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Maria Teresa De Benedictis, della segreteria nazionale della Filt-Cgil spiega a Patria Indipendente le misure adottate nel settore trasporti per l’emergenza coronavirus. Alla giovane sindacalista barese, che ha iniziato il suo percorso in Cgil come delegata nel settore attività ferroviarie e nel 2019 è approdata nella sede nazionale della Filt, abbiamo chiesto quali misure sono state adottate per garantire la sicurezza di viaggiatori e passeggeri nell’emergenza coronavirus e, a più di due mesi dall’incidente ferroviario di Lodi che costò la vita a due macchinisti, come sia ancora possibile in questo Paese morire di lavoro.

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De Benedictis, cominciamo dall’emergenza Covid-19. Quali sono i provvedimenti presi per tutelare lavoratori e passeggeri?

«Le misure messe in campo dal Gruppo FSI per la tutela della salute e la sicurezza di dipendenti e passeggeri sono mirate innanzitutto a contenere, per quanto possibile, l’esposizione dei lavoratori al rischio di contagio da Covid-19. Concorrendo con ciò a limitare l’espansione dell’epidemia e garantendo, comunque, la continuità del servizio ferroviario (anche se ridotto ai servizi minimi essenziali). A tal fine, l’adozione da parte delle società del gruppo FSI del Protocollo interconfederale 14 marzo 2020, tra i molti impegni sostenuti ha utilmente promosso – anche con la sollecitazione della Filt-Cgil – il positivo insediamento dello specifico Comitato aziendale. Si può certamente affermare che l’informazione capillare a dipendenti e viaggiatori sulle norme di prevenzione e lo specifico equipaggiamento con dispositivi di protezione individuali (mascherine, guanti e gel disinfettante) coniugati a interventi massicci e ripetuti di pulizia e sanificazione degli ambienti di lavoro, viaggio e sosta hanno da subito costruito una tutela contro il rischio contagio. Benché non completa, considerata la diffusa difficoltà al reperimento di materiale protettivo e disinfettante. Sono stati recepiti nel tempo i diversi decreti del presidente del Consiglio dei ministri e le disposizioni dei dicasteri riguardanti la riduzione, fino all’annullamento, di trasferte, riunioni. Si è esteso lo strumento dello smart working al personale e la riduzione progressiva dei servizi ferroviari ai servizi minimi essenziali, garantendo nella vendita dei biglietti il contingentamento dei posti a sedere al fine di garantire la distanza interpersonale di 1,5 m prescritta dalle misure di prevenzione. In questi giorni poi si stanno mettendo a disposizione termoscanner per check rapidi e test sierologici per la ricerca di immunoglobuline M».

Quando la fase emergenziale finirà, resterà comunque sul tappeto il tema di una mobilità responsabile, attenta anche alla protezione della salute?

«Certo, quando il lockdown gradualmente finirà e i pendolari potranno di nuovo tornare, progressivamente, a uscire di casa, treni e autobus dovranno essere pronti alla rivoluzione che l’emergenza sanitaria ha portato nella vita di tutti. Spostarsi sarà all’insegna del distanziamento sociale e della protezione necessaria dal rischio di contagio, di una nuova cultura della sicurezza sanitaria che l’emergenza sanitaria ha inevitabilmente rimesso in agenda politica. La fornitura e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (in sigla Dpi) a tutto il personale che effettua operazioni di sanificazione, il contingentamento degli accessi a stazioni e treni non solo ai fini antievasione ma anche e soprattutto sanitari inibendo la vendita di biglietti senza garanzia del posto prenotato, la riprogrammazione delle corse per evitare sovraffollamento, il potenziamento delle figure professionali legate al monitoraggio e alla garanzia del contingentamento sui mezzi, sono alcune delle misure allo studio in queste ore».

Il Frecciarossa 1000 AV 9565 era partito da Milano ed era diretto a Salerno. Per i macchinisti Giuseppe Cicciù, 51 anni, di Reggio Calabria, e Mario Di Cuonzo, di 59, di Capua ma residente a Pioltello, a cui mancava un anno per la pensione, non ci fu scampo. A bordo del treno c’erano appena 28 passeggeri e 5 dipendenti Trenitalia, se il convoglio fosse stato pieno sarebbe stata una strage. Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi si parlò di errore umano e si puntò il dito contro i 5 operai che quella notte avevano lavorato sullo scambio. Poi emerse che la verità era un’altra: a causare l’incidente era uno scambio, o per dirla con linguaggio tecnico, un attuatore difettoso e con i cablaggi invertiti. Gli operai che lavoravano sulla linea fin dalle prime ore di quella tragica mattina aveva asserito con forza che lo scambio era dritto, in posizione corretta. Insomma, se colpevoli bisogna cercare occorreva indirizzare lo sguardo altrove. L’inchiesta della magistratura è in corso e ad oggi il numero degli indagati è salito a 18. Tra di loro c’è anche Maurizio Gentile, amministratore delegato di Rfi e i vertici della Alstom, la società produttrice dell’attuatore. (Foto Imagoeconomica)

Era il 6 febbraio quando avvenne l’incidente ferroviario a Ospedaletto Lodigiano. Nel Paese era stato già decretato lo stato di emergenza, ma la morte di due macchinisti e il ferimento di altre 31 persone poneva un problema annoso: l’assenza di sicurezza sui luoghi di lavoro.  

«Il Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, emanato con il Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, ha compiuto 12 anni.  Ebbene, ad oggi manca ancora il decreto attuativo per un settore che attende da anni di armonizzare le norme attuative della legislazione in materia di salute e sicurezza. La Filt-Cgil ha continuato a sollecitare l’emanazione dei decreti attuativi nei settori del trasporto ferroviario, marittimo e portuale a tutela dei lavoratori e dell’utenza e che rispondono ancora a vecchie normative. Il mondo del lavoro ha visto profonde trasformazioni in termini di ritmi di lavoro e stress dei fattori di produzione. Manca il decreto di riordino e aggiornamento della legge n. 191/74, atteso da oltre 11 anni e la cui vigenza non consente oggi la piena applicazione delle novità contenute nel Testo unico del 2008 relativamente alla prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle attività ferroviarie di Ferrovie dello Stato. Questa è una carenza che pesa».

Maria Teresa De Benedictis, segretario generale Filt-Cgil (da https://www.lojonio.it/wp-content/uploads/2018/08/Maria_Teresa_De-Benedictis-750×430.jpg)

L’incidente del Lodigiano riporta alla memoria l’incidente avvenuto nel gennaio 2018 a Pioltello, sempre in Lombardia, in cui persero la vita tre donne, tre pendolari. In quel caso a causare il deragliamento fu un giunto rotto, la cui sostituzione, amara ironia della sorte, era stata programmata per l’aprile 2018, a disastro avvenuto. Per la dirigente della segreteria nazionale Filt-Cgil c’è qualcosa che accomuna i due incidenti? Qualcosa che dovrebbe valere da monito e da insegnamento? Anche allora si parlò di errore umano.

«Quelle due tragedie ci dicono che non esiste quasi mai un errore del singolo, il cosiddetto fattore umano. Esiste invece una concomitanza di fattori che deriva dal fatto che la valutazione del rischio rispetto ad un tema come la sicurezza ferroviaria è un aspetto delicato che deve tenere conto del ruolo fondamentale degli RLS, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. La magistratura sta indagando sul deragliamento di Lodi, ma dai primi riscontri possiamo dire che sembrerebbe davvero che ci sia una falla nel sistema che non può essere banalizzata come errore umano, ma qualcosa di più complesso. Badi, i dati testimoniano che il sistema ferroviario italiano è tra i più sicuri nel mondo. Ma non per questo possiamo ritenerci soddisfatti. Perché nonostante tutto il tema della sicurezza sul lavoro viene ancora visto come un costo e non come una opportunità da parte delle aziende. Non è più tollerabile che si parli di sicurezza ogni volta che c’è un morto sul lavoro. Di sicurezza bisogna parlarne prima! Questo è un Paese che guarda solo all’emergenza, non fa programmazione e non riesce ad investire sulla prevenzione e sulla sicurezza. E non si pensi che la sicurezza è direttamente proporzionale al livello di tecnologia impiegato. È fondamentale effettuare una adeguata valutazione dei rischi con tutti i soggetti interessati, che deve essere costantemente aggiornata in casi di variazione dei processi produttivi o di introduzione di nuova tecnologia».

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Il costo sociale degli infortuni sul lavoro rimane, nel nostro Paese, ancora altissimo. Come è possibile che il decreto legislativo del 2008 cui faceva riferimento prima e che era nato proprio con l’esigenza di migliorare la sicurezza sul lavoro e di tradurre in pratica le direttive europee, a più di dieci anni dalla sua emanazione sia ancora monco?

«Purtroppo, come accennavo, il tema della sicurezza sul lavoro viene attenzionato solo quando accade un grave incidente. Mancando il decreto attuativo del Testo unico, vale ancora la normativa precedente. È questa la situazione. E come può immaginare, soprattutto in un ambito come quello ferroviario, parliamo di una normativa non più attuale rispetto ai cambiamenti che ci sono stati in quel settore, sia per quello che riguarda il mondo del lavoro sia sul versante dell’innovazione tecnologica. Voglio ricordare che gli aspetti sviluppati dalla legge del 2008 erano precisamente la prevenzione tecnologica, in considerazione anche degli sviluppi della robotica, la valutazione dei rischi e la gestione strategica della sicurezza. Insomma un’ottima norma che però è rimasta inattuata. Noi puntualmente come sindacato sollecitiamo l’emanazione di questo decreto di riordino e aggiornamento, perché la legge in materia di “Prevenzione degli infortuni sul lavoro nei servizi e negli impianti gestiti dall’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato”, risale al lontanissimo 1974!»

Non crede che vada fatta una riflessione sulla manutenzione? Legato a questa questione c’è poi il fatto che oggi molti interventi di manutenzione sono esternalizzati e questo rende ancora più necessario il Documento valutazione rischi da interferenza che tiene conto appunto dei rischi derivanti dalla compresenza di più soggetti presenti sul cantiere.

«Tale documento attesta inoltre l’avvenuta informazione nei confronti degli operatori economici affidatari circa i rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui gli stessi dovranno operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate. Quanto allo specifico della manutenzione sulla rete ferroviaria il sindacato ha attivato con Rfi un Tavolo permanente sulla sicurezza. Abbiamo chiesto un incontro all’Autorità di regolazione dei trasporti riguardo all’assegnazione di capacità infrastrutturale ai vari operatori ferroviari. Perché non si può pensare solo alla logica commerciale e quindi alla vendita di capacità di infrastruttura senza pensare al fatto che quella infrastruttura ha necessità di tempi congrui per la manutenzione».

De Benedictis, esiste un problema specifico che riguarda la rete ferroviaria lombarda? Nel senso che quella rete è sottoposta quotidianamente allo stress di una quantità importante di materiale rotabile che circola?

«Sicuramente, ma questo “sovraccarico” non riguarda solo la Lombardia. La Roma-Napoli, la Roma-Firenze, per citarne alcune, sono delle tratte – soprattutto quelle in cui il servizio è a mercato – in cui la capacità infrastrutturale è legata al numero dei treni che viaggiano e più treni viaggiano meno spazi manutentivi ci sono su quell’infrastruttura».

Sembra che negli ultimi tempi le Ferrovie abbiano distolto lo sguardo – che sembrava perfino fisso – sull’Alta velocità, per ragionare anche dell’ammodernamento delle tratte pendolari. È in atto un ripensamento del modello che aveva portato nei fatti ad un Paese, letteralmente, a due velocità?

«Per anni la politica dei trasporti di questo Paese – che è stata sostanzialmente fatta da Ferrovie dello Stato – ha guardato principalmente all’Alta velocità. Solo da qualche anno si sta dedicando l’attenzione che merita anche al trasporto dei pendolari. Dico da qualche anno, ma se vuole le indico anche il momento esatto. Il cambio di prospettiva c’è stato dopo l’incidente del 12 luglio 2016, quando due treni della società Ferrotramviaria si scontrarono lungo la ferrovia Bari-Barletta tra le stazioni di Andria e Corato. Un disastro che costò la vita a 23 persone. Di fronte all’enormità di quell’incidente si è cominciata a porre attenzione alle linee ferroviarie regionali che non sono gestite direttamente da Rete ferroviaria italiana, ma sulle quali viaggiano milioni e milioni di pendolari e quindi si è posto il tema dell’ammodernamento tecnologico di quelle infrastrutture che avevano, ed hanno ancora in alcuni casi, standard tecnologici completamente diversi rispetto alle linee nazionali. Ecco un Paese come l’Italia non può in nessun modo tollerare che la sicurezza sia una variabile dipendente».

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica