C’è un nesso tra Olga Guerra e Luciano Lama: un nesso anche romantico tra questi due giovani che pensano a quello che è giusto fare e decidono di farlo. Il loro è un pensiero per sé, per il loro essere antifascisti, che è anche dei resistenti tutti e non importa se di una o altra brigata. Olga Guerra, Luciano Lama, Arrigo Boldrini, Benigno Zaccagnini, nomi noti, ai quali la Romagna è particolarmente legata, costruttori della nostra democrazia. Ma a loro si affiancano anche altre donne e uomini, molti con una scolarizzazione più di strada che di libri, che sentono dentro di loro l’urgenza di impegnarsi in prima persona, di battersi non solo per la Liberazione, ma per riconquistare le libertà che il fascismo furbescamente o con la forza ha tolto. Libertà umiliate, derise. Per chi le invocava c’era il carcere, il confino, la morte. Il racconto che segue è di Bruna Tabarri, figlia di Olga (o meglio, “Olghina”) e attivista Anpi: una prova tangibile che l’antifascismo generazionale c’è ed è ricchezza nazionale.

Ivano Artioli, presidente Comitato provinciale Anpi Ravenna

Olghina e il partigiano Luciano Lama

Mi chiamavano Olghina perché nel 1944 avevo 18 anni, ma ne dimostravo meno. Gestivo con la mia famiglia il sale e tabacchi del mio piccolo paese, Pieve di Rivoschio, nelle colline del forlivese dove i campi cominciano a cedere a prati, pascoli e boschi. Nella mia casa i partigiani trovavano un rifugio, cure, vestiti puliti, un pasto caldo e calzini di lana grezza, di pecora, che la mia mamma lavorava ai ferri. Gli stessi calzini che io indossavo regolarmente nonostante il prurito che mi procuravano dentro gli scarponi dalla punta larga e fuori misura che gli alleati inglesi lanciavano dagli aerei insieme ai rifornimenti per le truppe dell’8a brigata Garibaldi.

Portavo messaggi, informazioni, ordini attraverso i sentieri dei campi e dei boschi con passo leggero, stando ben attenta a non fare rumore per non segnalare la mia presenza. A volte sul somaro del mio babbo. I messaggi li tenevo nascosti dentro le scarpe fra il piede e la suola. Una spiata mi sarebbe costata la vita e non sarebbe stata la prima volta che i tedeschi e le milizie fasciste sfondavano la porta della mia casa, puntandoci contro il mitra e chiedendoci dove fossero le armi e i partigiani. Le armi erano nell’ossario del cimitero, io lo sapevo.

Olga Guerra alla scuola di partito

Una volta uccisero un maiale e per ripicca lo lasciarono sanguinante sui nostri letti. Ma io non avevo paura, la loro violenza mi dava più forza per continuare a lottare. Tante volte ho pensato che stavo per lasciarci la vita, ma non ho mai voluto un’arma. Ed ero stata pure fortunata, poiché la mia casa era il centro di raccolta dei gruppi partigiani dell’8a brigata: da loro avevo appreso gli ideali di libertà, democrazia e dignità della persona, che avevo subito abbracciato. Erano antifascisti che avevano subito soprusi e torture, alcuni di loro avevano fatto la guerra di Spagna nel ’36, o la galera o il confino al ritorno in patria ed erano poi diventati valorosi partigiani. Ripensando a quei momenti ricordo un episodio al quale sono particolarmente legata.

Olghina e Luciano Lama, che nel novembre del 1944 guidò l’insurrezione per la liberazione di Forlì. Gli alleati, al loro arrivo, trovarono la città già libera.

Una fredda mattina di fine inverno, quando fuori non c’era nessuno, arrivò un ragazzo. Era venuto, ci dissero, a cercare il fratello che da alcuni mesi era sulle nostre montagne. Lo portavano in due perché si reggeva a stento in piedi: alto, magro, gli occhi rossi per la febbre alta che lo sfibrava, il respiro affannato, non mangiava da diversi giorni. Capimmo che era molto grave, che aveva bisogno di un dottore, di medicine, di riposo. Il suo corpo era scosso dalla tosse e dai tremiti, e sembrò trovare un po’ di giovamento bevendo il latte della nostra capra che io e mia mamma gli demmo. Fu deciso di trasportarlo appena fosse stato possibile, cioè appena fosse scesa la notte, verso la pianura, a Borello, da una famiglia di fiducia che lo avrebbe portato poi in ospedale, affidandolo a mani sicure, esperte e generose. Ce ne erano tante di famiglie generose allora, e per questo la Resistenza è stata possibile, proprio grazie a questa rete di solidarietà umana. Lo avvolgemmo in coperte di lana e lo mettemmo dentro la cesta del fieno, trainata dai buoi, ben ricoperto di fascine. Il cammino era lungo e anche la notte era lunga, buia ma pure amica. Insieme con me c’era mia cognata Gianna. “Olghina ti devo la vita” mi disse quando ci rivedemmo a guerra finita. Aveva già la pipa tra le mani, il suo segno distintivo. Era Luciano Lama.
(Maria Olga Guerra 1926-2009, nome di battaglia “Olghina”)

Bruna Tabarri, Comitato provinciale Anpi Ravenna 

Al centro, Luciano Lama

Le due testimonianze da me richieste alla compagna Bruna Tabarri, figlia della staffetta partigiana “Olghina”, e al compagno Ivano Artioli, presidente del Comitato provinciale Anpi di Ravenna, arricchiscono di significato le due poesie che ho voluto dedicare alla meravigliosa giovane staffetta e all’impegno di tantissime donne e tantissimi uomini che avevano voglia di libertà fino a rischiare o perdere la loro vita per sconfiggere il nazifascismo. Il giovane studente tanto malato si chiamava Luciano Lama, prima partigiano e poi segretario generale della Cgil. Tanti di loro, oggi, purtroppo vanno cadendo come foglie al vento, ma “la vecchia quercia dell’antifascismo e della libertà piantata con il sangue di tanti valorosi italiani e italiane, continuerà a vivere, con le sue profonde e sane radici”.

Ottavio Terranova, vicepresidente nazionale Anpi e coordinatore regionale Anpi Sicilia

Eran sui monti

 Eran sui monti
non per passeggiare,
eran sui monti tutti per lottare
voglia di libertà vi era nei loro cuori,
combattevan tutti
con coraggio e amore,
la lotta di resistenza scrisse la nuova storia,
su una carta che difendiamo ancora.

Settembre 2016

Olghina staffetta partigiana

Olghina decise di portare
sul suo carro malandato
un partigiano da salvare,
percorse strade e monti
senza aver paura, tanto
coraggio aveva forse
per sua natura,
passati son tanti anni,
sui monti non si torna più
l’Italia è liberata lo sai
anche tu,
Olghina ancora bella con la sua
lunga storia, riabbraccia il
partigiano che diede
sangue e gloria.

Agosto 2016