Il 2018 per numero di morti sul lavoro sembra avviarsi a registrare un record. È così?
È una strage ed è un fatto oggettivo. Anche gli ultimi dati forniti dall’Inail relativi all’anno in corso confermano un’inversione di tendenza in negativo rispetto al passato. Gli infortuni sui luoghi di lavoro sono in costante aumento, non solo quelli mortali. Si allunga la lista degli episodi gravi e dei casi di malattie professionali. Le morti fanno notizia, ma rappresentano solo la punta di un iceberg.
Ai morti sul lavoro avete dedicato il Primo maggio.
Abbiamo voluto denunciare una situazione preoccupante e inoltre sottolineare una coincidenza: gli infortuni sono tornati a crescere proprio nel momento in cui l’economia è tornata a crescere. Da diversi mesi si afferma che finalmente il Paese è in fase di ripresa, la produzione è ripartita. Ma se nel momento in cui l’economia comincia a risollevarsi aumentano a ritmo frenetico gli infortuni, è legittimo domandarsi quale sia la qualità della ripresa. Insomma, ci ritroviamo esattamente come prima della crisi. Lo comprova la dinamica degli infortuni: si continua a morire nei settori più tristemente famosi per il rischio, nell’agricoltura, nell’edilizia, nella logistica. Come mezzo secolo fa, nei campi si muore per il ribaltamento dei trattori, nell’edilizia cadendo dall’alto delle impalcature, negli stabilimenti industriali a causa di incidenti. E gli infortuni accadono in gran parte al Nord, dove si sta concentrando la ripresa produttiva. Tutto ciò vuol dire che si sta riproponendo il vecchio modello di sviluppo dove non si puntava affatto sulla qualità del lavoro.
Nulla dunque è cambiato?
Già. Al di là delle dichiarazioni, poco e niente si è fatto di tutti i processi di innovazione e di investimento sulla qualità del lavoro che da tempo rivendichiamo come unica condizione per una reale competitività del sistema produttivo italiano. Invece, ci stiamo nuovamente agganciando alla nuova congiuntura economica nel peggiore dei modi.
Per di più secondo gli indicatori, siamo il fanalino di coda in Europa.
I dati attestano che i Paesi economicamente più forti e più competitivi hanno un livello di salute più alto, quindi un livello di infortuni più basso. Non c’è ombra di dubbio che gli infortuni, oltre ad essere un dramma per le persone coinvolte e le loro famiglie, rappresentino una zavorra per il decollo economico. Eppure, ancora nel 2018, non riesce ad affermarsi il concetto che tutelare la salute dei lavoratori produce ricchezza. Quest’anno ricorre il 40° della importantissima riforma del Servizio sanitario nazionale. Ebbene era basata su tre pilastri: prevenzione, cura e riabilitazione. Dunque, è chiaro che se non investiamo sulla prevenzione nei luoghi di lavoro, se riduciamo gli investimenti sulla prevenzione, aumenta la spesa per la cura.
Cosa fare in concreto?
La politica per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è interdisciplinare, trasversale, non è sufficiente una legge specifica. Serve una strategia complessiva. Pensiamo al mondo degli appalti e dei subappalti, la principale fabbrica di infortuni. Se mancano i controlli, se non si fanno rispettare le regole sul contenimento del ricorso al massimo ribasso, non bisogna poi sorprendersi se le imprese tendano a tagliare i costi. E i primi a saltare sono appunto i costi in materia di sicurezza e salute. Inoltre, non dimentichiamo la presenza di un livello elevato di illegalità nell’economia italiana, un fattore che agisce come disincentivo per il rispetto delle norme sulla sicurezza e il rilancio dell’economia. Senza non si agisce, i rischi di penetrazione malavitosa dell’economia e nella produzione si moltiplicheranno con prevedibile corredo di infortuni e di morti. Illegalità vuol dire lavoro nero e lavoro precario ed è evidente che in questo ambito del mercato del lavoro non può esistere spazio per il rispetto delle norme sulla sicurezza. E nel prossimo futuro, senza un reale cambiamento, i lavoratori saranno ancora più fragili e anche in altri settori. Pensiamo ai giovani e al cosiddetto “nuovo lavoro che avanza”.
Ci può spiegare meglio?
Si dice sempre che bisogna investire in cultura della sicurezza e sulla formazione. Ebbene, se è così – ed è così – un ruolo centrale lo deve svolgere anche il sistema educativo, la scuola. Da qualche anno si sta sperimentando l’alternanza scuola-lavoro. Ricordo a questo proposito che uno degli ultimi casi gravi, per fortuna non mortale, di infortunio sul lavoro ha riguardato uno studente di 16 anni. Ha perso una mano e non si può perdere un arto a 16 anni. La “modernità” ci viene presentata come luccicante mentre al contrario è portatrice di nuovi ulteriori fattori di rischio e di malattie professionali più difficili da combattere. Tutelare la salute sarà sempre più arduo. Negli anni 60-70-80, i paradigmi della cultura sindacale erano i luoghi di lavoro – luoghi fisici, la fabbrica, l’ufficio – e la rappresentanza collettiva. Oggi è tutto smaterializzato: il lavoratore è un individuo isolato, basti citare i ragazzi che ci portano la pizza a casa. Li chiamano rider, lavorano con un telefonino e le loro mansioni da fattorini non sono riconosciute come tali. E i datori di lavoro sono sempre più aziende che operano su piattaforme virtuali, quasi fantasmi. Ma lavorare per Foodora o Amazon è stressante come lo era nelle fabbriche degli anni 60.
Molti dei morti sul lavoro sono immigrati.
Architrave della nostra Costituzione è la dignità del lavoro e di ogni persona. Eppure nel terzo millennio il tema costante delle iniziative Cgil è la difesa o addirittura la riconquista della dignità del lavoro e delle persone. La globalizzazione da opportunità è divenuta causa di polarizzazione nella produzione della ricchezza. Chi era povero è divenuto più povero e chi era ricco lo è ancora di più, sono divenute più povere anche le fasce sociali che possono contare su un lavoro e un reddito. Il lavoro stesso è più povero. Non potendo svalutare la moneta si punta a svalutare il lavoro ed è una ricetta sbagliata. Svalutare il lavoro equivale a svalutare la persona umana. Il nostro è un Paese ben strano, ha bisogno degli immigrati, perché senza di loro si fermerebbero le fabbriche, e ma non vuole gli stranieri.
Da quanto si apprende, nella ricerca di accordo tra M5s e Lega per il nuovo governo la tutela del lavoro e della sicurezza paiono esclusi.
Il tratto dominante della situazione italiana è la disuguaglianza, cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Il lavoro, la sua sicurezza e qualità al momento sembra del tutto assente dal confronto in atto. Non siamo più nel tempo delle promesse elettorali, bisogna passare ai fatti. E chi è chiamato a svolgere controlli deve farlo concordando con Regioni, Comuni e parti sociali a livello territoriale piani straordinari di intervento. Le Istituzioni, in primis il Governo, vanno sollecitate. Altrimenti la situazione potrà solo aggravarsi.
La Cgil ha in cantiere iniziative?
Come Cgil, insieme agli altri sindacati confederali, rilanceremo nuove iniziative di mobilitazione per la sicurezza sui luoghi di lavoro accanto a quelle sui temi di cui ci siamo sempre occupati: i diritti del lavoro, le politiche sociali, la sanità, la previdenza. Il Paese chiede risposte. Non può più attendere.
Pubblicato venerdì 18 Maggio 2018
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