Criminalità organizzata, conflitti, sfruttamento del lavoro e della terra, violenza di genere, carceri e migrazioni. Sono tra i temi affrontati dal Centro di giornalismo permanente (Cgp), un collettivo composto da ex allievi della Scuola di giornalismo della Fondazione dedicata ai due intellettuali antifascisti Lelio e Lisli Basso.
Dal 2018 il gruppo si occupa di giornalismo sociale, allargando lo sguardo su argomenti che non sempre godono della giusta attenzione, inducendo a riflettere sull’importanza del giornalismo d’inchiesta, considerato finanziariamente impraticabile da gran parte delle società editoriali. Fare le inchieste costa. In termini di risorse giornalistiche da impiegare, spese da sostenere e anche di pressioni politiche ed economiche da respingere quando gli articoli sono scomodi. Eppure genera enormi benefici sociali perché rende i lettori e le lettrici consapevoli dei meccanismi della società del nostro tempo, dando loro la possibilità di compiere delle scelte.
Lo sfruttamento del lavoro e della terra è stata la tematica affrontata da Maurizio Franco e Maria Panariello del Cgp che hanno illustrato quanto la pandemia da Covid19 abbia implementato le piattaforme di e-commerce della grande distribuzione e quanto queste abbiano continuato ad allontanarci dall’origine del cibo, considerato merce, privato del suo valore, dalla sua origine, dalle mani che lo lavorano, mani spesso di persone condannate all’invisibilità dei ghetti e sottoposte al ricatto di caporali che le privano di diritti e dignità.
“I migranti impiegati nell’agricoltura dell’Agro Pontino sono principalmente Sikh ma non sono i soli – dice Hardeep Kaur, funzionaria della Flai Cgil di Latina e Frosinone –. Nel corso degli ultimi anni c’è una presenza massiccia di ragazzi di origine subsahariana che sta portando una sorta di sostituzione etnica all’interno delle campagne. Questo perché le comunità indiane hanno una maggiore consapevolezza dei propri diritti e li chiedono a gran voce a differenza dei subsahariani. Ciò ha portato a una guerra tra poveri di cui si parla ancora poco”, ha concluso Hardeep Kaur, attiva nel progetto Sindacato di Strada, volto a contattare nella lotta al caporalato i lavoratori nei luoghi di ritrovo dove vengono ingaggiati.
In questa filiera sporca, fatta di diritti negati e dove il cibo viene degradato a prodotto di consumo in un mercato governato dalle multinazionali, cosa possiamo fare noi consumatori? È la domanda a cui risponde Fabio Ciconte, direttore di Terra!, associazione che porta avanti battaglie ambientali e sociali, che illustra: “Attorno alla retorica del consumatore si è costruito il senso di colpa secondo cui se non fai un acquisto consapevole non sei degno di questa società. Ma davvero tutti possono fare un acquisto consapevole in un tempo dove le povertà aumentano? In questi anni – continua Ciconte – da consumatori quali siamo ci siamo trasformati in categoria sociale e la soluzione per me è ritornare ad essere persone, cittadini e cittadine che tornano a fare politica, a prendere parola nelle questioni della società che non sono distanti dalla vita delle persone, dismettendo i panni del consumatore che pensa di poter cambiare le cose solo con l’acquisto individuale, che è importante ma non è tutto”.
La pandemia da Covid19 è stato un momento favorevole anche per la criminalità organizzata, come mostrano Roberta Benvenuto e Youssef Hassan Holgado del collettivo. Un allarme lanciato dall’ex procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho non soltanto per la cosiddetta Covid economy – dispositivi di protezione e vaccini – ma anche per allargare il consenso sociale nei luoghi periferici di Roma in un momento di forte disagio economico e dove il narcotraffico continua, indisturbato, con le sue attività. Benché i sequestri di droga siano calati nel periodo della pandemia, nel 2021 si è registrato un incremento del 54,4%, secondo la Relazione Annuale 2022 della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Dipartimento della Pubblica Sicurezza: dalle 59 tonnellate rinvenute nel 2020, si è saliti alle 91 tonnellate del 2021. Negli ultimi 40 anni non era mai stato raggiunto un risultato così consistente.
Roma non è stata definita “aperta” solo dal film di Roberto Rossellini che restituisce lo strazio vivido di una capitale sotto occupazione nazista: ci hanno pensato anche le organizzazioni criminali. Ne ha parlato Floriana Bulfon, autrice di numerosi reportage contro le mafie e profonda esperta del clan dei Casamonica. “C’è un’apertura anche sotto il profilo delle dinamiche criminali che ha visto nascere delle joint venture, società miste in cui ci sono organizzazioni criminali campane, calabresi e siciliane che si innestano alla malavita romana. Questi ibridi nati con il covid si sono ampliati. Qualche tempo fa, la Procura di Roma ha infatti smantellato la prima organizzazione considerata locale”.
Ma la criminalità organizzata si avvale anche di collaborazioni straniere. “Vari gruppi, come quelli albanesi, collaborano con la ’ndrangheta nel narcotraffico, soprattutto a livello internazionale. Questo perché solo in Italia esiste il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e uno ndranghetista ha tutto l’interesse a non toccare la droga. Per droga puoi essere arrestato ovunque, per droga la Dea si mette sulle tue tracce, per droga le collaborazioni tra le polizie di diversi Paesi si attivano subito, mentre per associazione a delinquere è diverso”, spiega Giulio Rubino, docente della Scuola di giornalismo della fondazione Basso e co-fondatore di Investigative Reporting Project Italy (IRPI).
Frank Horing, inviato in Italia del settimanale tedesco Der Spiegel, racconta. “Sono rimasto sconcertato di come sulla stampa italiana non sia stata presente una notizia così rilevante”, riferendosi al maxi processo nell’aula bunker di Lamezia Terme contro la ’ndrangheta che nel 2021 ha visto 325 imputati, 400 capi d’accusa e 600 difensori condotto dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Grattieri: il secondo maxi processo della storia d’Italia, il primo alle ’ndrine, passato in sordina per il divieto imposto alle riprese televisive.
Nell’approfondimento “Ora d’aria” si è inoltre parlato di carceri italiane, di cui Patria si è sempre occupata nel tempo, con il contributo di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale.
Mariangela Di Marco
Pubblicato sabato 1 Ottobre 2022
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