Ibrahim è seduto su un muretto all’ombra di un albero antistante la stazione di Ventimiglia, l’ultimo comune ligure al confine con la Francia, in attesa del primo treno per la Costa Azzurra. Vuole tentare di varcare il confine e raggiungere alcuni familiari che lo attendono a Parigi. Ma sa che non sarà facile. «In sha’Allah (se Dio vuole)», dice mentre mangia un panino che condivide generosamente con i piccioni ai suoi piedi. Poco distanti, gruppi di giovani stranieri siedono a terra. Degli agenti della polizia ferroviaria fanno da spola tra l’ingresso della stazione e i binari. Due volanti della polizia stradale girano costantemente tra gli isolati vicini.

Dal 2015 il governo francese ha introdotto i controlli alle frontiere interne dopo gli attentati di Parigi, sospendendo di fatto il trattato di Schengen, l’accordo che regola il libero transito dei cittadini europei tra gli Stati membri dell’Unione. Le stesse procedure sono state attivate anche da Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia, dando luogo a quella che è stata definita “Fortezza Europa”: la combinazione tra la chiusura delle frontiere e gli ostacoli eretti contro l’ingresso di non comunitari.

Allo scadere dell’ultima proroga dello scorso aprile richiesta dalla Francia, una delegazione parlamentare di controllo sull’attuazione di Schengen è stata a Ventimiglia, per la prima volta a quattro anni dalla sospensione del Trattato. Tuttavia, una nuova deroga è di fatto attiva, richiesta dalle autorità francesi per ragioni di terrorismo, dovute alla paventata partenza dalla Libia di migliaia di rifugiati.

Ibrahim ha 22 anni e viene da Agadez, in Niger. Si trova a Ventimiglia da qualche settimana. Dorme in ripari di fortuna e conserva le poche risorse economiche che ha per proseguire il suo viaggio. Ha già provato ad arrivare in Francia, senza farcela. «Mi sono nascosto in bagno, ma quando a Menton-Garavan (prima fermata oltreconfine, ndr) la polizia francese ha fermato il treno e ha aperto la porta del bagno, non ho avuto il tempo di dire niente – racconta accigliato –. Mi hanno spuzzato lo spray al peperoncino in volto e mi hanno trascinato giù dal treno malmenandomi». Secondo gli accordi di Chambéry – siglati dal governo Prodi nel 1997 – la polizia francese dovrebbe dimostrare che i migranti irregolari vengano rimandati nel Paese dal quale con ogni evidenza stanno arrivando. Se sono sul treno è molto semplice.

Violenza, procedure speditive, controlli discriminatori, respingimenti irregolari, detenzioni arbitrarie, ostacoli al diritto di asilo e mancata assistenza ai minori, denunciano legali e organizzazioni umanitarie.

I passeggeri irregolari vengono condotti con un minivan alla PAF, la police aux frontières, dove viene loro notificato il respingimento e lasciati liberi di tornare in Italia. A poche centinaia di metri, si viene poi sottoposti ai controlli della polizia di frontiera italiana. Se si sono commessi reati si finisce su un pullman fino all’hotspot di Taranto. Ma spesso basta solo essere irregolari. Se questo bus non si riempie il giorno in cui è destinato a partire, la polizia rastrella in giro per la cittadina potenziali irregolari. Spesso capita che in mezzo ci finiscano persone con regolari documenti. “Per alleggerire la frontiera”. Così nel 2016 il ministro dell’Interno Angelino Alfano presentò le operazioni di trasferimento. Ma sono operazioni inefficaci perché i migranti hanno diritto a circolare liberamente sul territorio italiano e poche ore dopo sono liberi di andarsene. Nelle ultime settimane se ne registrano meno. «Abbiamo viaggiato tutta la notte fino a Taranto. Eravamo una ventina – dice Berhane che dall’Eritrea ha impiegato quasi due anni per arrivare in Italia –. Sono tornato a Ventimiglia perché non so dove altro andare. L’Italia è bella ma non voglio viverci. La mia famiglia mi aspetta in Svezia». Spiega Anna Brambilla, legale dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI): «Fino al 2017 i trasferimenti non avevano alcuna base normativa. Poi con l’introduzione dell’art. 10 ter dlgs 286/98, che prevede la possibilità di utilizzare gli hotspot per identificare anche le persone fermate nell’atto di attraversare irregolarmente una frontiera interna, le cose sono cambiate. Questo non significa che i trasferimenti siano legittimi, ma solo che è più difficile contrastarli».

Da https://www.oxfamitalia.org/migliaia-di-migranti-bloccati-nei-balcani/

Se i respingimenti alla frontiera avvengono dopo le 19, “sulla base di accordi con la polizia italiana – chiosa il rapporto Se questa è Europa 2018 dell’organizzazione umanitaria Oxfam, Diaconia Valdese e Asgi – adulti e minori vengono quindi trattenuti illegalmente all’interno dei locali della polizia francese (un container) fino al mattino successivo, in condizioni di promiscuità, senza cibo né acqua, senza coperte o materassi, senza nessuna informazione su quanto sta avvenendo. A questi locali non accedono né interpreti né legali. Gli abusi fisici e verbali sono la norma e non si verificano solo sui minori, ma su chiunque tenti di attraversare il confine”.

E gli attivisti di Kesha Nya Kitchen, gruppo di fatto No Border, benché quest’ultimo si sia ormai sciolto, denunciano sulla loro pagina social: “Un uomo è uscito dal container con escoriazioni e tagli, aveva sangue sulla giacca e una bruciatura sul dorso della mano. La polizia francese non solo lo aveva pestato e insultato, gli aveva anche spento una sigaretta sulla mano. Gli hanno tolto tutti i suoi averi”. La loro pagina è una cronologia di abusi di questo genere. Il gruppo ha un presidio permanente a 300 metri dalla frontiera di Ponte S. Luigi in cooperazione con altri solidali del gruppo ProgettoK, dove i transitanti respinti dalla Francia passano per rientrare a Ventimiglia. «Ascoltiamo centinaia di storie ogni settimana e la polizia francese non ha mai smesso di essere violenta», commenta un attivista. Bevande calde, frutta secca, biscotti, una postazione alimentata da un pannello solare portatile per ricaricare i telefoni. E umanità. Da qui passano una trentina di persone al giorno. Meno di un migliaio al mese. Da giugno dello scorso anno sono state respinte 18mila persone.

Poco distante dal presidio, una rupe dall’altezza vertiginosa costeggia il cosiddetto Passo della Morte, un sentiero impervio che non lascia margine d’errore, percorso da ebrei costretti a fuggire dalle leggi razziali del 1938 e da antifascisti perseguitati dal regime.

Una targa di marmo ricorda Jean Bolietto e Joseph Arnaldi, partigiani uccisi dai nazisti il 16 settembre 1944  durante un sopralluogo per far saltare uno dei ponti ferroviari a ridosso del confine italo-francese e bloccare la possibile avanzata dell’esercito tedesco appena respinto a Menton. Questo è uno dei sentieri che tutt’oggi viene percorso, il territorio ne è ricco. Alcuni migranti tentano a piedi anche lungo la carreggiata dell’autostrada Genova-Nizza, o lungo i binari della ferrovia per evitare i controlli di polizia a bordo dei treni. Le cronache locali riportano continuamente incidenti e purtroppo vittime. Tra il 2016 e il 2018 sono stati scoperti circa trenta corpi lungo tutta la frontiera franco-italiana, secondo l’associazione umanitaria Anafé. Altri con ogni probabilità risultano introvabili per via della geografia del territorio.

Di fronte, a poche centinaia di metri in linea d’aria, la frontiera di Ponte San Ludovico e il suo giardino che ospita il Terzo Paradiso, opera di cinquanta massi dalla forma dell’infinito dell’artista Michelangelo Pistoletto. E poi oltre, l’agognata terra promessa francese. A ridosso della strada, sotto il muretto, abiti e oggetti superflui abbandonati per avere l’agilità di raggiungerla, affidandosi alla sorte con i treni, in pullman di linea o con un passaggio illegale di un passeur, pagando 150 euro per essere aiutati a superare il confine.

Per i minori non accompagnati il trattamento non cambia. A Ventimiglia sono il 25% dei transitanti. Uno su quattro. Si aggiungono tagli delle suole delle scarpe, furto delle SIM, registrazione come maggiorenni e falsificazione delle dichiarazioni sulla loro volontà di tornare in Italia. Quando i ragazzi (solo il 5% di loro è di sesso femminile) vengono riportati in Italia, la polizia italiana controlla attraverso le impronte digitali la loro data di nascita. Se risulta minorenne lo riaccompagnano dalla polizia francese perché il ragazzo intende andare in Francia, dove si trovano familiari o reti di conoscenze. Ma questo gran parte delle volte non accade. E accade che i minorenni siano riammessi formalmente in Italia. «Tre azioni legali congiunte da parte di un coordinamento di associazioni italiane e francesi hanno denunciato queste violazioni nei confronti dei minori stranieri non accompagnati – spiega Simone Alterisio, responsabile del servizio a Ventimiglia per Diaconia Valdese, che fa parte del coordinamento –. I tribunali francesi hanno riconosciuto l’illegittimità delle prassi in questione applicando le richieste dei minori, ma la situazione non cambia». Aggiunge la legale Anna Brambilla: «la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è già intervenuta in passato affermando che gli Stati membri non possono effettuare una sorveglianza delle frontiere interne con effetti equivalenti alle verifiche di frontiera. Nonostante questo, attraverso la proroga dei controlli alle frontiere interne o in applicazione di accordi di riammissione antecedenti il sistema Schengen, Francia, Svizzera e Austria continuano a respingere verso l’Italia i minori non accompagnati e richiedenti asilo». Alla fine di giugno, un secondo coordinamento di organizzazioni italiane e francesi ha esposto la questione al procuratore della Repubblica di Nizza e ha invitato il relatore speciale ONU dei diritti umani dei migranti, Felipe Gonzalez Morales, a recarsi sul posto per appurare quanto avviene al confine franco-italiano.

Alcune delle persone respinte alla frontiera dormono anche solo per una notte nel centro di accoglienza della Prefettura gestito dalla Croce Rossa, a 5 chilometri dal centro cittadino. «Il campo Roja ospita persone al di là dell’avanzamento delle loro pratiche burocratiche – dice Jacopo Colomba di We World, una delle organizzazioni all’interno del campo –. È un luogo di transito che può accogliere fino a 500 ospiti, ma si è assestato intorno ai 200 con un turnover quotidiano. Uno su tre è uscito dal circuito dell’accoglienza per effetti diretti e indiretti del decreto Salvini». Uno di questi effetti è il famigerato taglio a 18 euro della diaria giornaliera per migrante che ha causato l’abbandono delle gare d’appalto da parte di molte realtà del settore e la chiusura dei piccoli centri di accoglienza per rifugiati, mettendo in strada centinaia di persone, lavoratori inclusi. Altro effetto è l’abrogazione del permesso di soggiorno umanitario che, secondo una stima dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, entro il 2020 provocherà 70mila irregolari in più sul territorio italiano, oltre a quelli che continueranno ad arrivare. «Lavoravo al mercato di Torino e mandavo un po’ di soldi alla mia famiglia – dice in un buon italiano Yakuba, ivoriano di 29 anni, che incontro alla fine della strada statale che dal campo Roja porta a Ventimiglia –. Avevo un contratto di lavoro, una casa, ma ora è tutto finito. La Francia è una buona possibilità». Il suo permesso di soggiorno non è più rinnovabile, neanche per lavoro.

Da gennaio a giugno di quest’anno a Ventimiglia sono state respinte 8.200 persone che avevano già trovato una sistemazione fuori dall’Italia. Sono i cosiddetti dublinanti: identificati in Italia, primo Paese di arrivo, dove secondo il regolamento di Dublino dovrebbero far richiesta di protezione internazionale e attendere l’esito della domanda, scaricando il peso dei flussi sui paesi esposti alle rotte del Mediterraneo, come Italia, Grecia e Malta. Una proposta del Parlamento Europeo, votata nel dicembre 2017 e mai discussa dai governi, vuole modificare questo aspetto: chi arriva in questi Stati arriva in Europa. Proposta condivisa anche dal neoeletto presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.

Ma non tutti accedono al campo Roja. «L’identificazione è un requisito fondamentale per l’accesso e questo scoraggia molti – continua Jacopo Colomba di We World –. Per esempio chi arriva dalla rotta balcanica, che in questo periodo sta riprendendo con forza, non vuole lasciare le proprie impronte in Italia perché non vuole farsi respingere dal Paese dove si sta dirigendo». Arrivare nel proprio Paese di destinazione e fare lì richiesta di asilo come se si fosse piovuto dal cielo. “È una delle profonde contraddizioni dell’attuale legge che regola la vita dei rifugiati in Europa, ma è anche l’unico pertugio in cui infilarsi”, scriveva il giornalista e scrittore Alessandro Leogrande in La frontiera (Feltrinelli, 2015). Dalla rotta balcanica – il tragitto intrapreso principalmente da profughi siriani, afghani e iracheni in fuga da guerra e persecuzioni, che attraverso i Balcani si dirigono nei paesi del Nord Europa – stanno arrivando a Ventimiglia anche eritrei e sudanesi, in alternativa alla Libia.

Altri trovano rifugio tra la vegetazione lungo il fiume Roja. Qui, all’altezza del quartiere Roverino, fino alla scorsa estate hanno vissuto centinaia di persone in accampamenti di fortuna, sgomberati a più riprese. Adesso tutta la zona è transennata, presidiata da camionette delle forze dell’ordine. Poco distante, la chiesa di Sant’Antonio in cui don Rito Alvarez, tra il 2016 e il 2018, ha accolto 13mila persone, tra le proteste dei residenti e il sostegno di volontari e associazioni. Anche qui, tutto finito.

Negli stessi anni, a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, 12mila persone in cammino verso la rotta balcanica vengono bloccate dalla chiusura della frontiere, creando il più grande campo profughi sul territorio greco. Dall’altra parte dell’Europa, a Calais, al confine tra Francia e Regno Unito, per la stessa ragione viene impedito l’attraversamento della Manica a 10mila persone che riparano in un grande accampamento nei boschi intorno alla cittadina di confine, dando luogo alla cosiddetta giungla, diventata una delle immagini emblematiche della politica europea sulle migrazioni.

Ventimiglia è un microcosmo che riflette la pluralità delle posizioni nazionali ed europee rispetto all’arrivo di persone dal Sud del mondo. Una minoranza solidarizza e una maggioranza confluisce nella elezione del 26 maggio di un’Amministrazione a trazione Lega, per la terza volta con una pausa Pd degli ultimi cinque anni. «Anche noi veniamo presi a male parole nel nostro operare – commenta Simone Alterisio di Diaconia Valdese –. Gran parte della popolazione di Ventimiglia non vede di buon occhio la presenza migrante, senza poi capirne bene le dinamiche perché le persone presenti qui non vogliono restarci, sono costrette a rimanerci a causa dell’accordo di Dublino e della chiusura della frontiera».

Mariangela Di Marco, insegnante