Giuseppe Conte Pedro Sanchez Angela Merkel Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen
Consiglio europeo straordinario: il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte con Pedro Sanchez, Angela Merkel,Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen

Bruxelles – Ci sono fotografie che restano nell’immaginario collettivo a segnare un’epoca. Nel microcosmo europeista, una di questa ritrae il Presidente francese Sarkozy accanto alla Cancelliera tedesca Merkel. Una domanda di un giornalista sul Presidente del Consiglio italiano, due sorrisini d’intesa che dicono molto più di tante parole.

Un’immagine che illustra tutto l’isolamento dell’Italia in quel periodo storico, la derisione verso un governo – e di riflesso verso un popolo – che ha scelto il faso tuto mi come linea politica, si è isolato e sprofonda in quella melma appiccicosa che fu brodo di cultura per le disgrazie politiche degli anni successivi.

Un ritratto che possiamo ora archiviare definitivamente, perché il maggiore, il migliore successo della strategia del Governo Conte durante gli estenuanti negoziati che hanno portato all’accordo di stamane al Consiglio Europeo è proprio quello di aver saputo, voluto ed essere riuscito a lavorare “per” l’Europa (e per l’Italia) lavorando “con” l’Europa.

Solo i giorni prossimi ci diranno come l’Italia sarà capace di mettere a frutto i risultati raggiunti preparando e presentando un Piano Paese che non disperda gli sforzi fatti e approfitti compiutamente dei finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea, ma – al di là dei numeri, delle virgole dopo il miliardo – la vera vittoria di Giuseppe Conte sta nel metodo. Negoziatore scaltro, abituato agli arbitrati e quindi alle lunghe discussioni in cui si concede poco per ottenere molto, il Presidente del Consiglio ha scelto di non venire a Bruxelles con la mano tesa, ad elemosinare qualche spicciolo, ma di portare al tavolo del Consiglio una coalizione in cui ogni protagonista (Germania, Francia, Spagna e Portogallo in prima fila) aveva una partitura cucita su misura, in cui ogni mossa era presentata nell’interesse dell’Europa. Scontrandosi con un gruppetto di governi più spaventati dall’opposizione interna che dai temi in discussioni.

Il leader olandese Mark Rutte (foro Imagoeconomica)
Il leader olandese Mark Rutte (foto Imagoeconomica)

È stato il Consiglio dei “noi” contro gli “io”. E – senza retorica – hanno vinto i “noi”.

Dopo la proposta franco-tedesca che aveva messo l’asticella molto alta e dopo la prima levata di scudi dei “Frugali”, il Presidente del Consiglio Charles Michel, cresciuto nella politica belga che è per definizione il massimo esercizio dell’arte del compromesso, aveva presentato una nuova proposta da discutere ieri a cena. Tre giorni di negoziati duri, in cui tutti i sotterfugi abituali erano stati usati – da una parte e dall’altra – per indebolire la posizione della controparte, ed una scadenza inderogabile. Si deve chiudere prima del 21 luglio. Perché se non si esce con qualcosa l’Europa rischia d’essere spacciata e perché il 21 luglio è la Festa nazionale belga.

Le istituzioni ed i supermercati sono chiusi, la scorta di mascherine con i simpatici simboli nazionali che ogni leader ha sfoggiato nelle varie riunioni (per non parlare di quella delle camice e cravatte) stava esaurendosi, assieme alla pazienza degli europei.

E così dopo la torta al limone che ha concluso il desinare si è deciso di convocare l’ennesima pausa per “un numero limitato di aggiustamenti tecnici”. Michel ha finalmente annunciato l’accordo alle 5:31 del mattino con un laconico Tweet (Deal!), svelando poco dopo una serie di compressi che hanno permesso a ognuno di rientrare a casa proclamando vittoria. Anche se c’è qualcuno che ha vinto più di altri.

Torniamo a Conte. Oltre agli alleati di cui sopra, l’Avvocato tira fuori l’asso dalla manica e scavando sotto i piedi degli amici degli amici aggiunge nientepopodimeno che Viktor Orban al team contro i Frugali. L’Ungheria ha ottenuto tutto ciò che voleva, qualche soldino e soprattutto un vago comma sull’applicazione delle regole dello Stato di diritto “per proteggere il bilancio e l’UE”, possibili sanzioni da adottare a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, ma se ne riparla un’altra volta. Da “se non fai il bravo non vedi un soldo” a “ne riparliamo”. E uno in più (con il bonus Polonia, esattamente nella stessa posizione) che lascia la barca dei “Sovranisti Opportunisti” per raggiungere il campo degli Europeisti.

Geert Wilders: “Non un centesimo all’Italia!”
Geert Wilders: “Non un centesimo all’Italia!” (da https://www.corriere.it/politica/20_luglio_11 /wilders-sovranista-olandese-amico-salvini- che-non-vuole-dare-euro-all-italia-8930a382 -c33e-11ea-bb88-8e386c514e2d_preview.shtml?reason=unauthenticated&cat=1&cid =PNAAfCUu&pids=FR&credits=1& amp;origin=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it %2Fpolitica%2F20_luglio_11%2Fwilders- sovranista-olandese-amico-salvini- che-non-vuole-dare-euro-all-italia- 8930a382-c33e-11ea-bb88- 8e386c514e2d.shtml)

Roba da far ingelosire i populisti nostrani, ma anche quelli più a nord. La proposta di Michel include infatti anche una serie di regalini per premier olandese Mark Rutte. I Paesi Bassi, ad esempio, potranno evitare di versare a Bruxelles una parte importante dei proventi doganali incassati dal più grande porto d’Europa, Rotterdam. Permettendo al “Frugale a vento” di mettere a cuccia – almeno sino alla prossima volta – il buon Wilders (leader dei sovranisti olandesi, ndr) che gli alitava sul collo da un po’. “All’Italia 82 miliardi di regali con i nostri soldi”, scrive su Twitter il sovranista, ma sa che sta parlando a pochi. Abituati a far di conto come tutti i popoli di navigatori e commercianti, i Batavi hanno un lato pratico assai sviluppato. E più di quanto prenderà l’Italia, stanno ragionando su cosa potranno fare con quello che risparmieranno loro. Conte-Rutte 1/Wilders 0.

Non pare vero, ma in un colpo solo il Professore pugliese dà una mano al nemico giurato contro l’avversario comune (la destra populista) e gli fa accettare ben 390 miliardi di finanziamenti (rammento ai più distratti che la proposta olandese era… zero!).

Ricordate i “problemi dell’Europa” di qualche tempo fa? Si chiamavano Italia, Portogallo, Grecia e Spagna. Ora cercate le foto ed i comunicati stampa dei governi di Berlino e Parigi delle ultime settimane. Con chi hanno passato più tempo in riunione Angela Merkel ed Emmanuel Macron? Già, proprio con gli stessi che – improvvisamente – sono diventati attori della soluzione europea.

Il miracolo di questo lungo Consiglio sta tutto qui. Si è riscoperta la politica. La politica delle intese, quella del lavoro comune, della ricerca di soluzioni che vadano oltre l’oggi ed il “me”. In cui alla fine ognuno porta a casa qualcosa, come quei finanziamenti per lo sviluppo regionale che vedono, rispetto al piano originale, un supplemento di un miliardo e mezzo di euro per la Repubblica Ceca, 650 milioni per la Germania, poco meno per la Polonia e addirittura un centinaio di milioni di euro in più per le desolate lande della Finlandia settentrionale.

Restano due problemi irrisolti. Il primo concerne i grandi gruppi politici europei, che non sono riusciti a trovare una posizione comune, presentandosi con punti di vista nazionali e non d’insieme. I Socialisti divisi tra Nord e Sud, i Cristianodemocratici tra Est ed Ovest, i Liberali in ordine sparso. Perfino i Verdi, vera sorpresa delle ultime elezioni europee e di molte tornate nazionali – forza di governo in numerosi stati Frugali – non sono riusciti a contare, influenzando poco o nulla l’attitudine ombelicocentrica dello stato d’appartenenza.

Dopo i fasti del risultato comunque raggiunto, dovremo avere il coraggio d’interrogarci sull’internazionalismo. A cosa serve un “partito europeo” se non è capace di far convergere i suoi membri su un atteggiamento ed un parere condiviso?

Il secondo problema riguarda la scelta dei capitoli da tagliare. Pur nella logica di un negoziato, che per definizione presenta una proposta iniziale delle parti (+/- 500 miliardi per i “Buoni”, +/- 0 per i “Cattivi”) ed una serie di concessioni reciproche per giungere a qualcosa d’accettabile per entrambe, duole che la scure sia caduta sui soliti sospetti.

Il simbolo del Partito socialista europeo
Il simbolo del Partito socialista europeo

Il programma originale, ad esempio, prevedeva d’aumentare il bilancio del programma Horizon Europe, quello che finanzia la Ricerca, i Ricercatori, quello che permette non solo ai nostri (neo)laureati di lavorare su progetti di scambio, ma che da un lato rafforza la posizione europea contro Asia e USA e dall’altro permette anche alle piccole e medie impresa d’investire nello sviluppo industriale, di 13, 5 miliardi. Una boccata d’ossigeno per il mondo accademico ed imprenditoriale, un’iniezione di fiducia nel futuro dell’Europa. Le conclusioni del Consiglio di stamane identificano un aumento del bilancio di soli 5 miliardi. Come se nulla ci avesse insegnato la recente pandemia, in cui abbiamo cercato materiali alternativi, abbiamo adattato maschere subacquee ai respiratori polmonari, abbiamo invocato la ricerca scientifica come nume tutelare delle decisioni dei governi. Tutto dimenticato. I camici bianchi tornino nei loro laboratori e facciano poco rumore.

Quasi 8 miliardi d’integrazione alle spese già previste avrebbero dovuto essere destinati alla salute. Scelta abbastanza comprensibile visti i recenti trascorsi. Ne sono rimasti meno di 2 e la chiave d’interpretazione si trova forse nel preambolo delle Conclusioni, in una frase che pare gettata lì a caso ma che si spiega 60 pagine più tardi: “Stiamo lentamente uscendo dalla crisi sanitaria acuta. Ora dobbiamo mitigare i danni socio-economici” Come se i danni non fossero direttamente legati all’impreparazione dei sistemi di tutela della salute. Abbiamo applaudito medici ed infermieri per 4 mesi. Ora anche loro possono tornare a lamentarsi in silenzio.

Per affrontare le conseguenze sociali ed economiche legate all’idea di raggiungere la “neutralità climatica” dell’UE entro il 2050, ovvero per quell’Europa Verde e Sostenibile che molti auspicano, il progetto Franco-Tedesco e la prima bozza della proposta in discussione al Consiglio avevano prospettato un aumento delle risorse disponibili di ben 30 miliardi. Per la decarbonizzazione, la riduzione dell’inquinamento. Ne sono rimasti 10. In effetti che il virus abbia colpito le zone più inquinate del pianeta non sembra essere stato dimostrato…

Tre macroscopici esempi di scelte opinabili.

Consoliamoci con l’idea che il Piano originale non avesse previsto particolari stanziamenti per la Cultura, al di là degli aspetti scientifici. Perché non oso pensare quanti miliardi avrebbero potuto amputare al capitolo relativo.

O forse no, non consoliamoci proprio, ma non disperiamo neppure. Stamane alle 5.31 l’Unione Europea, con tutti i suoi difetti accanto ai pregi, ha dimostrato d’esistere. E accanto, o meglio profondamente dentro essa, il nostro Paese ha assunto nuovamente (infine!) un ruolo di motore e coordinamento, di sintesi e proposta. Se il buongiorno si vede dal mattino…

Filippo Giuffrida Repaci, membro dell’Esecutivo della Federazione Internazionale Resistenti