occultamento delle differenze. Il rischio di una memoria condivisa è una smemoratezza patteggiata, la comunione nella dimenticanza”. Un esempio di come la narrazione della storia italiana venga alterata è la mozione approvata lo scorso anno dal Consiglio della Regione Lombardia e presentata da Fratelli d’Italia secondo cui nelle scuole della regione si dovranno ricordare le morti dei neofascisti Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi uccisi negli anni 70 a Milano, legittimando quindi il neofascismo nella fase repubblicana e costituzionale del Paese.

Sergio Luzzatto

Un tentativo non andato in porto è invece la mozione approvata al Consiglio comunale di Roma e presentata anche qui da Fratelli d’Italia, per dedicare una strada della capitale a Giorgio Almirante, segretario del Movimento sociale italiano e figura di riferimento del neofascismo. L’iniziativa, però, è stata bloccata dalla sindaca Virginia Raggi. La stessa mozione presentata sempre da Fratelli d’Italia lo scorso anno a Grosseto ha visto la reazione del presidente della regione Toscana che sulla  sua pagina social scrive “Chiedo che sotto il suo nome sia scritto: “fascista e collaboratore con gli occupanti nazisti”, come attesta il documento rinvenuto nel 1971 dagli storici dell’Università di Pisa, pubblicato da l’Unità e confermato in sede processuale nel 1974”.

Un altro tentativo è stato nel 2012 quando Ercole Viri, sindaco di Affile (Roma) aveva voluto un sacrario dedicato a Rodolfo Graziani, sanguinario generale del colonialismo fascista. Grazie al processo intrapreso dall’Anpi, Viri è stato condannato per apologia del fascismo. E l’elenco potrebbe continuare a oltranza.

«Reputo questo momento storico e politico come il più violento nella storia dei giovani. La mia generazione, quella dei quarantenni, è stata cresciuta nelle istituzioni con un ideale di Europa unita. Ci definivano “generazione Erasmus” o “generazione dei low cost”. Ci hanno insegnato che il mondo sarebbe stato senza frontiere, che avremmo fatto nuovi mestieri, che avremmo parlato più lingue. Siamo stati preparati ad un mondo diverso da quello che ora viene raccontato dalla politica. Ed è la politica dei quarantenni (…) che dice che bisogna difendere i confini e difendere la patria. Questo mi sembra profondamente disumano. Per questo è necessario che si ricominci a raccontare la storia del fascismo, dialogando e partendo dalle idee», dice Aristarco.

Daniele Aristarco (da https://www.lanotiziapontina.it/wp-content/uploads/2018/01/daniele-aristarco.jpg)

Il Ministero dell’istruzione e l’Anpi hanno istituito un protocollo d’intesa per “offrire alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un sostegno alla formazione storica, dalla documentazione alla ricerca, per lo sviluppo di un modello di cittadinanza attiva”. Concorsi, percorsi e approfondimenti per la formazione dei cittadini di domani. Ma quanto può essere efficace tutto questo se questi ragazzi quando sono in famiglia ascoltano discorsi che vanno nella direzione opposta a quella che la scuola promuove? Perché – ricordiamolo – durante le elezioni del 4 marzo 2018 su 46 milioni di aventi diritti al voto, oltre 7 milioni e mezzo hanno scelto forze politiche nazionaliste, xenofobe e reazionarie. Per la cronaca. Ai tempi della prima Repubblica, il partito neofascista Msi rimase sempre intorno ai 2 milioni di voti. «Quello che dico spesso ai ragazzi è “c’è un fascino nella divisa, nella bandiera, nel motto, ma tu in quale società vorresti vivere? Vorresti vivere in una società dove qualcuno decide per te per come ti devi vestire, quello che devi pensare e che devi essere uguale a chi ti è seduto affianco solo perché ti è seduto affianco? E soprattutto ti abituerà a credere, obbedire, combattere e deciderà per te in quale momento morire e in quale guerra? Nessun ragazzo è disposto a fare questo. I ragazzi vogliono una società dove possono essere sé stessi fino in fondo. Su questo dobbiamo costruire. Sul senso dell’umanità e sull’idea di quale ambiente si vuole vivere».

Mariangela Di Marco, insegnante