I ruderi della chiesa della Romita di Monte Cavallo, in uno scatto di inizio anni 90. Foto di Andrea Antinori

Questo scritto è basato su quanto venne raccontato nel dopoguerra al maestro Fernando Mattioni, classe 1934, e da altre testimonianze che speriamo possa aiutare a saperne di più, tra monti del Maceratese, nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1944.

In quella tarda primavera, dopo settimane di sanguinosi rastrellamenti che avevano messo a dura prova le formazioni partigiane, la zona era divenuta luogo di rifugio di gruppi appartenenti a brigate diverse e provenienti da varie regioni.

In particolare circa 45 combattenti giunti dall’Umbria, perlopiù montenegrini e slavi, e sette italiani avevano trovato riparo nella chiesa La Romita della Madonna. Per gli abitanti di quella terra era semplicemente La Romita di Monte Cavallo perché eretta sul versante nord, a 1327 metri, circa a metà dell’omonimo rilievo. Risalente al XII secolo, era appartenuta alla diocesi di Spoleto e dal 1587 a quella di Camerino per poi essere quasi abbandonata all’inizio del Seicento. A fianco dell’edificio centrale c’erano due locali utilizzati da un eremita. Proprietari erano i Marinelli, una famiglia benestante di Collattoni. Oggi un rudere, la chiesetta era ancora in condizioni discrete in quel maggio ’44.

Sembra che i partigiani vi fossero arrivati dopo un lungo cammino, zaino in spalla, e riposavano stanchi in giacigli di fortuna. Nei paesi del circondario si seppe che i soldati germanici arrivarono alla chiesetta, che ci fu un conflitto a fuoco e caddero tre partigiani italiani e uno della ex Jugoslavia e si suppone che ad indicare il nascondiglio fu una delazione.

A guerra conclusa, era l’estate del 1946, Fernando Mattioni, che allora aveva dodici anni, si trovava insieme al nonno Severino e al diciannovenne cugino Amilcare Carducci in un ampio pianoro sotto la cima del Poggio Martello per occuparsi del fieno. Durante una pausa dal lavoro Amilcare volle accompagnare Fernando a La Romita, distante una ventina di minuti di cammino.

Seguirono un largo sentiero e giunsero in uno spiazzo dove si trovava l’antica chiesa, in basso una scarpata piena di rovi. Nei ricordi di Fernando era intatta, con il portone chiuso. Amilcare gli fece notare alcuni segni di fucileria sul muro e riferì quanto si sapeva fosse lì accaduto.

Pantaneto, frazione del Comune di Monte Cavallo (MC) , sui Monti Sibillini

Seppur a distanza di decenni, ho trovato alcune persone ancora in vita, residenti nei paesi arrampicati sui monti, che avevano memoria almeno di una parte dei fatti. Pia Pacifici vive a Rasenna, ultima frazione del Comune di Visso, lungo la strada per Colfiorito, estremo lembo della provincia di Macerata proteso verso l’Umbria. È la moglie di Bruno Ottaviani, un altro cugino di Fernando. Il suocero Alfonso e la sua famiglia a quei tempi disponevano di muli e asini da trasporto per le tante necessità della montagna. Pia rammenta che qualche tempo dopo l’agguato ai partigiani il suocero aveva raccontato al figlio: “Era notte fonda, sentii bussare alla porta, erano i tedeschi, in seguito seppi provenienti da Sellano, i quali mi fecero capire di prendere gli asini per caricare armi e munizioni. Immagina la paura!”. I tedeschi avevano costretto non solo lui ma anche altre due persone a mettere a loro disposizione gli animali. Pia rammenta bene: il convoglio era composto da Alfonso Ottaviani, Antonio Pacifici e da Adalgisa Peparelli, di Forcella (Serravalle di Chienti); la donna aveva sostituito il marito, che non poteva fare sforzi.

Partirono a notte fonda, nella nebbia, senza conoscere la destinazione, camminarono per oltre due ore. Arrivarono prima dell’alba.

Quando Alfonso scorse appena in lontananza la sagoma scura della chiesa fu ordinato loro di scaricare le armi e le casse e di attendere. Successivamente furono lasciati liberi di rientrare a casa.

Una parte di quanto accadde in seguito è riferito dal sito italiano dei partigiani jugoslavi.

Veduta dall’alto della Romita di Monte Cavallo (foto di Andrea Antinori)

Silenziosamente i tedeschi, circa 400, presero posizione attorno alla Romita, piazzando le mitragliatrici MG 34 ai lati della facciata principale. Completato l’accerchiamento l’ufficiale tedesco spalancò la porta intimando “Raus, nicht kaputt, uscite, non vi uccidiamo!”. I giovani resistenti, svegliati di soprassalto, si armarono. Nel frattempo, un soldato tedesco, salito sul tetto, dopo aver praticato un’apertura, iniziò a gettare delle bombe a mano all’interno. Quel soldato fu colpito mortalmente da un partigiano.

Nel sito si legge ancora che un partigiano tentò di lanciare una bomba verso i tedeschi attraverso una finestra, ma urtò l’inferriata e l’ordigno tornò indietro. Fortuna volle che non esplodesse! Non avendo altra possibilità di salvezza, ai partigiani non restò che tentare una disperata sortita per rompere l’accerchiamento. Riuscirono a farsi largo lanciando bombe a mano e sparando, per gettarsi di corsa verso la scarpata distante pochi metri dalla porta, e fuggire.

L’eco delle raffiche e degli scoppi delle granate percorsero, inascoltati, la tranquilla vallata esposta alla tramontana, mentre i lampi rischiararono la solitudine.

Il sito riporta inoltre che furono quattro i partigiani Caduti (tre italiani e uno slavo) e diciotto feriti. Morirono: Carlo Meloni (classe 1922) ,il commissario politico della formazione; Luigi Galani, ventenne ferrarese; Alberto Enrico Mascioli e il dalmata Matić Dušan (Svetozar). Di nessuno di loro, precisa il sito, si conosce il luogo di sepoltura. Ci furono anche 18 feriti, che vennero assistiti con generosità dai paesani della zona.

Epigrafe commemorativa della Resistenza nel Comune di Foligno dove compaiono solo tre dei quattro Caduti a La Romita di Monte Cavallo (foto Giuliano Pergolesi)

Secondo i ricordi da me raccolti, ad Amilcare rimase impresso un ragazzo di Ferrara (Luigi Galani) che, dopo una lunga corsa, morì nel casolare di Domenico Francucci, in località “Cave di Sotto”, nei pressi di Pantaneto (secondo Fernando distante almeno un’ora di cammino dalla Romita). Inoltre Pia conferma quanto riportato nel sito: un partigiano sopravvissuto allo scontro fu ritrovato privo di vestiti. Si trattava di Borislav Mečikukić “Boro”, il comandante della formazione.

Carlo Meloni era figlio di Antonia Pacifici, zia di Pia. Secondo la nostra testimone dovrebbe essere stato sepolto nel suo luogo di origine, Caposomigiale, una frazione di Foligno. Tra i feriti ci fu anche Alfio Lupidi, partigiano di Foligno della brigata Garibaldi. La formazione rifugiatasi nella chiesetta forse s’identifica in una compagnia del battaglione Tito.

Nel resoconto di questo episodio della Resistenza riferito sul sito dei partigiani jugoslavi si legge che i teutonici furono accompagnati da un certo Giuseppe di Sellano.

Una ipotesi rafforzata da Fernando, profondo conoscitore dei luoghi, convinto che da soli, in una notte nebbiosa, non avrebbero mai trovato quel posto isolato.

Date le circostanze, i tre “portatori” non notarono se tra i ranghi tedeschi vi fosse camuffato l’uomo (forse di Sellano) che li guidò. Secondo i ricordi di Bruno Ottaviani e della moglie Pia Pacifici, un uomo di Sellano avvertì i giovani dell’arrivo dei tedeschi, ma essi non avrebbero preso adeguati provvedimenti, forse per la stanchezza.

Riflettendo a posteriori i militari tedeschi non erano di certo 400 ma qualche decina: se fossero stati così numerosi e ben dislocati lungo i percorsi di fuga, nessun partigiano sarebbe sfuggito alla cattura.

Nel Maceratese, su questo scontro armato hanno scritto brevemente il prof. Giacomo Boccanera, il prof. Edmondo Casadidio, il dott. Mario Mosciatti, l’avv. Carlo Ballesi. Nell’epigrafe dedicata ai Caduti della Resistenza, posta su una facciata del palazzo Orfini in piazza della Repubblica a Foligno, compaiono solo tre dei quattro Caduti a La Romita. Ecco perché un’ulteriore ricerca di testimonianze andava fatta, sui luoghi, qualche decennio fa, prima che il tempo continuasse a cancellare la memoria.

La lapide apposta a Monte Cavallo a breve sarà restaurata e collocata in Municipio

Pietro Cecoli, sindaco di Monte Cavallo, mi ha riferito di una lapide originaria rinvenuta presso La Romita, ridotta in frantumi dai crolli ma leggibile. Sarà riparata e apposta sulla facciata del Municipio, appena sarà ristrutturato. Nei pressi della chiesa sarà posto un pannello come indicazione di “luogo della Resistenza”. Il percorso per arrivare alla Romita sarà collegato al “sentiero Italia” (che si trova sull’itinerario Colfiorito-Pantaneto-Visso) e il “sentiero Europa” (afferente al tratto Bocca Trabaria- Castelluccio di Norcia).

Eno Santecchia

 


Bibliografia:

www.cnj.it/home/it

Giacomo Boccanera: Sono passati i tedeschi. Episodi di guerra nel Camerinese. Ristampa a cura dell’Università degli Studi di Camerino, San Severino Marche, Berta 80, 1994. (Il professor Giacomo Boccanera ha scritto che nella zona era stata segnalata la presenza di un forte reparto di tedeschi e che tra le forze germaniche ci furono  quattro morti).

Carlo Ballesi  Pietro Capuzi e la Resistenza nell’Alto Nera, Pollenza, Tipografia San Giuseppe, 2014.

AA. VV. Anpi  Tolentino, Tolentino e la Resistenza nel Maceratese, Camerino, Artelito, 2003.

Mario Mosciatti, Zoran Companjet. Il tenente Nicola. Comandante partigiano sui monti del Camerinese, professore e rettore dell’Università di Fiume. Ma anche poeta, scrittore, commediografo e  …, Camerino, Inprinting Srl, 2014.