“Il fascismo non è una opinione, è un crimine.” – Giacomo Matteotti
Sembravano gesti di devozione, ma erano atti di sudditanza. Non c’era scelta. Non c’era dibattito. Solo l’obbligo di allinearsi. Tra il 1922 e il 1925, mentre il fascismo consolidava il proprio potere, l’Italia scivolava silenziosamente sotto una coltre di consenso forzato. Le voci critiche venivano zittite, le libertà civili dissolte sotto il peso del manganello e della propaganda. In quel clima, centinaia di Comuni – da nord a sud – esortati dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, si affrettarono a concedere a Benito Mussolini la cittadinanza onoraria. Non per convinzione, non per gratitudine, ma perché non potevano permettersi di non farlo.

Era una liturgia del consenso, e chi non si inginocchiava rischiava la vita o la reputazione. Anche ad Anzio e Nettuno, accadde lo stesso. Nessuna motivazione legata al territorio, nessun legame con i due Comuni. La cittadinanza onoraria a Mussolini fu un atto meccanico, imposto, un’adesione obbligata al culto del regime. Un gesto senza anima, ma carico di significato politico: inginocchiarsi all’ideologia fascista, renderla parte delle istituzioni locali, imprimere il simbolo del potere totalitario negli atti ufficiali.

Adesso, nell’80° della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, dunque dopo decenni di silenzi e omissioni, quelle due città simbolo dello sbarco alleato e della Resistenza, hanno scelto di voltare pagina. Hanno scelto la Storia, non la sua cancellazione, ma il coraggio di nominarla per quello che fu: dittatura. E di rompere simbolicamente con ciò che non può più essere celebrato. Anzio e Nettuno hanno revocato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Un gesto politico, morale, istituzionale, che ha riportato giustizia nei luoghi dove la Storia era stata a lungo insabbiata.

È una revoca che non nasce all’improvviso, ma arriva al termine di un percorso civile, portato avanti con tenacia dall’Anpi Anzio-Nettuno “Vittorio Mallozzi e Mario Abruzzese” sin dal 2018. Fu in quell’anno, mentre si commemoravano gli 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali, che l’associazione scoprì l’anacronistica sopravvivenza dell’onorificenza al dittatore fascista. Da allora, le richieste formali di revoca si sono accompagnate a proposte positive: la cittadinanza onoraria ad Adele Di Consiglio, a Giorgio Senise e Celeste Terracina, testimoni delle persecuzioni razziali, in nome di una memoria attiva e fondata sui valori della Costituzione. Eppure da parte delle amministrazioni, poi sciolte per mafia, ci fu solo mutismo o rifiuto.

Fino a oggi. Perché ad Anzio, il 27 maggio 2025, il Consiglio comunale ha votato per la revoca: 16 voti favorevoli e 5 contrari. Il sindaco Aurelio Lo Fazio ha definito l’atto “doveroso”, ricordando che la cittadinanza era stata conferita nel 1924 da un commissario prefettizio, senza confronto democratico, in un contesto in cui il dissenso era pericoloso. Ha citato le vittime locali del nazifascismo, ed espresso l’intenzione di rinnovare l’invito a Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah, che anni fa aveva rifiutato il Premio per la Pace di Anzio per quell’onta ancora in vigore. “Oggi possiamo accoglierla con dignità”, ha detto il sindaco.
Il presidente del Consiglio comunale, Gabriele Federici, ha ricordato con forza i crimini del regime: le violenze delle squadracce, gli omicidi politici, da don Minzoni a Matteotti, da Gobetti ai fratelli Rosselli, fino alla repressione dei padri dell’Europa unita come Spinelli, Rossi, Colorni, e alla detenzione di Sandro Pertini a Ventotene. Ha sottolineato che la revoca è prima di tutto un gesto di rispetto verso la storia e le vittime locali: come Mimma Pollastrini, Claudio Paolini e Raffaele Palomba, e Adele Di Consiglio, discriminata dalle leggi razziali del 1938.
Ma non tutti hanno condiviso questa scelta. Tra i contrari, il consigliere comunale Rodolfo Turano ha parlato di “strumentalizzazione ideologica”, ironizzando sul valore della revoca come se fosse un gesto tardivo e inutile, rivolto a un “morto che non può difendersi”. Ha evocato le parole di Luciano Violante sulla necessità di “capire” le scelte dei giovani della Rsi e ha sostenuto che chi oggi si batte per l’antifascismo “non ha nemmeno fatto il servizio militare”. Parole gravi, in linea con la sua recente partecipazione all’evento revisionista di Nettuno “Mai più antifascismi”, in cui lo slogan stesso rappresentava una provocazione esplicita e una negazione dei valori costituzionali. Turano non ha semplicemente espresso dissenso: ha rigettato in toto la simbologia antifascista come fondamento dell’azione pubblica. Eppure è proprio in questo contrasto che si rivela il senso più profondo della revoca: non come vendetta contro il passato, ma come scelta per il futuro.

Anche a Nettuno, pochi giorni fa, il 21 maggio, il Consiglio comunale ha votato all’unanimità dei presenti (14, in 10 erano assenti) per cancellare l’onorificenza al duce. Il sindaco Nicola Burrini ha chiarito: “Non servono lezioni di storia, ma coerenza. L’antifascismo non può dividere”. Un gesto in linea con la Medaglia d’Oro al Valor Civile assegnata alla città per la Resistenza.

Eppure, anche qui, le polemiche non sono mancate. Fratelli d’Italia ha attaccato la maggioranza definendola “ipocrita e confusa”, accusandola di essersi sottratta al dibattito e di non avere una linea politica coerente. Il consigliere Paolo Gatti in Aula ha citato Giorgio Almirante, evocando il motto del Msi “non rinnegare, non restaurare”: una frase che, nel contesto di una discussione sulla cittadinanza a Mussolini, suona come un insulto alla memoria.
Perché Almirante non fu solo un politico del dopoguerra: fu il capo di gabinetto della collaborazionista Repubblica di Salò, firmatario del manifesto che minacciava la fucilazione alla schiena per tutti quei giovani soldati italiani, “sbandati”, che avevano rifiutato di arruolarsi con le milizie fasciste e ai partigiani che non si fossero consegnati ai comandi nazisti e repubblichini. Anche la consigliera Alessandra D’Angeli di Fratelli d’Italia, presente insieme al consigliere Turano al convegno “Mai più antifascismi” – evento promosso nemmeno una settimana prima dell’appuntamento consiliare e che, con il suo slogan provocatorio, ha voluto stravolgere il significato stesso dell’antifascismo – si è schierata contro la revoca della cittadinanza onoraria. In aula ha difeso quella concessione, sostenendo che fosse frutto di un “consenso popolare”, una tesi che ha suscitato nette reazioni di dissenso e incredulità tra i presenti, evidenziando quanto certe posizioni siano ancora lontane dal riconoscere la gravità storica e morale di quel gesto.

La mozione a Nettuno è passata anche grazie al sostegno dei consiglieri di Patto per Nettuno promotori della revoca – Antonio Taurelli, Carlo Conte e Gianfranco Rabini – che hanno portato avanti la proposta condividendo il percorso dell’Anpi. In una nota, il gruppo ha denunciato l’assenza “rumorosa” di parte della maggioranza, accusando la lista civica del sindaco Burrini di disertare l’aula per non affrontare un tema ritenuto “divisivo”, e sollecitando il Partito Democratico locale e regionale a fare chiarezza sulle proprie alleanze.

Né ad Anzio né a Nettuno, durante le sedute consiliari che hanno revocato la cittadinanza onoraria a Mussolini, si è presentato un solo contestatore. Nessun nostalgico del Ventennio, nessun fiero oppositore della revoca, nessuno a difendere in carne e ossa quel “duce” tanto rimpianto sui social. In aula: silenzio. Eppure, online, la reazione è esplosa. Centinaia di commenti indignati, accuse di “revisionismo al contrario”, invocazioni alla “verità storica”. Insomma, un esercito… da tastiera. Ma forse, in fondo, anche questo fa parte della liturgia: l’antifascismo, oggi, divide soprattutto quando non si ha il coraggio di dichiararsi contro.
Linda Di Benedetto
Pubblicato giovedì 29 Maggio 2025
Stampato il 31/05/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/bye-bye-mussolini-anzio-e-nettuno-revocano-la-cittadinanza-onoraria/