Marco Damilano (da https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/25/gruppo-espresso-marco-damilano-nuovo-direttore-del-settimanale-succede-a-cerno-ora-condirettore-di-repubblica/3935373/)

Il 2019 si apre con l’ennesima aggressione fascista, stavolta ai danni dei cronisti de L’Espresso, colpevoli solo di trovarsi al cimitero del Verano di Roma per documentare la commemorazione dei fatti di Acca Larentia. Il fotografo Paolo Marchetti e il reporter Federico Moroni, il 7 gennaio, si sono ritrovati circondati da alcuni esponenti di Avanguardia Nazionale (quella di Stefano Delle Chiaie, l’uomo della strategia della tensione) e di Forza Nuova – che hanno preteso la consegna della scheda di memoria della macchina fotografica. Tra gli squadristi che hanno insultato e aggredito con calci e schiaffi i due reporter c’era anche il capo di Forza Nuova Roma, Giuliano Castellino. Che in quel luogo non avrebbe dovuto esserci perché a luglio era finito ai domiciliari per una truffa ai danni del sistema sanitario nazionale. Una storiaccia di buoni contraffatti per acquistare cibo gluten-free sui cui Castellino e i suoi soci in affari poi chiedevano il rimborso alle Asl. Si parla di una frode per oltre un milione di euro. In un video postato su Facebook si vede la fase finale dell’aggressione e dal branco fascista si sentono distintamente queste parole: «A me delle guardie non me ne frega un cazzo, io te sparo in testa». Ebbene, di fronte a tutto questo immondo esercizio di prepotenza squadrista il commento del ministro dell’Interno è stato a dir poco sconcertante: «Il posto giusto per chi aggredisce è la galera. Poi possono aggredire giornalisti, netturbini, poliziotti, operai muratori, dipendenti dell’Ama. Chi mena le mani va in galera». Tutto qui, ovvero poco, pochissimo. Non una parola che è una sulla natura di quell’aggressione, cioè un atto di violenza fascista. Ne parliamo con il direttore del settimanale, Marco Damilano, che a caldo dopo le dichiarazioni pilatesche di Salvini ha detto: «Non ci accontentiamo, non ci possiamo accontentare».

Non credi che questa ennesima aggressione e la reazione blanda del responsabile del Viminale ci indicano che la soglia di allarme è stata superata e che stiamo scivolando lungo un piano inclinato che porta allo svuotamento della democrazia?

È gravissimo quel che è accaduto. Il ministro dell’Interno che non riesce a pronunciare una parola ferma di condanna nei confronti di un gruppo neofascista che ha aggredito dei giornalisti che facevano il loro lavoro! Era una cosa molto semplice da dire. Eppure Salvini non l’ha detta, ha preferito banalizzare. E nonostante la reazione di sdegno che c’è stata nel Paese ha continuato a tacere. Qui non parliamo di chi alza le mani in una rissa per un incidente stradale, di una scazzottata tra ragazzi all’uscita di scuola. Qui si parla di chi pratica la violenza in nome dell’ideologia fascista. Si parla di persone che in nome di quell’ideologia intendono conculcare il diritto costituzionalmente riconosciuto ad avere una informazione libera.

Le leggi per contrastare la ripresa dei fenomeni neofascisti in Italia esistono e da tempo. Eppure…

Le leggi che prevedono lo scioglimento delle formazioni che si richiamano al fascismo portano il nome di due ministri dell’Interno che non sono certo ascrivibili alla sinistra, anzi alcuni di loro erano stati fieri avversari dei comunisti. Parlo di Mario Scelba, che nel 1952 si fece promotore della legge che introduceva l’apologia del fascismo, e di Nicola Mancino, la cui legge, del 1993, condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione. Ecco, da Salvini non mi aspetto che sfili il 25 aprile accanto ai partigiani, ma che almeno non sia da meno di Scelba e Mancino. E sottolineo che Avanguardia Nazionale fu sciolta nel 1976 proprio sulla base della legge Scelba. Da qualche anno è tornata sulla scena con gli stessi simboli e le stesse facce e con l’obiettivo di aprire sedi nel Paese. Ma anche su questa vicenda il Viminale pare non abbia nulla da dire.

Proprio un ministro di questo governo, il leghista Fontana, nell’estate del 2018 aveva ipotizzato di voler abrogare la legge Mancino, ovvero lo strumento legislativo che l’ordinamento offre per la repressione dei crimini d’odio.

Gli squadristi sentono che questo governo gli è amico, o quantomeno è tollerante e quindi alzano il tiro. Quanto fascismo circola nella società italiana?

Quello che va detto è che c’è il fascismo eterno come lo chiamava Umberto Eco, che assume contemporaneamente vesti antiche e vesti nuove. Le vesti antiche sono la sopraffazione, la violenza, l’ostilità verso la diversità, verso la libertà – e ci metto dentro anche la libertà di informazione e di essere informati. Queste sono caratteristiche che non si spengono mai, che sono appunto caratteristiche del fascismo eterno. Poi c’è la contemporaneità, cioè un fascismo che come un camaleonte muta pelle e si mimetizza con l’ambiente. E oggi l’ambiente in Europa e in Italia è parecchio soffocante. Le nuove grandi questioni di questo secolo, penso in particolare all’immigrazione, sono diventate occasione non per una riflessione sulle responsabilità e i doveri dell’Occidente, ma la benzina che i sovranisti gettano a piene mani per alimentare paure e intolleranza. Ideologie e comportamenti che pensavamo minoritari e superati sono tornati ad occupare la scena, in ciò aiutati dai social e della Rete, utilizzati spesso come veri e propri oggetti contundenti.

I social rappresentano non solo uno strumento di propaganda per i membri delle formazioni dell’estrema destra, ma svolgono anche il ruolo di manganello virtuale con cui picchiare sugli avversari, siano i “sinistri” o il volontariato cattolico. Il Gruppo di lavoro di Patria su neofascismo e web ha documentato che da maggio 2017 a marzo 2018 le pagine Facebook che politicamente e culturalmente sono assimilabili all’estrema destra italiana sono passate da 3600 a 4600.

Non dimentichiamo che sia il fascismo sia il nazismo utilizzarono la radio come macchina di propaganda per diffondere il verbo e manipolare e irreggimentare le masse. I mezzi di comunicazione sono strumenti che solo in apparenza sono neutrali. In questo momento sui social girano indisturbati xenofobia, razzismo, attacchi alle donne, agli omosessuali. Tutto questo veleno circola con grande velocità sui nostri smartphone senza che i padroni del web sentano il bisogno di bloccarlo. Ma quello che colpisce – in rete e non solo – è la lentezza delle forze progressiste e democratiche nel rispondere colpo su colpo al fascismo e ai populismi con quella che in altri tempi si sarebbe chiamata una battaglia per l’egemonia. A partire, per esempio, dalla riscoperta e dall’attualità della parola “antifascismo”.

Quello che è successo negli ultimi mesi in Italia è un clima che sta rivelando un humus molto fertile per le squadracce nere. Se dovessi indicare una data simbolo del nuovo e pesantissimo clima che attraversa l’Italia quale suggeriresti?

Ritengo che i fatti di Macerata del gennaio 2018 rappresentino un momento di snodo, cruciale e drammatico. La morte di Pamela Mastroprieto – ricordo il suo nome perché dalle parti dell’estrema destra partono sovente accuse di disinteresse per le sorti e la vita delle vittime – diventa occasione per accendere la miccia dell’odio razziale e della xenofobia. Sono scolpite nella memoria di tutti le parole di Salvini: «Immigrato nigeriano, permesso di soggiorno scaduto, spacciatore di droga. È questa la “risorsa” fermata per l’omicidio di una povera ragazza di 18 anni, tagliata a pezzi e abbandonata per strada. Cosa ci faceva ancora in Italia questo verme? Non scappava dalla guerra, la guerra ce l’ha portata in Italia. La sinistra ha le mani sporche di sangue». Pochi giorni dopo l’omicidio della ragazza, il 3 febbraio Luca Traini, ex candidato della Lega Nord, sale sulla sua Alfa 147 e spara a vista a tutte le persone di colore che incontra sulla sua strada.

Castellino di fronte alle accuse avanzate da L’Espresso parla di “articolo bugiardo e infame”. E aggiunge che «per fortuna al popolo italiano di quello che scrivono e affermano i pennivendoli di regime poco interessa». Ecco, tornando alla categoria del fascismo eterno di cui parlavi prima, c’è un linguaggio-linciaggio che accomuna l’estrema destra e la destra di governo. E non solo la Lega, anche il M5S attinge a piene mani a questo vocabolario. I giornalisti sono “infami” e “pennivendoli”, “sciacalli” e “puttane”. Termini che vanno di moda tanto nelle stanze di palazzo Chigi quanto nelle sedi della destra estrema.

Ovviamente le cose vanno distinte altrimenti si rischia di mettere sullo stesso piano una polemica molto dura con un atto di violenza. Non posso dire, ovviamente, che tutto il governo sia composto da simpatizzanti di Castellino. Io dico che Castellino ha usato espressioni non troppo differenti da esponenti del governo e delle forze di maggioranza che dovrebbero essere distanti anni luce nei toni e nei linguaggi e nei comportamenti da queste parole. Alcune dichiarazioni se non mettessimo l’autore sotto potrebbero essere intercambiabili. Questo mi preoccupa, e dovrebbe preoccupare in primo luogo gli esponenti del governo. Il linguaggio anche duro e aspro è consentito in democrazia – e ci mancherebbe – ma quando questo linguaggio è sovrapponibile a quello degli squadristi è il segnale che qualcosa non va. Ma chi pesca a piene mani al linguaggio del fascismo è proprio Salvini con i suoi «me ne frego», «chi si ferma è perduto», «molti nemici, molto onore».

Il capo di Forza Nuova Roma Giuliano Castellino

La Lega salvinizzata e lepenista c’entra poco o nulla con la vecchia Lega di Bossi e poi di Maroni. Ora, senza andare a ripescare il senatur che alzava il pugno chiuso e diceva «mai al governo con la porcilaia fascista», perché poi al governo con i postfascisti di Alleanza Nazionale ci andò, è pur tuttavia innegabile che la Lega di oggi appare una lontanissima parente del Carroccio che fu. Quando inizia la mutazione che la porta all’abbraccio con l’estrema destra?

Tutto questo ha un inizio nel 2014-2015. Salvini eletto segretario di una Lega in disarmo perché c’era stato lo scandalo Bossi e Belsito opera una svolta politica e passa dal secessionismo al nazionalismo e, dovendo raccogliere degli alleati nel resto del Paese, stringe una alleanza con CasaPound. Il 28 febbraio del 2015 Salvini fa un comizio a Roma, era la sua prima volta nella Capitale, e sul palco di piazza del Popolo, oltre ad esponenti della destra parlamentare, salgono pure gli uomini di CasaPound. Di Stefano parla dal palco, davanti al leader della Lega. Il rapporto tra Salvini e alcune sigle della galassia dell’estrema destra è qualcosa di assolutamente dimostrabile. Che poi siano saltati gli accordi, che non abbiano trovato la quadra su candidature e poltrone, non ha mai fatto saltare un punto e cioè la consonanza politica tra la Lega e l’estrema destra. A me interessa che Salvini, che è ministro dell’Interno di una Repubblica fondata sull’antifascismo, dica che lui con quei gruppi non ha niente a che fare sul piano ideologico e politico. E questa cosa lui non l’ha mai detta. Intendiamoci: io non credo che l’Italia sia un paese fascista. Credo che la “seduzione” dell’uomo forte al comando, che prima appicca il fuoco e poi si presenta come quello che lo spenge, è una tentazione ricorrente nella storia. Da questo punto di vista chi fa il nostro lavoro deve informare, offrire gli strumenti, aiutare a non abbassare la guardia e dare voce a quell’Italia che non solo non si sente fascista ma rispetto a questo nome ha una naturale reazione di ripulsa.

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica