È importante conoscere la storia di Clemént Méric, perché dice qualcosa di profondo sulle nostre società: a partire dalla violenza fascista agita alla luce del sole, fino ad arrivare alla crescita di consensi delle ultradestre e alle derive autoritarie che affliggono le nostre fragili democrazie. La memoria di un giovane, intanto, è vita, in cammino, sulle gambe e nelle lotte di migliaia di antifasciste e antifascisti in Europa.
Dieci anni sono passati dal 5 giugno 2013. Quel giorno Clemént Méric, ragazzo classe ’94, studente di Scienze Politiche attivo nei sindacati studenteschi, bassista e militante antifascista, è stato ucciso a Parigi, in pieno centro, da un gruppo di neonazisti.
Nessuno ha dimenticato in due lustri di memoria e pratica antifascista. Migliaia di persone riempiono il breve tratto di strada dove Clemént Méric ha incontrato la morte. È il 5 giugno 2023 e da quel giorno sono passati esattamente dieci anni. L’appuntamento, per chi vuole partecipare alla commemorazione, è all’ora e nel luogo dell’aggressione. Rue de Caumartin, ore 18. Fiori e candele vengono lasciati sui marciapiedi, la musica spezza l’aria, che si fa pesante quando a parlare sono le compagne e i compagni di Solidaires Etudiant-e-s, il sindacato in cui Clemént aveva scelto di operare.
La commemorazione è l’evento conclusivo di una lunga tre giorni che ha raccolto attivisti e organizzazioni antifa da tutta Europa. Un percorso di assemblee, coordinamento e condivisione di pratiche di lotta, e poi un corteo, concerti e la commemorazione. Per i dieci anni è stato pubblicato anche un libro, prodotto dal Comitato per Clément e distribuito da Libertalia, piccola libreria indipendente nel quartiere di Montreuil: Clément Méric, une vie, des luttes che raccoglie gli atti giudiziari, le voci delle compagne e dei compagni, della famiglia, le foto e i ricordi di chi ha conosciuto Clément.
Nella piazza, sempre più piena, si stringono in una cerimonia laica e collettiva i pugni chiusi di migliaia di persone. Molti sono di Parigi, tanti altri sono arrivati da diverse città per rinnovare la promessa di memoria e di pratica antifascista. Lì, su quel marciapiede dove Clément ha incontrato la violenza neonazista. Tante ragazze e ragazzi sono italiani: scandiamo insieme le parole delle canzoni della Banda Bassotti, che lui ascoltava e suonava e che riempiono i silenzi dalle casse audio del furgone.
Clemént Méric era arrivato a Parigi da Brest, città portuale nel nord della Francia, in Bretagna, bagnata dall’Atlantico. Negli anni del liceo si era appassionato alla politica, riconoscendosi nelle parole e nelle idee della tradizione comunista libertaria, antifascista. Per questo era stato naturale organizzarsi, attivarsi, una volta arrivato a Parigi per studiare. Era entrato a far parte del sindacato Solidaires Etudiant-e-s, con cui svolgeva attività politica all’università e presto si era unito all’AFA, l’Action Antifasciste Paris-Banlieue.
Al loro fianco praticava antifascismo militante nei quartieri popolari, l’autodifesa delle banlieue per non lasciare le strade alle organizzazioni neofasciste e alle forze di polizia. Un impegno costante, per chiedere giustizia per i tanti ragazzi vittime di abusi in divisa, della violenza e delle discriminazioni messe in atto dalle forze dell’ordine: un impegno quanto mai attuale in questi giorni in cui, dopo l’assassinio di Nahel Marzouk da parte di un agente di polizia, le rivolte hanno infiammato le città francesi mettendo nel mirino lo Stato e i suoi tutori, rappresentanti responsabili del razzismo sistemico e della tradizione coloniale del potere europeo (nella notte tra sabato e domenica scorsa a Marsiglia c’è stata un’altra vittima per probabile “shock violento a livello del torace” causato da un proiettile di “tipo flashball” usato dalla polizia).
Fu proprio la sua determinazione di militante antifascista, a ogni modo, a rendere Clemént Méric un bersaglio riconoscibile agli occhi degli aggressori.
In pieno centro a Parigi, a pochi minuti a piedi da Place de la Concorde, il 5 giugno 2013 Clemént è con due compagni e amici, ha staccato da lavoro e si sta dirigendo a una svendita di vestiti. Marche casual, Fred Perry e Ben Sherman, brand che uniscono nel loro immaginario mondi differenti e opposti. È lì che incontrano tre skinhead neonazisti: hanno tatuaggi inequivocabili che mostrano, senza nasconderli, e sulle magliette il motto della gioventù hitleriana. I giovani antifascisti non abbassano lo sguardo, anzi. C’è una piccola schermaglia, i compagni non accettano la presenza di quei tre personaggi alla vendita e discutono con chi sta gestendo la sicurezza dell’evento, chiedendo che vengano allontanati. Per questo, nel frattempo, escono e si siedono sulle scalette di una chiesa che si trova sulla via. Il clima è disteso e nessuno si aspetta un’aggressione, lì in centro e alla luce del sole, in una via piena di telecamere di sorveglianza. Dalle finestre del palazzo dove si sta svolgendo questa vendita privata, però, i neonazi intanto li osservano e chiamano rinforzi. Hanno con loro anche dei tirapugni e in breve tempo la zona si riempie di altri militi. Sono tutti legati all’organizzazione Troisième Voie, Terza via.
I tabulati telefonici, portati a processo negli anni successivi, hanno dimostrato che tra le varie chiamate, le ultime effettuate dall’interno della vendita, prima di uscire dal palazzo, furono nei confronti di Serge Ayoub, il leader di Troisième Voie e noto naziskin attivo a Parigi fin dagli anni 80.
Hanno alcuni scambi rapidi, qualche parola tra Ayoub e i militanti presenti sul posto. Tra quelli con cui parla al telefono, l’ultimo è Estebàn Morillo, ventenne militante dell’organizzazione, alla ricerca di un salto di qualità nelle gerarchie. Un minuto dopo la telefonata, i nazi sono in strada. Come fosse stato dato un via libera all’azione.
I responsabili della sicurezza dell’evento indicano al gruppo una stazione della metro sulla sinistra, da cui potrebbero allontanarsi senza incontrare Clément e gli altri, che si trovano più avanti sulla destra, ed è proprio lì che, invece, si dirigono gli skinheads. Hanno obiettivi e compiti ben divisi, e si separano tra la folla. Katia Veloso, militante anche lei di Troisième Voie, raccoglie le borse e si dirige dall’altra parte della strada, alcuni vanno avanti e altri seguono a distanza l’azione.
I nazi in prima fila sono i più giovani, le modalità sembrano quelle di un agguato con finalità di iniziazione all’ala più violenta dell’organizzazione. Attraversano la strada e si lanciano sui tre studenti, che comprendono ciò che sta accadendo solo quando ormai gli aggressori sono a pochi passi. Non erano pronti allo scontro e provano a reagire come possono. Una violenza fulminea ed efferata. Gli skinhead si dileguano tra la folla e si ritrovano poche ore dopo nel loro bar di riferimento, gestito proprio da Serge Ayoub.
I colpi al volto di Clemént, portati da Estebàn Morillo con un tirapugni, sono stati almeno quattro. Il ragazzo ha perso i sensi ed è caduto a terra: non c’è nulla da fare. La sua morte viene dichiarata qualche ora dopo in ospedale. Sull’asfalto di Rue du Caumartin rimarranno per sempre i diciotto anni di Clemént Méric, assassinato dalla violenza fascista, perché militante antifascista.
Francia 2013: mariage pour tous e l’avanzamento dell’estrema destra
Erano mesi di mobilitazione e di fermento in Francia. La legge sul mariage pour tous, il diritto al matrimonio per tutte e tutti, anche per le coppie omosessuali, era passata nel maggio, portata in Parlamento dal governo a guida Hollande, mentre l’estrema destra riempiva le strade di Parigi.
Le organizzazioni neonaziste replicavano, nelle azioni, la violenza delle proprie parole e rivendicazioni. Uno scontro frontale e continuo per la difesa del sistema di potere patriarcale che l’estrema destra, tanto di matrice elettorale quanto extraparlamentare, aveva preso molto sul serio.
Vecchi fascisti di tradizione coloniale furono perfino disposti a farsi saltare il cervello per protesta. È il caso di Dominique Venner, che si sparò un colpo in testa nella navata centrale di Notre Dame, solo un paio di settimane prima dell’aggressione a Clemént Méric. Un anziano ex paracadutista, volontario in Algeria e punto di riferimento dell’estrema destra francese, compiva un atto simbolico – così lo aveva definito – nel luogo emblema della società cristiana e occidentale, che egli riteneva minacciata dal mariage pour tous, matrimonio per tutti. Non una grave perdita, certamente, e altri avrebbero anche potuto seguirlo. Tuttavia, rende bene il clima di scontro polarizzato e violento che l’estrema destra stava alimentando.
In proposito, è bene ricordare, per esempio, le parole con cui Marine Le Pen, che oggi gioca la partita per la Presidenza francese alla guida del Rassemblement National, commentava l’accaduto. “Tutto il nostro rispetto a Dominique Venner il cui ultimo gesto, eminentemente politico, sarà stato il tentare di risvegliare il popolo di Francia”, aveva dichiarato in un tweet.
Vari episodi di confronti, anche estremamente violenti, avevano caratterizzato le contestazioni di collettivi e gruppi femministi e queer alle manifestazioni dell’estrema destra, già dal finire del 2012.
Piccole organizzazioni fasciste avevano preso spazio e guadagnato agibilità politica nella società francese, cavalcando l’onda lunga delle contestazioni alla riforma relativa al matrimonio per tutte e tutti. Lo avevano fatto anche grazie alla copertura politica garantita dall’avanzata istituzionale dello storico partito rappresentante dell’estrema destra francese, il Front National, dal 2018 diventato poi Rassemblement National, sempre pronto a dissociarsi all’occorrenza dalle azioni violente, mentre ne sdoganava linguaggio e cultura politica. Un partito dal peso in forte crescita, arrivato proprio nel 2012 a capitalizzare l’emergere della nuova leadership di Marine Le Pen, con un risultato che aveva raggiunto il 13%, per poi quasi raddoppiare due anni dopo alle elezioni europee del 2014, affermandosi come primo partito e superando il 24% dei voti.
Tornava forte nel dibattito pubblico l’anima bianca e identitaria francese, capace di raccogliere consensi trasversali nella società, anche nella classe operaia. Arrivava tra i banchi del Parlamento, sotto nuova luce e gonfia di nuovi consensi, una classe dirigente che aveva raccolto e rinnovato la tradizione fascista francese, come quella dei combattenti delle guerre nelle colonie, con le radici profonde in organizzazioni come Ordre nouveau, restituendogli legittimità nel dibattito politico.
La vicenda di Serge Ayoub, che abbiamo nominato prima riguardo alle organizzazioni neofasciste riconosciute come politicamente responsabili dell’assassinio di Clemént Méric, rappresenta bene l’altra faccia della medaglia dell’avanzamento culturale e di consenso dell’estrema destra nelle istituzioni: skinhead neonazista molto attivo tra gli anni 80 e ’90, si guadagna il soprannome di Batskin per la sua abitudine a utilizzare la mazza da baseball negli agguati. Dopo un periodo di inattività, vari processi e qualche anno di vita all’estero, torna a Parigi dopo il 2005. Soffiando sul fuoco del razzismo, soprattutto nei confronti delle comunità musulmane, ricomincia a dare struttura al mondo dell’estremismo nero più violento: riemergono, così, soprattutto a partire dal 2010, l’organizzazione Troisieme Voie e la sua costola Jeunesses Nationalistes Révolutionnaires (JNR), da lui fondate e che saranno, poi, sciolte in seguito all’omicidio.
Questi gruppi, come altri altrettanto violenti, furono centrali nell’agire concretamente la violenza espressa dalle parole delle contestazioni al matrimonio per tutti.
È proprio se si osserva questo doppio binario di avanzamento del fascismo nelle società occidentali, che si può aprire una riflessione sul ruolo dell’antifascismo e degli antifascisti oggi, in Italia. La cultura dell’estrema destra sdogana, infatti, nella società linguaggio e violenza che le organizzazioni neofasciste concretizzano, permettendo la riscrittura delle compatibilità della democrazia occidentale e alimentando una cultura securitaria e autoritaria intorno al potere nello Stato. La spinta è verso una gestione del dibattito pubblico sempre sul filo dell’emergenza, che utilizza razzismo e suprematismo bianco e religioso (casi di islamofobia come quello di Feltri ne sono dimostrazione evidente) come scudo ideologico per le politiche repressive dei governi europei. I governi, così, reagiscono alle crisi, dalla guerra alla pandemia, mettendo in pratica una cultura dogmatica dello Stato e non della democrazia, riducendo giorno dopo giorno gli spazi di partecipazione alla vita politica dei Paesi.
Francia 2023, il movimento dei lavoratori e la torsione autoritaria di Macron: on est là!
La riforma del sistema pensionistico ha scoperchiato un vaso di pandora in grado di portare nelle piazze francesi milioni di persone nell’arco dell’ultimo anno. Manifestazioni di massa, diffuse nelle città, partecipate da lavoratori e lavoratrici di ogni categoria, che si sono più volte riversati a centinaia di migliaia per le strade di Parigi e del resto del Paese.
Un movimento forte, diffuso, radicato nei luoghi di lavoro, dalle grandi realtà industriali alle piccole aziende. Processo non scontato, in grado di concretizzarsi anche nell’azione e nella capacità dei sindacati di produrre conflitto sociale, di essere espressione di forze organizzate e realmente rappresentative degli interessi della classe lavoratrice, con obiettivi e rivendicazioni chiare e radicali. L’innalzamento dell’età di pensionamento non è che la punta di un iceberg, che ha messo in discussione il rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, che ha accolto nelle piazze la lotta senza compromessi per la giustizia sociale e climatica, con un punto di vista radicalmente anticapitalista, a partire dai lavoratori di industrie strategiche come quelle del settore petrolifero.
È stato un percorso di contestazione lungo, iniziato prima del covid, in stabilimenti come quello della Total di Grandpuits, tra i fiori all’occhiello della grande borghesia industriale francese, e che non si è mai fermato. Un punto di svolta è arrivato nel gennaio di quest’anno, quando è stata raggiunta l’unità sindacale e l’adesione alla lotta di tutti i sindacati riuniti: molte, da quel momento, sono state le giornate di lotta nelle piazze e nei luoghi di lavoro, con l’organizzazione di più scioperi generali, con un’adesione capace di paralizzare realmente la Francia.
Difficile da comprendere, se non come plastica dimostrazione di potere, la scelta di Emmanuel Macron e del governo di affrontare la questione senza curarsi della popolarità del movimento e della larghezza della partecipazione agli scioperi: un braccio di ferro che ha esasperato la dinamica democratica e alzato il livello dello scontro sociale. Se il punto è sempre e solo lo Stato e non più la democrazia, qualsiasi protesta non è che questione di ordine pubblico da contenere e reprimere.
Alla forza del movimento ha risposto, specularmente, lo Stato con forme altrettanto determinate di repressione: ne è esempio lo scioglimento, ordinato dal ministro dell’Interno Darmanin, della rete ambientalista Soulèvements de la Terre, che era stata una delle organizzazioni protagoniste delle rivendicazioni più radicali ed intransigenti riguardo le responsabilità dello Stato francese nell’inquinamento e nella produzione di energia da combustibili fossili. Nuove forme di repressione sono state sperimentate anche nei confronti degli attivisti internazionali, accorsi in Francia per prendere parte alle proteste: fogli di via e arresti temporanei e preventivi, non notificati fino al momento di un eventuale fermo di polizia. La repressione, però, non si è limitata ai movimenti autorganizzati. A finire nel mirino degli inquirenti, anche decine di sindacalisti della CGT accusati di aver organizzato svariati sabotaggi nel corso delle mobilitazioni.
È questo il contesto in cui si inseriscono le rivolte degli ultimi giorni. E lo allargano con prepotenza: la violenza della polizia non è solo quella della repressione dei movimenti. Anzi, ha un volto quotidiano per chi subisce razzializzazione e marginalità sociale, nel doppio standard su cui lo Stato in Europa continua a essere costruito. Nahel e tutti gli altri, abitanti del mondo di sotto, vittime collaterali di un sistema di potere che oggi i giovani, per le strade, hanno posto sotto attacco. La rabbia è spontanea, ma non è scomposta, né infantile. Ha obiettivi precisi nell’abbattimento di strumenti di oppressione, controllo e militarizzazione delle vite dei più poveri e nell’aprire una volta per tutte la contraddizione del peccato originale che macchia l’anima delle democrazie occidentali: i nostri conti mai risolti con il colonialismo passato e con quello presente.
La risposta dello Stato è militare, emergenziale, ancora una volta repressiva. Migliaia di arresti, nuovi corpi speciali di polizia per le strade, ancora più violenza e rottura totale di qualsiasi meccanismo di mediazione, affiancata alla polarizzazione totale del dibattitto e a dispositivi di sicurezza e di ordine pubblico che fanno riflettere sulla possibilità concreta di derive autoritarie delle nostre società. Difficile tornare indietro quando mezzi pesanti scendono per le strade, impossibile ricostruire vincoli di fiducia con lo Stato quando il rapporto è solo lo scontro frontale.
Così, ancora una volta e sempre di più, si chiudono spazi di partecipazione democratica e prende piede uno Stato autoritario che lentamente sta modificando linguaggio e forma delle nostre società.
La memoria e la pratica antifascista non possono essere valori statici mentre intorno a noi tutto cambia rapidamente: sono strumenti attuali, quotidiani, di analisi della realtà e di guida nell’azione. Per questo la memoria di Clément Méric è memoria in cammino. Nelle lotte, negli spazi di avanzamento, nelle crepe del sistema capitalistico.
Prendendo in prestito le parole del Comitato per Clément, dal libro da loro prodotto, le milleur hommage, c’est de continuer le combat. Il migliore omaggio è continuare la lotta.
Noi siamo qui. Nous on est là.
Jacopo Smeriglio
Pubblicato mercoledì 5 Luglio 2023
Stampato il 05/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/clement-meric-parigi-non-dimentica/