L’entrata del lager di Dachau

Il 21 marzo 1933 i maggiori giornali bavaresi, tra cui il “Münchner Neueste”, riportavano una dichiarazione di Heinrich Himmler, in cui si annunciava per l’indomani l’inaugurazione – vicino a Dachau – del primo Konzentrationslager (KL) in Germania, della capienza di 5.000 persone.

Dachau, 24 maggio 1933. I primi internati – oppositori politici – spingono di corsa un rullo schiacciasassi per il rifacimento delle strade del lager, sorvegliati dalle guardie

«Vi verranno radunati – asseriva perentoriamente l’allora comandante della polizia bavarese e Reichsführer delle SS – tutti i comunisti e, se necessario, i membri del Reichsbanner [1] e i funzionari marxisti che rappresentano un pericolo per la sicurezza dello Stato, poiché, alla lunga, non è possibile, senza costi gravosissimi per l’Amministrazione, continuare a tenere i singoli funzionari comunisti nelle carceri giudiziarie, e, d’altra parte, non è nemmeno possibile rimetterli in libertà. […] Abbiamo preso queste misure senza farci ostacolare da scrupoli meschini, nella convinzione di aver così tranquillizzato la popolazione tutta e di aver agito secondo la sua volontà».

Heinrich Himmler. Il 23 maggio 1945 per sfuggire alla probabile incriminazione in un eventuale processo degli Alleati si darà la morte con una capsula di cianuro

Lo scopo della conferenza stampa tenuta da Himmler era duplice: si intendeva, da un lato, intimorire tutti gli antagonisti politici e sociali, dall’altro ottenere l’approvazione incondizionata di quanti vedevano nel comunismo e nel marxismo un’insidia esiziale per la rinascita e le sorti della Germania. Non era passato neppure un mese dalla grave provocazione inscenata dagli uomini di Hermann Göring, che il 27 febbraio avevano dato alle fiamme il Reichstag: la responsabilità dell’incendio venne addebitata dalla propaganda nazista ai comunisti. Quel torbido episodio fu il pretesto per scatenare un’offensiva terroristica contro le forze del movimento operaio: la polizia e le SA (le “squadre d’assalto”), protagoniste nei due anni successivi di crudeli retate, passarono al setaccio le case dei quartieri popolari. L’obiettivo dei dirigenti nazisti era di chiudere la partita con la sinistra tedesca, che ancora alle elezioni del 5 marzo 1933 raccolse complessivamente il 30% dei voti, e di impedire preventivamente qualsiasi forma di resistenza.

Una delle garitte del campo

Con l’ordinanza del 28 febbraio 1933 “per la sicurezza del popolo e dello Stato”, emanata dopo i fatti del giorno precedente, si proclamò lo stato d’eccezione, destinato paradossalmente a essere la normalità nei dodici anni di permanenza al potere di Adolf Hitler, legittimando così la prassi della produzione normativa unicamente dall’alto: “Sola fonte del diritto – scrisse il giurista e politologo Carl Schmitt – è la volontà del Führer”. Da quel momento, e specialmente dall’appuntamento elettorale del 5 marzo, che diede al partito nazista quasi il 44% dei suffragi, si procedette celermente all’impianto di una granitica e spietata dittatura. Messi fuori legge i comunisti, il 2 maggio furono sciolti i sindacati; il 22 giugno toccò alla socialdemocrazia (la Spd), il 14 luglio a tutte le altre formazioni politiche, nello stesso giorno in cui venne varato il provvedimento di tipo eugenetico, che prescriveva la sterilizzazione – anche forzata – di tutti i portatori di supposte malattie ereditarie come la schizofrenia, l’epilessia, la cecità e la sordità.

Una veduta d’insieme del lager di Dachau ripresa al momento della liberazione del campo il 29 aprile 1945

In questo contesto, ad appena sei settimane di distanza dalla nomina di Hitler a cancelliere, in prossimità della cittadina di Dachau – situata a circa venti chilometri da Monaco – venne aperto, sull’area di una fabbrica di munizioni e polvere da sparo non più in uso, il primo campo di concentramento “ufficiale” del Terzo Reich, per rinchiudervi oppositori politici di qualunque orientamento, internati senza essere sottoposti a processo: dai comunisti ai socialdemocratici, dai cattolici ai liberali. A questi si aggiunsero, in un secondo momento, ebrei, zingari, “asociali” e omosessuali. Nel perimetro delimitato dalle sue baracche – ed è questa un’altra ragione, tuttora poco conosciuta, della triste fama di Dachau – Theodor Eicke, comandante del lager dalla fine di giugno del 1933 alla metà del 1934, sperimentò un sistema terroristico che fece scuola, che venne impartito a quanti successivamente gestiranno gli innumerevoli KL disseminati nell’Europa centro-orientale.

Theodor Eicke, generale delle SS

Fu lui ad elaborare, nell’ottobre 1933, il regolamento del campo, nucleo del metodo di Dachau, fondato al tempo stesso sulla spietatezza e su un’inflessibile disciplina, per gli internati quanto per i carcerieri. Fu lui l’artefice dei reparti SS-Testa di morto, che si misero sinistramente in luce come «specialisti inesorabili della brutalità, insensibili a qualsiasi emozione umana» (Eugen Kogon). Fu lui, il 4 luglio 1934, ad essere nominato da Himmler ispettore dei campi di concentramento, cioè responsabile del funzionamento dell’intero sistema concentrazionario. Si trattò di una ricompensa ricevuta da Eicke per aver guidato i plotoni di esecuzione che decapitarono fisicamente i vertici delle SA nella “Notte dei lunghi coltelli”, il cruento regolamento di conti tra Hitler e il numero due del nazismo, Ernst Röhm. A ragione si è parlato di “Dachauer Geist” per alludere allo spirito che pervadeva il laboratorio, il modello efficacemente messo a punto da Eicke e destinato ad essere applicato nell’intera area che sarà soggiogata dal nazismo nel corso del secondo conflitto mondiale.

Internati nel campo di concentramento italiano di Al Magroon, uno dei 19 installati – a partire dal 1930 – dalle autorità italiane su disposizione del generale Rodolfo Graziani, chiamato a condurre le operazioni di repressione in Cirenaica

Va ora ricordato che i «campi» in quanto luoghi di detenzione fecero la loro comparsa tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Furono utilizzati infatti, come dura risposta militare alla guerriglia, dagli spagnoli a Cuba, dagli americani nelle Filippine e dagli inglesi in Sudafrica (da qui si diffuse il termine campo di concentramento). Va altresì rammentato che all’inizio degli anni Trenta del Novecento decine di migliaia di libici persero la vita nei tremendi campi fascisti in Cirenaica, mentre a centinaia di migliaia languivano nell’«Arcipelago Gulag» dell’Urss staliniana.

Mappa dell’universo concentrazionario nazista che comprende anche i campi aperti durante la seconda guerra mondiale

Comunque in Germania, messa ben presto sotto il controllo dello Stato, dopo la brevissima parentesi dei “campi selvaggi”, la rete concentrazionaria divenne nelle mani del nazismo lo strumento sia per piegare gli avversari politici, sia per “purificare” la Volksgemeinschaft (la “comunità etnico-popolare”) dagli elementi bollati come razzialmente impuri e nocivi. Versione più radicale dei fascismi sorti in Europa tra gli anni Venti e Trenta, la dittatura nazista istituì un «ordine del terrore» (Wolfgang Sofsky), prima ancora che verso l’esterno, nei confronti dei nemici interni. Connotata in maniera determinante dalla creazione di un efficientissimo apparato repressivo e di sorveglianza, essa ebbe nel lager la sua istituzione centrale. Pur conoscendo alcune trasformazioni nella sua traiettoria storica dal 1933 al 1945, il KL assolse alla duplice funzione di strumento ferocemente punitivo nei riguardi degli oppositori politici, delle molteplici categorie di “diversi” o gruppi a vario titolo discriminati e marginalizzati rispetto alla società; e, al tempo stesso, di formidabile mezzo di intimidazione verso tutte le componenti della popolazione, potenzialmente candidate alla detenzione nei KL, nella misura in cui avessero trasgredito le regole di comportamento imposte dalle autorità naziste. Hitler aveva ben chiaro in mente quale ruolo spettasse al lager nella costruzione dell’edificio politico totalitario.

8 maggio 1936, lavori di ampliamento del campo in occasione di una visita di Himmler

«La brutalità incute rispetto. Le masse hanno bisogno di qualcuno che ispiri loro paura e le renda tremanti e sottomesse. Non voglio che i campi di concentramento si trasformino in pensioni di famiglia. Il terrore è il più efficace fra tutti gli strumenti possibili […]. I malcontenti e i disobbedienti ci penseranno due volte prima di mettersi contro di noi, quando sapranno che cosa li aspetta nei campi di concentramento. Aggrediremo i nostri avversari con brutale efficacia e non esiteremo a piegarli agli interessi della nazione mediante i campi di concentramento».

I bagni di Dachau

Il ricorso al terrore era, dunque, elemento essenziale per il consolidamento del regime nazista, per la sua presa sulla società tedesca. Di qui il rilievo assegnato ai lager, che inizialmente furono concepiti come Knochenmülen (“mulini da ossa”) per spezzare la resistenza politica, per «macerare, macinare, distruggere […] le spine nella carne» del potere hitleriano (Primo Levi): in primo luogo leader, quadri e militanti comunisti, poi quelli socialdemocratici, nonché sindacalisti, dissidenti cattolici e protestanti. In seguito la persecuzione si abbatté – in un crescendo di disumana violenza – su ebrei, sinti e rom, «asociali», vagabondi, refrattari al lavoro, omosessuali e testimoni di Geova. Sorti per stroncare chiunque osasse ribellarsi al Terzo Reich o ne costituisse una minaccia, i KL divennero – nel corso della loro esistenza – regno del terrore, centri di eliminazione in massa, sedi di aberranti esperimenti pseudo-scientifici, serbatoi di manodopera servile, sfruttata fino allo sfinimento e alla morte.

Com’è ormai assodato, la storia dei campi di concentramento si è articolata in due fasi, la prima delle quali si svolse in concomitanza con l’affermazione del nazismo in Germania, mentre la seconda cominciò con le annessioni dell’Austria e della regione slovacca dei Sudeti nel 1938, per proseguire poi con le conquiste militari della Wehrmacht nella seconda guerra mondiale, quando si verificò un’abnorme proliferazione della galassia concentrazionaria. Milioni di uomini, donne e bambini furono deportati, ridotti in schiavitù, maltrattati, picchiati e sterminati nei 27 campi principali e negli oltre 1.100 sottocampi funzionanti durante il Terzo Reich in Germania, Austria, Polonia, Francia, Cecoslovacchia, Olanda, Belgio, Lituania, Estonia e Lettonia.

I forni crematori di Dachau

Nelle “fabbriche della morte” di Auschwitz-Birkenau, di Bełżec, Chełmno, Sobibór, Treblinka e Majdanek perirono gran parte dei “sotto-uomini” ebrei (Untermenschen) braccati dai nazisti con l’aiuto dei fascisti europei (i repubblichini italiani, gli ustaša croati, le «croci frecciate» ungheresi, i collaborazionisti francesi, belgi, olandesi, ucraini, polacchi, estoni, lettoni e lituani). A una tragica fine andarono incontro anche gli altri elementi ritenuti razzialmente, politicamente e socialmente “estranei” e pericolosi: disabili (le “vite indegne di essere vissute” ), sinti e rom, prigionieri di guerra sovietici, slavi, antifascisti, omosessuali, testimoni di Geova, internati militari italiani. Nell’universo concentrazionario (David Rousset) si moriva nelle camere a gas, mediante fucilazioni ed esecuzioni sommarie, per sevizie e percosse, per denutrizione e malattie.

Dachau è stato l’unico lager rimasto attivo per l’intero periodo nazista, arrivando a disporre di 150 sottocampi

Dachau è stato – occorre sottolinearlo – l’unico lager rimasto attivo per l’intero periodo nazista, arrivando a disporre di 150 succursali: vi passarono a turno quasi 200.000 deportati, più di 40.000 furono assassinati o non riuscirono a sopravvivere alla sua terribile quotidianità, fatta di appelli estenuanti, di lavori spossanti, punteggiata da angherie e atrocità di ogni genere, tra cui spiccano il collaudo di tecniche mediche e l’effettuazione di raccapriccianti ‘studi scientifici’ sugli internati. Su 1.200 di queste inermi cavie umane il dottor Schelling non esitò a provare gli effetti della malaria mediante l’inoculazione di dosi di sporozoi presi dalle zanzare. Ancor più in là si spinse il dottor Rascher, che trasferì a Dachau la camera di decompressione dell’aviazione militare di Monaco e riprodusse le medesime condizioni di pressione e di ossigeno che si danno a quote molto elevate, concludendo i suoi sadici esperimenti nel maggio del 1942 con circa 80 vittime dirette e l’eliminazione dei superstiti per evitare che parlassero.

Sopravvissuti a Dachau alla liberazione del campo

Tra i deceduti a Dachau tanti i comunisti e i preti. Si tenga presente che la maggior parte dei sacerdoti arrestati dai nazisti venne portata nel lager bavarese: dei 2.800 uomini di chiesa, di 24 nazionalità diverse, che si ritrovarono in quel circuito della morte collettiva, soltanto poco più di 800 si salvarono.

Con lo scoppio della guerra e il suo incrudelirsi, l’alimentazione giornaliera – già largamente insufficiente – si impoverì ulteriormente, riducendosi soltanto a una mestolata di brodaglia di rape con 50 grammi di pane e un velo di margarina distribuita a mezzogiorno. Di notte ci si coricava sugli strati di assi di legno dei letti a castello, costretti a dormire di fianco, pigiati gli uni contro gli altri, esposti all’urina e agli escrementi che – a causa della dissenteria diffusa – colavano dagli assiti dei piani superiori, senza contare la presenza di pidocchi e insetti di tutti tipi, passando dal freddo pungente dell’inverno alla nauseabonda afa estiva. Un calvario, che terminò soltanto con l’arrivo degli americani, il 29 aprile 1945.

Incarnazione dello spirito del nazismo, il lager – come dimostra il caso esemplare di Dachau – non è solo sinonimo di reclusione e annientamento fisico dei “nemici politico-razziali” del Terzo Reich, ma è pure il prototipo della società totalitaria integralmente spersonalizzata e plasmata da una ferrea disciplina, espressione della volontà di chi presume di appartenere ad un’élite e a un popolo superiori. Un microcosmo artificiale, adibito alla demolizione psico-fisica dell’avversario e del “diverso”; un meccanismo di riproduzione del terrore come strumento di potere in grado di svuotare di qualsiasi capacità reattiva chiunque fosse finito nelle sue spire.

Francesco Soverina, storico


[1] Era un’associazione paramilitare politica costituitasi durante la Repubblica di Weimar per proteggere le istituzioni democratiche.