libertà-di-religioneNon so per altri, ma per molti della mia età il primo contatto con i significati della libertà è avvenuto attraverso una moneta: quella che nel 1944 usavano i soldati americani sbarcati per liberare l’Italia. Si chiamavano “am-lire”, acronimo per allied military currency; e su ogni biglietto si poteva leggere l’enunciazione delle “quattro libertà” in nome delle quali combattevano. Era sbalorditivo per quelli della mia generazione, allattati alla scuola fascista del “libro e moschetto” e del “credere, obbedire, combattere”, trovare su ogni banconota un annuncio così impegnativo: “libertà di parola, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura”. Era, ma nessuno allora lo sapeva, il nucleo della “visione” del presidente Roosevelt poi ripreso nella “Carta Atlantica” del 1941; e su di esso si sarebbe poi modellata l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Le am-lire (da http://images.delcampe.com/img_large/auction/000/167/812/328_001.jpg)
Le am-lire (da http://images.delcampe.com/img_large/auction/000/167/812/328_001.jpg)

C’era però la percezione di vivere qualcosa di inedito: un cambio dei punti d’orientamento, uno spartiacque tra il prima che si era consumato e il poi che si intuiva affascinante mentre i nazifascisti venivano debellati. Pareva incredibile che si potessero proclamare la libertà di parola e di espressione là dove il canone era stato quello del “Mussolini ha sempre ragione”. E veniva spontaneo di correre ai primi comizi per comprendere il significato di quell’espressione: perché erano tante le voci che esprimevano opinioni e proposte e chiedevano a te – improvvisamente passato dalla condizione di suddito a quella di… sovrano – di scegliere, anzi di decidere, ciò che preferivi. Stavi scoprendo una terra sconosciuta che si chiamava democrazia.

Di meno agevole comprensione risultava invece la seconda libertà, quella di religione. Nei nostri Paesi il tema pareva astratto. La consistenza “cattolica” della struttura sociale non conosceva crepe. Destava curiosità il modo con cui i cappellani americani si rivolgevano ai soldati dopo il sermone rituale: “Ed ora ognuno preghi il suo Dio”. E quando poi sopraggiunsero i reparti dei marocchini rimanemmo sbigottiti nel vederli, al tramonto, prostrati in adorazione col viso rivolto alla Mecca. Così, empiricamente, il contatto con altre fedi religiose ed altre forme di culto fu la rivelazione di un’umanità più vasta e plurale di quanto alla nostra “autarchia” era stato dato di immaginare.

Tra progressi e ritardi

Ma proprio sul tema della libertà religiosa il cammino si è rivelato più difficile dopo di allora. E non per un ostacolo imposto dalla politica, ma proprio per una resistenza insita nel modo tradizionale di intendere la religione. La politica, anzi, fece rapidamente le sue scelte. Già dal 1946 l’Assemblea Costituente pose mano all’enucleazione di due principi fondamentali: quello del rifiuto di ogni discriminazione delle persone in ragione delle loro differenze, incluse quelle religiose (art. 3), e quello della libertà di “tutte le confessioni religiose” (art. 8). Il tutto compendiato nell’art. 19 per cui “tutti (e dunque non solo i cittadini – ndr) hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Luigi Gedda (da http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/gedda.jpg)
Luigi Gedda (da http://cronologia.leonardo.it)

Gli svolgimenti di tali affermazioni non sono però stati tutti lineari. Il confronto politico ha assunto, nel dopoguerra, un marcato carattere ideologico; e questo l’ha indotto in più occasioni a trattare una diversità di orientamento culturale come una sorta di… eresia. La stessa presenza al governo di un forte partito di ispirazione cristiana, che pure ha concorso a garantire l’impianto della democrazia in Italia, si è dovuta spesso misurare con le spinte integraliste. C’è una distanza tra coloro che, come Luigi Gedda, vedevano una “novella Lepanto”, cioè una vittoria sugli… infedeli, nel successo democristiano del 18 aprile 1948 e coloro che, come De Gasperi e poi Moro, tenevano comunque ferma la barra delle collaborazioni democratiche, prima con i partiti laici e poi con le forze del socialismo.

Un’immagine del Concilio Vaticano II (da http://www.vivailconcilio.it/wp-content/uploads/2016/01/concilio-vaticano-ii.jpg)
Un’immagine del Concilio Vaticano II (da http://www.vivailconcilio.it/wp-content/uploads/2016/01/concilio-vaticano-ii.jpg)

Intese fatte e da fare

Lo sblocco delle vischiosità culturali s’è avuto soltanto quando, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica è pervenuta alla “dichiarazione sulla libertà religiosa” – la Dignitatis humanae – e con essa al riconoscimento del carattere libero e non coercibile della coscienza personale anche per le opzioni di fede. Non era stato così nei secoli.

Il testo è limpido: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata”.

I principi costituzionali e le acquisizioni del Concilio hanno aperto la strada ad una significativa modifica del rapporto tra Stato e Chiesa Cattolica in Italia, il cui segno più rilevante è la revisione del Concordato nel 1984. Anche se molti ne avrebbero preferito il superamento, non si possono negare i progressi compiuti, con riguardo al versante cattolico, nel segno dell’affermazione della laicità dello stato e dell’autonoma responsabilità della politica. Ma non altrettanto si può dire a proposito delle altre presenze religiose. Il cammino delle “intese” con le confessioni rappresentate in Italia è stato indubbiamente facilitato dalla possibilità di accedere alla ripartizione dell’otto per mille. Fino ad oggi, tuttavia, è mancata la possibilità di stipulare un’intesa con l’area dell’Islam, che pure vanta la diffusione più estesa e crescente nella realtà italiana.

Da http://www.yallaitalia.it/wp-content/uploads/2012/01/moschea-05-260x193.jpg
Da http://www.yallaitalia.it/wp-content/uploads/2012/01/moschea-05-260×193.jpg

Il valore dei principi

Ciò è dipeso certamente dal fatto che le comunità islamiche per loro stessa natura non sono dotate di istituti formalizzati di rappresentanza, ma non può essere ignorato che sono falliti i tentativi di realizzare in Italia una “legge quadro” sulla libertà religiosa, nella quale inscrivere diritti e doveri di ciascuna realtà. E va pure rilevato che nelle audizioni parlamentari in vista dell’elaborazione di tale legge non mancarono posizioni che, nella sostanza, sembravano sollecitare un trattamento particolare per la religione maggioritaria, quasi a riproporre, pur negandolo, la differenza tra il cattolicesimo inteso come “religione di Stato” e gli altri “culti ammessi”; differenza transitata dallo Statuto Carlo Alberto (1848) al Concordato di Mussolini (1929).

Gli effetti di tale lacuna si colgono con evidenza nel momento in cui una “questione islamica” viene sommariamente rappresentata sotto le specie della minaccia terroristica e la si utilizza a sostegno di misure di contenimento che vanno dal blocco delle frontiere alla negazione della costruzione di luoghi di culto. Sono suggestioni ed impulsi in netto contrasto con i principi fondamentali della Costituzione. Quei principi, insegnava Luigi Sturzo, che sono importanti soprattutto perché ad essi ci si può appellare nel momento in cui qualcuno li sta violando o ne contesta la validità.

Ecco, a me sembra che sia giunto il momento di rifarsi ai principi e alle ragioni di quanti, nella Resistenza, si batterono per affermarli. Ed anzi, se è consentito, di dare al concetto della libertà religiosa una valenza estensiva: non solo libertà di ma anche libertà da. Vale a dire libertà dall’integralismo, cioè dalla pretesa di avere “Dio con noi”, e libertà dal fanatismo che bestemmia il nome di Dio usandolo a copertura di crimini contro l’umanità. È il vero tema del tempo presente.

 Domenico Rosati, già Presidente delle Acli e Senatore della Democrazia Cristiana