Guido Rossa abitava nel quartiere di Oregina a Genova, in via Fracchia. Fu freddato, il 24 gennaio 1979, a pochi passi da casa, mentre andava al lavoro. Lì c’è un cippo in sua memoria e per il 42°, abbiamo deposto una corona. È un quartiere popolare e molte persone si sono affacciate dalle finestre o dai balconi. L’anniversario è stato celebrato alla Camera del Lavoro dove sono stato invitato a portare il saluto dell’Anpi di fronte alle istituzioni cittadine e regionali, alla signora prefetto e alle rappresentanze civili e militari, e degli studenti. Le disposizioni anticovid hanno permesso la partecipazione solo di pochi cittadini e iscritti della locale sezione dei partigiani e della Lega della Cgil. Erano con noi anche vari consiglieri comunali e regionali del centro-sinistra.
L’Anpi ha voluto semplicemente ricordare Guido Rossa per come era: un lavoratore, un comunista, un sindacalista della Fiom-Cgil, uno strenuo difensore della Costituzione nata dalla Resistenza, un uomo normale e amante della vita. Che fu e rimane per tutti un esempio di coraggio e, ancor di più, di coerenza.
Una storia la sua che mi piacerebbe fosse raccontata ai giovani, parlandone a scuola, utilizzando anche i nuovi mezzi di comunicazione. Che sono utilissimi per creare occasioni di incontro al tempo della pandemia.
La nostra generazione, in quegli anni, è cresciuta forte dell’insegnamento di chi, pagando con repressioni, deportazioni, molti anche con la vita, fece la scelta di riscoprire il valore della parola dignità, ridando dignità con le loro lotte non solo a se stessi ma al Paese intero.
Tutto ciò è stato fondamentale per la nostra crescita. Guido da ragazzo ha vissuto quegli anni di lutti e di tragedie della guerra che sicuramente hanno fatto parte della sua formazione, del suo bagaglio culturale, di idee e di valori.
Lo si sentiva nel taglio dei suoi interventi, scritti, pacati, profondi, pieni di quei contenuti; lo ricordo in particolare al teatro del Cral dell’Italsider nelle riunioni dei consigli di fabbrica, della Flm o alle riunioni del Pci.
Per me era una figura particolare, perché era il compagno che, oltre a essere professionalmente capace, aveva scalato le montagne più alte, era il nostro Walter Bonatti.
In quegli anni tremendi si facevano discussioni in cui si sottolineava come il terrorismo fosse estraneo alle tradizioni di lotta della classe operaia, che si è sempre battuta per salvare le fabbriche e le macchine e non per distruggerle e che, proprio per l’esperienza nella Resistenza e nel dopoguerra, un processo di involuzione, messo in moto dalla violenza, dalla insicurezza e dalla paura, avrebbe colpito per primi proprio la libertà e i diritti faticosamente conquistati.
Andava perciò fatta chiarezza coi lavoratori e coi cittadini: quel movimento eversivo non poteva contare sull’indifferenza che poteva essere scambiata per omertà, se non per simpatia verso i terroristi. E tutta la classe operaia doveva comprendere sino in fondo che, anche quando sparavano a un dirigente di azienda, in realtà colpivano e volevano isolare il mondo del lavoro, colpendo la libertà che esso ha sempre difeso.
Perché il rapporto tra mondo del lavoro e la Repubblica nata dalla Resistenza non è mai stato fondato sulla contrapposizione e sullo scardinamento delle istituzioni, neanche nei periodi della peggiore repressione (Di Vittorio aveva in tasca la Costituzione e niente altro); ma da sempre si è sviluppato sul terreno del superamento delle discriminazioni, del rinnovamento, della trasformazione democratica. Grazie a quelle scelte si sono aperti spazi di libertà e democrazia, proprio a cavallo degli anni ’70.
In questo contesto si è sviluppata la storia dell’uomo Guido Rossa, che in tutto il suo agire si è battuto per ideali straordinari, senza dei quali, oggi, non si potrà uscire dalla crisi economica, sociale, etica e politica che viviamo. Guido, e noi con lui, in fabbrica e nella società non abbiamo mai pensato a interessi di parte, ma solo al bene comune. Ed è bene ricordare che in quegli anni plumbei di scontri in piazza eravamo noi a lottare affinché nascesse un sindacato di polizia.
Siamo cresciuti in un periodo difficile per la democrazia, ma i nostri valori, quel modo di essere han formato la nostra generazione nella mente e nel cuore. È stata una scuola di vita dove il noi valeva più dell’io. Voglio ricordare, perché mi sembra rischi di essere dimenticata, la più alta lezione che abbiamo imparato: saper fare unità.
Quella pratica di dialogo, di confronto, di unità sostanziale, di obiettivi comuni da condividere e perseguire, è stata sperimentata nella lotta partigiana e anche dopo, negli anni di una violenza variamente espressa. Un nostro ingegnere era del consiglio nazionale della Dc e io del comitato centrale del Pci, eppure ci siamo sempre ritrovati fianco a fianco nella lotta in difesa della democrazia, contro il terrorismo.
È stata la carta vincente che ci ha fatto attraversare e superare i momenti difficili e gravi che ha vissuto la nostra democrazia: le fasi delle bombe fasciste, la strage di piazza Fontana, inizio della strategia della tensione, i tentativi di golpe, la strage a Brescia che mi lasciò sgomento, perché furono fatte esplodere bombe in una piazza, contro una manifestazione sindacale, e le bombe sull’Italicus e alla stazione di Bologna. In quel periodo buio del terrorismo c’erano le minacce e ti guardavi alle spalle, se tornavi a casa di notte, dopo che un volantino delle Br ci additava, noi operai e sindacalisti come “bonzi sindacali” o “berlingueriani”, nemici.
Lo dico per ricordare anche oggi quei terribili giorni in cui tutta l’Italia visse un incubo che finì in tragedia. Ci furono rapimenti, gambizzazioni, omicidi che hanno colpito tanti servitori dello Stato, magistrati, pagarono con la vita, o furono feriti, poliziotti, carabinieri (Tosa e Battaglini, uccisi a pochi passi da casa mia, in un bar, e che io qualche volta salutavo mentre prendevano il caffè, e poi giornalisti, dirigenti d’azienda come Carlo Castellano. Con lui furono tre dirigenti di Ansaldo feriti, e poi Guido Rossa, col quale ho condiviso militanza sindacale e politica.
Un omicidio, il suo, che ha tolto ogni dubbio sulla vera natura delle Br, se ce ne fosse stato ancora bisogno.
Non scorderò mai quella mattina in fabbrica quando arrivò la notizia della sua morte, alla quale non volevo credere e mi dicevo: No, lo hanno solo ferito, non è possibile che abbiano sparato ad un operaio, a un delegato, a un comunista.
E fu ancora più difficile tenere l’assemblea generale, che subito mi chiesero di introdurre, per dire ai miei compagni di lavoro quello che era successo, con parole che non mi uscivano dalla gola, strozzate dal pianto, ma con fatica, e fermandomi ogni tanto, riuscii in qualche modo a terminare.
E poi vedere i visi di chi era lì e si rendeva conto, piano piano, della gravità quanto che era successo a un operaio che andava al lavoro.
Avevo davanti a me le donne, operaie e impiegate, che ogni tanto si asciugavano gli occhi sgomente e anche gli uomini avevano gli occhi sbarrati, qualcuno lucidi, anche tra chi in Ansaldo era più anziano ed era entrato al lavoro durante la guerra.
E poi, andare subito tutti insieme, non c’è stato bisogno di dirlo, in un silenzio incredibile, verso piazza De Ferrari in una fiumana di gente, di tute e di cittadini.
Quanto fosse efficace quella scelta lo ha dichiarato uno di quei “cattivi maestri”, un professore universitario, che scrisse: “Li ho visti stamattina, alcuni piangevano, vecchi e giovani. Erano in strada verso De Ferrari, sono usciti tutti. Arrivavano da ogni parte della città. Nel passato mi sentivo forte delle mie posizioni contro gli obiettivi politici e sindacali. Ora non ero più io contro di loro, ma loro contro di me, c’era la rabbia: per noi ogni speranza era finita”.
E Genova diventò la capitale della lotta al terrorismo, in quei mesi e anni non facili, vicino a noi e con noi, ogni volta e in ogni manifestazione ci fu un grande sindaco sempre al nostro fianco, Fulvio Cerofolini che col suo agire dimostrò, anche così, il suo amore per la città e per i lavoratori genovesi, ma, soprattutto, il suo sentirsi fedele ed espressione della Costituzione e dei suoi valori, sulla quale aveva giurato.
Ricordare va bene, ma non basta, guai a non far tesoro di quelle esperienze. Perché tutto questo ci serve, oggi più che mai, ed è un bagaglio indispensabile per affrontare i problemi e i giorni che sono davanti a noi.
Non so quanti siamo coscienti che non saranno né facili, né tranquilli.
Non parlo solo del peso morale degli oltre 85.000 morti della pandemia, ma dell’insieme dei problemi che dovremo affrontare dopo: sarà come essere su di un crinale.
Un vecchio partigiano, morto poco prima di Natale mi diceva: “Nel dopoguerra la ricostruzione poggiò in gran parte sulle nuove generazioni che avevano la speranza di costruire un Paese libero e sviluppato. Oggi voi non avete a che fare con le macerie materiali, ce ne sono altre forse più difficili da rimuovere”.
Anche per questo vogliamo affermare un’altra visione della realtà che metta al centro il valore della persona, della vita, della solidarietà, della democrazia come strumento di partecipazione e di riscatto sociale.
Sapendo che la crisi economica mina i principi d’uguaglianza, libertà e giustizia, previsti dalla nostra Costituzione. Perché al problema economico si lega una crisi più profonda, in un liberismo sfrenato, con la tendenza al prevalere dell’economia sulle ragioni del diritto (e dei diritti).
È urgente uscire dalla crisi, specie dopo il covid, ma può diventare destabilizzante, se non si affronta nel modo adeguato e quindi il “come” diventa fondamentale. Per noi significa sviluppo dell’economia, impiego programmato ed equo delle risorse, lotta alle povertà, occupazione, non fittizia o ipotetica ma reale e concreta, che vuol dire lavoro dignitoso, se no, le disuguaglianze sociali crescono.
Da qui la necessità di una grande alleanza unitaria e antifascista, come ha proposto nazionale, la più ampia possibile, come allora, per mettere insieme le forze sane del Paese e batterci per quei valori.
Perché su questi temi non ci può essere equidistanza o sottovalutazione, ecco perché impegnarsi sul terreno della formazione, della memoria, della conoscenza e dell’attuazione della Costituzione, che lui, Guido Rossa, difese sino a pagare con la vita.
Batterci per il riconoscimento dei diritti della persona, che oggi devono essere intangibili, sotto ogni cielo, in ogni mare e in ogni paese: è un modo per onorarlo a 42 anni dalla sua morte.
Quest’anno sarà il 76° anniversario della Liberazione e il 73° della nostra Costituzione e io avverto una preoccupazione, perché c’è chi quella eredità morale vuole, non da ora, nasconderla e ben che vada, ridimensionarla.
Fa bene il Presidente Mattarella a sottolineare che la nostra Costituzione è l’esatto contrario del fascismo, perché nata dalla Resistenza, o come diceva Aldo Moro, ucciso anche lui dalle Br: “La Costituzione non potrà mai essere afascista, ma è e resterà antifascista, altrimenti non se ne capisce lo spirito, anzi lo si tradisce”.
La vicenda di Guido è stata la prova tangibile che la libertà e la democrazia conquistate a duro prezzo andavano difese con le lotte e i sacrifici, con la conoscenza, con la fermezza, con l’unità democratica.
Un’azione espressa anche col lavoro di ognuno, con la limpidezza delle nostre idee, con la volontà di crescere noi e il Paese insieme, nell’impegno collettivo.
Per questo il messaggio che ci viene da questa giornata, è che conoscere il passato serve a capire il presente, per poter costruire il futuro.
Ricordando Guido Rossa, un operaio, un delegato, un iscritto al Partito comunista, un uomo con la schiena diritta, viene in mente la forza e la determinazione di persone che lottarono e si sacrificarono per conquistare diritti che oggi qualcuno vuole mettere in discussione, perché ci dicono “ancora legati al passato”. Spesso lo dicono ai lavoratori, anche a quelli che lavorano nella stessa fabbrica di Guido. E invece, quei valori, sono di una straordinaria modernità e li hanno riaffermati nella manifestazione del pomeriggio in fabbrica, con la segretaria nazionale della Fiom Re David, i rappresentanti di Cisl e Uil e il commissario Arcuri e le istituzioni.
Non è questa l’Italia che volevamo, ma non abbiamo mai smesso di lottare per il cambiamento, sperando in un vento nuovo che spazzasse via il marciume e che riaprisse la strada per un futuro migliore a chi veniva dopo.
Abbiamo imparato che si può cadere, subire anche arretramenti, ma se siamo uniti e con obiettivi comuni, le cose possono cambiare, perché si riapre il cammino alla speranza, come diceva Don Gallo.
Convinti che se ognuno porta un granello di sabbia, si costruiscono le montagne!
Consapevoli che la Costituzione non è un pezzo di carta legato alla storia, ma un programma straordinario per il futuro della democrazia: basta applicarla.
Noi vogliamo che la memoria di ciò che è stato diventi patrimonio collettivo di tutti. È una sfida che va raccolta, senza tentennamenti o incomprensioni, per avere un’Italia più libera e democratica.
Lo dobbiamo a Guido Rossa e alle generazioni che verranno dopo di noi.
Massimo Bisca, presidente Comitato provinciale Anpi Genova, componente Comitato nazionale
Pubblicato mercoledì 27 Gennaio 2021
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