RenziReferendum costituzionale. Renzi alla Direzione Pd dal 4 luglio: “Se vince il No, noi, ma penso anche il Parlamento, non potremmo non prenderne atto”. Il che, tradotto in italiano, vuol dire: muoia Sansone con tutti i Filistei: Governo e Parlamento. Peccato che la Costituzione (art. 88) attribuisca il potere di sciogliere le Camere al Presidente della Repubblica: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. In sostanza chi decide è il Presidente della Repubblica e sono formalmente coinvolti il Presidente del Senato quello della Camera. Dunque l’opinione del Presidente del Consiglio, per quanto autorevole, è marginale, proprio per evitare – si potrebbe immaginare – un suo abnorme potere. A meno che non si simuli un potere “presidenziale” del premier attualmente non costituzionalmente previsto.

Il tema delle dimissioni del Presidente del Consiglio in caso di vittoria del No non è nuovo. Da ciò la critica a Renzi di aver personalizzato il confronto referendario. Eppure scrive Renzi sul referendum il 16 maggio: “Personalizzare lo scontro” sul referendum costituzionale di ottobre “non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del No che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio”.

Ma è lui che il 12 gennaio afferma: “Se perdo il referendum sulla riforma costituzionale smetto di far politica”; il 13 aprile: “Se non passa la riforma costituzionale vado a casa”; il 30 maggio: “Se vince il No vado a casa”; 12 giugno: “Se il referendum non passa, vado a casa”, e poi carica a pallettoni (anzi, a lanciafiamme): “ma se passa il No, l’Italia diventa ingovernabile e in Europa non ci fila più nessuno”.

coverSempre Renzi. Scrive il 29 giugno: “Stanno cercando di non parlare del merito del referendum. Fateci caso: vanno in tv e non parlano del merito”. Si riferisce, ovviamente, ai sostenitori del No alla sua riforma costituzionale. Ma in Tv dilagano solo i sostenitori del Sì e in particolare i rappresentanti del Governo; la massima parte del tempo televisivo (e dello spazio sui quotidiani) viene sequestrata proprio da Matteo Renzi. La verità è che fino ad oggi chi non ha minimamente parlato sul serio dei contenuti della riforma è proprio il Governo attraverso i suoi rappresentanti, che hanno invece spesso usato gli strumenti della caricatura, del grottesco e della demagogia: “Se passa il referendum un politico su tre va a casa” (Renzi). “Quale fretta? Sono 70 anni che stiamo aspettando la fine del bicameralismo paritario” (Boschi) (cioè da prima della Costituzione del 48). “Molti partigiani, quelli veri, che hanno combattuto, e non quelli venuti poi, voteranno sì alla riforma costituzionale” (Boschi). Questo sarebbe entrare nel merito della riforma?

L’ANPI, che è parte fondamentale dello schieramento del No, è sempre intervenuta nel merito (e nel metodo di costruzione) della riforma costituzionale, come attesta – per esempio – questo periodico, dove da mesi si alternano personalità che analizzano punto per punto i contenuti della riforma stessa.

Ma c’è di più: “Le costituzioni – scrive il costituzionalista Luigi Ferrajoli – sono patti di convivenza. Stabiliscono le pre-condizioni del vivere civile, idonee a garantire tutti, maggioranze e minoranze, e perciò tendenzialmente sorrette da un consenso generale. Servono a unire, e non a dividere, dato che equivalgono a sistemi di limiti e vincoli imposti a qualunque maggioranza, di destra o di sinistra o di centro, a garanzia di tutti”. E continua: “La Costituzione di Renzi è invece una costituzione che divide: una costituzione neppure di maggioranza, ma di minoranza, approvata ed imposta, però, con lo spirito arrogante e intollerante delle maggioranze”.

Il Costituente Piero Calamandrei (da http://www.libertaegiustizia.it/wp-content/uploads/2015/09/calamandrei1.jpg)
Il Costituente Piero Calamandrei (da http://www.libertaegiustizia.it/wp-content/uploads/2015/09/calamandrei1.jpg)

Anche per questo le forzature continue del Presidente del Consiglio – mi dimetto, si dimette il Governo, si dimette il Parlamento – sono costituzionalmente inaccettabili, perché impongono vincoli e condizioni alla scelta referendaria sulla Costituzione, scelta che per definizione – la Costituzione è la radice dell’intero sistema giuridico e istituzionale – non può che essere svincolata e incondizionata e specialmente sovraordinata rispetto alle posizioni di qualsiasi Governo che, per sua natura, è solo l’inquilino provvisorio di Palazzo Chigi. Non solo: si insiste, nel promuovere la riforma costituzionale, in un atteggiamento divisivo, come se ci fossero due Italie, l’una contro l’altra armata, una delle quali deve soccombere. Così era, in effetti, in occasione del referendum del 1946, quando si scontrarono i monarchici ed i repubblicani. Ma dopo, nel 1948, nacque la Costituzione di tutti, una Costituzione che rappresentava anche quella larga parte del Paese che aveva votato per la monarchia. Occorreva unificare, ricostruire, fare coesione. E la Costituzione fu lo strumento della ritrovata (e ricostruita) unità nazionale. Dentro l’unità ci fu, certo, la divisione politica: pochi mesi dopo la promulgazione della Costituzione ci fu il 18 aprile. Ma la divisione politica non metteva in discussione l’unità costituzionale.

Questa visione, questa comprensione d’orizzonte sembra mancare al Presidente del Consiglio. Ed è un vero peccato, perché proprio oggi, davanti alle sfide terribili a cui l’Italia è chiamata, ci vorrebbe un altro respiro istituzionale, politico, sociale e civile: la più importante eredità dei Padri Costituenti.