23 aprile 1945. Un caccia Spitfire della Raf viene abbattuto sui cieli della campagna ferrarese dalla contraerea tedesca. Il pilota, un irlandese di 25 anni, si lancia con il paracadute e, braccato dai soldati nemici, raggiunge una cascina. La fortuna lo assiste: è una casa di partigiani. Si salva così, grazie a un angelo di 10 anni di nome Carla Fabbri, che lo accompagna per mano oltre la linea del fronte, John Allman Hemingway. A 105 anni, compiuti lo scorso 17 luglio, John è l’ultimo dei few, i “pochi”, i piloti che difesero la Gran Bretagna nella Battaglia d’Inghilterra dell’estate 1940.
John Allman Hemingway nasce il 17 luglio 1919 a Dublino in una famiglia agiata di religione protestante. Dopo avere conseguito il diploma di scuola superiore affronta l’esame di ammissione al Trinity College e viene ammesso alla prestigiosa università della capitale irlandese. Compiuti 20 anni, tuttavia, John fa domanda di reclutamento alla Raf, l’aeronautica militare britannica, e nel gennaio 1939 inizia l’addestramento nello Yorkshire. La sua prima missione lo porta nei cieli di Rouen, nel nord della Francia, dove nel maggio 1940, ai comandi del suo caccia Hurricane, abbatte il suo primo aereo nemico. Lo stesso giorno il suo velivolo viene a sua volta abbattuto, ma John riesce a salvarsi. Richiamato in Gran Bretagna con la sua squadriglia, Hemingway fa in tempo a partecipare ad alcune missioni su Dunkirk, durante l’evacuazione. Nell’estate 1940 è in prima linea nella Battaglia d’Inghilterra contro le forze soverchianti della Luftwaffe. Nel mese di agosto viene abbattuto due volte: la prima sul mare, al largo delle coste dell’Essex. Trascorrerà due ore in acqua prima di essere soccorso.
La Battaglia d’Inghilterra segnò la prima importante sconfitta della Germania nazista nella Seconda guerra mondiale; Hitler fallì nel tentativo di affermare la superiorità aerea del Reich sui cieli d’Europa e fu costretto ad abbandonare il tentativo di piegare il Regno Unito. La resistenza britannica pagò un caro prezzo in termini di vite umane: oltre 500 furono i piloti uccisi della Battaglia d’Inghilterra e, alla fine dei tre mesi abbondanti dell’offensiva, si contavano circa 40.000 morti fra i civili. Parlando alla Camera dei Comuni il 20 agosto 1940, il premier Churchill rese omaggio al coraggio dei piloti della Raf con le parole “mai così tanti dovettero così tanto a così pochi”.
Nel settembre 1940 l’85ª Squadriglia, della quale faceva parte John Hemingway, aveva perso undici piloti; John viene ritirato dal combattimento e destinato ad altri incarichi. Ritornerà in azione esattamente quattro anni dopo, nel settembre 1944, destinazione la penisola italiana. È qui che, il 23 aprile 1945, mentre è impegnato a tormentare le truppe naziste in ritirata verso nord con la 43ª Squadriglia della Raf, Hemingway viene abbattuto per la quarta volta. Mentre il suo Spitfire rovina al suolo, colpito dalla contraerea nemica, John si lancia con il paracadute e atterra in territorio controllato dai nazisti, nei pressi di Coccanile di Copparo (Ferrara). Braccato dai soldati nemici, il pilota irlandese trova rifugio in una cascina, dove viene rifocillato e vestito con abiti civili. Il tutto dura poche ore; quando cala il buio, Hemingway viene accompagnato oltre il fronte e può così ricongiungersi con le forze alleate.
Dopo la guerra Hemingway resta nella Raf, occupando diverse cariche, fino al congedo nel 1969. La moglie di John, Bridget, muore nel 1998. La coppia ha tre figli, Susan, Michael e Brian. John si trasferisce in Canada, per stare vicino alla figlia, ma ritorna in Irlanda nel 2011: da allora vive in una casa di riposo nella capitale irlandese.
La storia di John Hemingway e del suo rocambolesco salvataggio nei giorni della Liberazione, grazie al coraggio di una famiglia antifascista italiana, ha raggiunto il grande pubblico lo scorso dicembre. Tuttavia, al giornalista che l’ha raccontata per primo, questo straordinario pilota irlandese era ben noto da tempo. Lui si chiama Paolo Ricci Bitti, è romagnolo, ha lavorato al Messaggero per 34 anni e vive a Imola. A Paolo ho chiesto di raccontarmi come ha scoperto questa straordinaria vicenda che si dipana nello spazio di poche ore nei giorni precedenti la Liberazione: “Seguendo il mondo del rugby da sempre, mi è capitato di andare in Irlanda molte volte, a seguito della Nazionale, e di maturare conoscenze e amicizie che si sono poi sposate con l’altra mia grande passione, cioè l’aeronautica. Erano tre anni che seguivo le vicende di John ‘Paddy’ Hemingway, l’unico pilota della Raf superstite che ha partecipato alla Battaglia d’Inghilterra. E non solo: perché Hemingway ha fatto anche la campagna d’Italia e quindi ha proseguito fino alla fine della guerra. Io tenevo d’occhio la sua storia perché pensavo, prima o poi mi tocca scrivere che è morto l’ultimo pilota della Raf che ha partecipato alla Battaglia d’Inghilterra.
Nel settembre del 2023, durante la rievocazione della Battaglia d’Inghilterra, prendono John ‘Paddy’ dalla casa di riposo dov’è, gli mettono la divisa con tutte le medaglie, lo mettono davanti a un Hurricane restaurato e, parlando, salta fuori che lui racconta di essere sopravvissuto all’abbattimento da parte della contraerea tedesca a Coccanile di Ferrara. Ma non solo: salta fuori un rapporto che lui fece quando tornò a Ravenna, alla sua base: che era stato nascosto dopo essere stato abbattuto (era stato abbattuto a 300 metri, quindi si è salvato per miracolo, con il paracadute) da una famiglia di contadini di Coccanile di Ferrara”. A quel punto Paolo decide che quella storia deve essere raccontata e propone l’articolo al Messaggero.
“Il giornale l’ha accettato subito, l’ha messo con grande evidenza e appena uscito l’articolo ho contattato il Comune di Copparo, che è stato efficientissimo. Lì nella zona di Copparo ci sono gli Archeologi dell’aria; anche loro sono stati determinanti, sono efficientissimi. Anche loro nei loro rapporti avevano l’abbattimento dello Spitfire di John e nel giro di un paio di giorni, lì a Copparo, si è scatenata la ricerca di questa donna che aveva salvato John”. A Copparo, la notizia della ricerca di Paolo raggiunge Lina Volpi: “Nel dicembre del 2023”, mi racconta, “un passaggio televisivo dell’associazione Ada [Archeologi dell’aria, ndr] si mette alla ricerca di questa bambina che avrebbe compiuto questo eroico gesto; io ascolto per caso la notizia e mi si accende un lampo: questo racconto era un racconto dei miei primissimi anni di vita”.
È la storia, spiega Lina, che sua mamma le raccontava come favola della buonanotte. La ragazza che stanno cercando non può che essere la sua mamma, Carla Fabbri, che purtroppo non c’è più: è morta esattamente dieci anni prima, proprio nel mese di dicembre. “Di mia madre ho questo ricordo: lei dice che erano giorni durissimi, di rumore, passati neanche più in casa. Mio nonno aveva costruito una buca in un fosso, uno di quei fossi… non quelli piccolini, ma quelli abbastanza grossi, quelli che normalmente contengono acqua per irrigare; lì aveva scavato uno spazio per dare la possibilità di passare quei giorni lì dentro. E credo che proprio lì dentro è stato riparato per qualche ora John Hemingway; e poi questa bimba, che era mia madre, lo accompagnò, presumibilmente di notte, verso il fronte alleato”.
“La mia nonna diceva, ‘è arrivato a casa nostra un così bel ragazzo’, disse proprio così! che era tutto sporco; lo hanno rivestito con quel poco che avevano… Lui era anche uno stangone, quindi immagino che gli abiti non fossero proprio adatti a lui, però insomma gli sono serviti per salvarsi la vita”. “John racconta che gli danno un uovo e del brandy. In realtà non credo che si trattasse di brandy; sarà stata grappa! L’uovo senz’altro, perché era l’unica cosa che possedevano, in quel momento. Neanche i polli, perché i polli gli venivano per la maggior parte portati via dai tedeschi. Avevano veramente poco”.
È una famiglia di partigiani, quella di Lina Volpi, come ha raccontato lei stessa al Corriere della Sera lo scorso dicembre: “I fratelli di mia mamma Carla […] facevano parte della Resistenza: Vainer, Tonino e Walter Fabbri. Ci tengo a che vengano ricordati i loro nomi, erano gente coraggiosa. Antifascisti da sempre, da prima della guerra: chi prima e chi dopo, so che erano stati manganellati più volte, messi dentro, riempiti d’olio di ricino”.
Anche Brian, uno dei figli di John Hemingway, era al corrente di quella che, come mi ha spiegato, nella sua famiglia è diventata la ‘storia italiana’: “Mio papà, per quello che ricordo, non ha mai parlato della guerra. Sapevo che era stato nella Raf e che aveva combattuto come pilota, ma non conoscevo i dettagli. La maggior parte degli ex piloti che ho conosciuto, con pochissime eccezioni, non parlava mai della guerra. Fortunatamente, tuttavia, mio padre ha scritto parecchio: circa 15.000 parole buttate giù su carta fra la fine degli anni 60 e gli anni 70. Quando aveva circa 90 anni assunsi la procura per lui e trovai i suoi diari, di cui già conoscevo l’esistenza. Iniziai a leggerli e trovai, fra gli altri, il racconto della sua esperienza in Italia”.
Il primo articolo pubblicato da Paolo Ricci Bitti sul Messaggero, lo scorso dicembre, viene ripreso dalla stampa locale italiana e anche dalla stampa d’oltre Manica: ne scrive il vice corrispondente da Roma del Times e anche una giornalista della redazione irlandese del Sunday Times, Julieanne Corr, che va a trovare John Hemingway nella casa di riposo in cui vive, a Dublino. Un po’ di tempo fa ho parlato con Julieanne e le ho chiesto di raccontarmi qualcosa di quell’incontro, lo scorso dicembre. “Ho trovato un uomo molto felice e sereno, molto a suo agio. Sembrava davvero contento della mia visita e di parlare con me. Non mi ha fatto tante domande sul perché della mia visita, nonostante fosse la prima volta che mi vedeva. Era molto elegante, in giacca e camicia, e una delle cose che mi hanno colpito di più è stato il suo orgoglio per quanto fatto nella vita, con i riconoscimenti e le medaglie in mostra sulle pareti della stanza. Ho avuto l’onore di portargli la notizia che Lina Volpi gli avrebbe fatto visita e questo lo ha davvero riempito di gioia. È rimasto un attimo senza respiro, poi mi ha detto «Sua mamma mi ha salvato la vita». Lì ho capito l’importanza che quella storia ha sempre avuto per lui, la gratitudine che ha sempre nutrito per quella bambina”.
La famiglia Fabbri agì con grande generosità e grande coraggio. Aiutare un soldato alleato, lo sappiamo bene, poteva costare molto caro. Non solo: Paolo Ricci Bitti ci ricorda un altro aspetto che rende quel gesto, se possibile, ancora più straordinario: “Gli inglesi erano quelli che bombardavano Coccanile, Copparo. In quella zona lì, a gennaio… noi parliamo di aprile… a gennaio un bombardamento inglese aveva causato una novantina di morti civili”. “Però, fatto sta che lì questa famiglia di contadini non ci pensò… c’era una persona in difficoltà, che se la trovavano i tedeschi la ammazzavano, loro non ci pensarono e lo aiutarono. E questo afflato, questa idea è rimasta molto presente dentro [Lina] che, quando ha letto di questa storia, ha subito collegato la favola della buonanotte della mamma che non c’era più alla sua vicenda”.
A metà di giugno 2024 si è tenuto, finalmente, a Dublino, l’incontro tanto atteso fra John Hemingway e la figlia della bambina che gli aveva salvato la vita. Lo racconta così la stessa Lina Volpi: “Immediatamente quando ho capito che mi trovavo di fronte a questa storia incredibile ho pensato che non potesse non concludersi con un incontro”. “Non ho più tergiversato; ho preso mia figlia, perché doveva essere così – la storia era arrivata a me, io dovevo trasmetterla a chi viene dopo di me – io e mia figlia ci siamo recate a Dublino il 19 giugno del 2024 per potere incontrare John il giorno dopo”.
“La cosa più bella è che io ho consegnato, quasi immediatamente, dopo averlo abbracciato, una teca preparata dai ragazzi di AdA di Copparo che conteneva dei pezzi del suo aereo”. Brian, che durante l’incontro ha mostrato a Lina e a sua figlia le medaglie ottenute da John e il diario di volo dell’aprile 1945 con l’annotazione dell’episodio di Copparo, mi racconta l’emozione del padre davanti alla figlia della bambina alla quale deve la vita: “Era molto commosso, per quanto all’inizio leggermente sorpreso (in questi casi lo informiamo con un breve preavviso, perché tende ovviamente a dimenticare le cose). L’incontro è stato formale, all’inizio, per via della lingua, ma poi il clima è diventato più famigliare. Papà non è una persona che esprime facilmente quello che sente; credo di non averlo mai visto così emozionato. So che suona retorico, ma credo che il mio compito sia quello di rendere la vita di mio papà il più possibile piacevole, soprattutto adesso che ha 105 anni, e questa è stata senz’altro una splendida giornata”.
Nei sei mesi trascorsi fra la diffusione della notizia da parte di Paolo Ricci Bitti e la visita di Lina Volpi a Dublino ho monitorato attentamente la stampa irlandese e quella britannica, ma alla figura di John Hemingway non è stato dedicato (con alcune importanti eccezioni) lo spazio che mi sarei aspettato. Ho posto la questione a Julieanne Corr, la quale mi ha ricordato che negli ultimi anni i media irlandesi hanno parlato molto di John, concordando tuttavia sul fatto che una figura come la sua meriterebbe di essere conosciuta da un maggior numero di persone. “Probabilmente”, mi ha detto, “moltissimi cittadini comuni, in Irlanda e in Gran Bretagna, non conoscono la sua storia. Non so, forse la ragione è che la Seconda guerra mondiale è ormai molto distante. Ed è un peccato, perché questa bellissima storia di un pilota irlandese salvato da una bambina italiana merita di essere ricordata, così come lo sono migliaia di storie di quel drammatico conflitto. Quindi sono d’accordo sul fatto che la storia di John meriterebbe maggiore attenzione; dovrebbe essere sui libri di storia che si studiano a scuola”.
Il figlio di John, Brian, da parte sua, dice di avere notato un diverso atteggiamento in Gran Bretagna, rispetto a quello visto in Irlanda: “L’attuale notorietà di mio padre è iniziata più o meno 13 o 14 anni fa, quando ho iniziato a raccontare la sua storia ad alcuni quotidiani irlandesi. In seguito, la sua vicenda è stata ripresa da alcune testate britanniche. All’epoca nessuno sapeva chi fosse: circa 10-12 anni fa un artista realizzò i ritratti di 8 o 9 piloti della Battaglia d’Inghilterra ancora in vita e mio cugino mi avvisò che papà non era fra loro. La stampa poi ha scelto alcuni episodi, diciamo una quindicina, fra i quali c’è anche la vicenda “italiana”, che è stata infatti ripresa dai giornali. Non tanto in Gran Bretagna, forse perché si trattava di una storia riguardante un irlandese e una bambina italiana: un giornalista di una testata popolare una volta mi disse, ‘non è una storia inglese’”.
Lo scorso 20 giugno, quasi un mese prima di compiere 105 anni, John Hemingway ha ricevuto il regalo di compleanno più bello: l’incontro con la figlia di quella bambina che, quasi 80 anni fa, gli aveva salvato la vita. L’incontro è stato un momento di vera gioia e di straordinaria emozione sia per l’anziano pilota sia per Lina Volpi, la figlia di Carla Fabbri. Come mi ha detto Paolo Ricci Bitti, Lina “ha incontrato il protagonista della sua favola della buonanotte. Un privilegio che ben pochi di noi hanno. Valli a trovare i personaggi delle tue favole della buonanotte. È stata emozionatissima, felicissima, perché di fatto questa storia, e il fatto che ‘Paddy’ sia ancora vivo, le ha restituito la figura della madre, l’amore della madre”.
Carlo Gianuzzi, Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati”, Brescia
Pubblicato venerdì 13 Settembre 2024
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