Il 12 settembre la Camera dei deputati ha approvato, in prima lettura, la proposta di legge n. 3343-A, d’iniziativa del deputato Emanuele Fiano (PD) e di altri deputati, in un testo, al quale l’Assemblea ha apportato limitate modifiche, che introduce nel Codice penale l’articolo 293-bis, riguardante il reato di propaganda del partito fascista o nazista effettuata anche attraverso la produzione, la distribuzione o la vendita di beni che raffigurano persone o simboli ad essi chiaramente riferiti, ovvero attraverso il richiamo in pubblico della relativa simbologia e gestualità. Il provvedimento ha ottenuto 261 voti a favore (Partito Democratico, Alternativa popolare, Articolo 1-MDP, Sinistra italiana, Civici e innovatori, Democrazia solidale-CD), 122 contrari (Movimento 5 stelle, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) e 15 astensioni.
Come era prevedibile, la discussione in Aula è stata occupata in larga misura da proteste ed eccezioni dei rappresentanti del centro destra, che non hanno perso l’occasione per riprendere alcuni degli argomenti più frequentemente utilizzati contro questo ed altri provvedimenti di analogo tenore. I rappresentanti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, attivando un repertorio ormai sperimentato, si sono succeduti nel dichiarare inutile e controproducente un provvedimento che, a loro avviso, si limiterebbe a evocare fantasmi di un passato ormai definitivamente sepolto, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da problemi ben più attuali e che interverrebbe a limitare la libertà di manifestazione del pensiero criminalizzando comportamenti marginali e privi di effettiva rilevanza sia penale sia politica. Non sono mancati, infine, i richiami al carattere squilibrato del provvedimento e alla necessità di mantenere una posizione equidistante dai regimi totalitari di qualsiasi natura: il tutto con l’acrimonia propria di chi per anni ha promosso una rivalutazione più o meno strisciante del fascismo e della sua ideologia e la contestuale delegittimazione della Costituzione democratica nata dalla Resistenza, acrimonia coronata dal finale saluto romano del deputato Larussa, un farsesco e malinconico memento sull’«aula sorda e grigia», peraltro coperto dall’immunità assicurata dalla Costituzione democratica ai voti e alle opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni.
C’è, in sostanza, un armamentario retorico, alimentato dalle argomentazioni più classiche del revisionismo storico, che si ripresenta ogni qualvolta si discute di norme che, per il loro taglio dichiaratamente antifascista, ripropongono la questione dell’attuazione di un profilo specifico e rilevante della Costituzione; alle critiche rivolte con maggiore o minore virulenza alla proposta di legge, ha peraltro replicato il relatore Verini, richiamando la natura eversiva dei movimenti neofascisti come realtà del presente e non come retaggio di un passato definitivamente superato, sottolineando la necessità di completare il quadro normativo delineato dalla legge Scelba (legge n. 645 del 1952), e ribadendo, a nome dei sostenitori della proposta di legge, che: «non vogliamo colpire le opinioni, non vogliamo colpire chi vende o compra le chincaglierie, vogliamo colpire chi con quei simboli, con quelle cose, fa propaganda a quelle robe che poi producono delle condotte gravissime. Questo è il senso della legge».
Peraltro, anche tra gli oppositori del provvedimento, non sono mancati accenti diversi: è il caso dell’intervento del deputato Sisto (FI), che, probabilmente nell’intento di smarcarsi dai toni esagitati di alcuni esponenti della sua area politica, ha argomentato la propria contrarietà al testo con riferimento ai profili contenutistici, in relazione all’esatta definizione delle condotte sanzionate, al coordinamento con la legislazione vigente e in particolare alla possibile sovrapposizione tra le norme in discussione e la legge Scelba.
Prescindendo dai numerosi spunti di mera polemica presenti nella discussione alla Camera, può essere utile quindi soffermarsi sui termini del confronto sul merito del testo, nel presupposto che le preoccupazioni in ordine alla chiarezza delle disposizioni penali, al perimetro della punibilità e alla individuazione dei destinatari della norma non sono meri espedienti retorici della dialettica parlamentare, ma rappresentano questioni sostanziali e come tali meritevoli di attenzione e di approfondimento.
In questo tipo di eccezioni rientra l’emendamento presentato dal relatore di minoranza Ferraresi (Movimento 5 stelle) e respinto dall’Assemblea, interamente sostitutivo del testo Fiano e recante una serie di modifiche alla legge Scelba. Secondo tale proposta, l’articolo 4 della legge del 1952 (apologia del fascismo), verrebbe integrato mediante l’introduzione di un’aggravante per la propaganda fascista effettuata attraverso strumenti telematici, con una maggiorazione delle pene già previste; inoltre, viene riformulata la norma sulla propaganda attraverso la vendita di gadget, precisando che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chi propaganda le immagini e i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista, ovvero delle relative ideologie, attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli ad essi chiaramente riferiti, salvo il caso in cui le immagini, i contenuti o i beni abbiano unicamente carattere storico-culturale, artistico o architettonico.
Il testo dell’emendamento, al di là della diversa collocazione delle norme, si differenzia dalla proposta di legge Fiano in quanto esclude la punibilità della propaganda fatta attraverso il richiamo in pubblico della simbologia o della gestualità propri del fascismo o del nazismo; una limitazione che non può non destare qualche perplessità, in quanto, ad esempio, il saluto romano durante una manifestazione o in uno stadio costituisce un comportamento caratterizzato da notevole visibilità e quindi da un impatto propagandistico potenzialmente superiore a quello prodotto dalla vendita dei gadget. Anche l’esclusione dell’ambito di applicazione della norma di immagini o contenuti di carattere storico e culturale appare superfluo. Nessuno infatti può riconoscere un minimo di fondatezza all’accusa di iconoclastia rivolta ai promotori della legge da chi ha agitato strumentalmente il timore che essa possa essere utilizzata, ad esempio, per abbattere opere architettoniche del ventennio; tanto meno, si può pensare che possa rientrare nell’ambito di applicazione della legge, mettiamo, la riproduzione fotografica degli edifici dell’EUR o un volume o una mostra sull’opera di un artista fiorito durante il periodo della dittatura. Su questo, peraltro, il proponente si è pronunciato con chiarezza e in modo inequivoco, quando, nel corso della discussione, ha affermato che «il valore dei monumenti e degli edifici risalenti al ventennio è un elemento dirimente circa la possibile azione contro gli stessi […]» dato che la proposta di legge di cui è primo firmatario non si occupa in alcun modo di quei beni.
Nello stesso intervento, il deputato Fiano si è soffermato anche sull’emendamento Ferraresi, con alcune precisazioni di rilievo: in particolare, ha sostenuto che la collocazione della norma del Codice penale intende proprio stabilire un elemento differenziale rispetto alla legge Scelba, nel presupposto che in base a tale ultima disciplina la magistratura ha sanzionato l’apologia e la propaganda dell’ideologia fascista solo in quanto essa risultava strumentale alla riorganizzazione del partito fascista, oggetto del divieto posto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; la proposta all’esame della Camera, ha precisato lo stesso Fiano «dice che l’atto di propaganda dell’ideologia fascista o nazifascista o di apologia di quelle medesime ideologie, diversamente dall’articolo 4 della legge Scelba […] dove viene fatto risalire alla volontà di riorganizzazione di un partito, deve valere come condotta punibile e può essere fatta anche attraverso l’uso degli oggetti che […] Presidente, il collega Sannicandro ha citato» (nella sua dichiarazione di voto a favore dell’emendamento Ferraresi intervento il deputato Sannicandro, del Movimento democratici e progressisti, aveva fatto riferimento alle bottiglie di lambrusco con l’effige di Mussolini, parlando della distinzione tra l’intento di propaganda e il mero fine di lucro del venditore).
Per questi profili, la discussione parlamentare ha sollevato questioni che appaiono meritevoli di ulteriore approfondimento, e che attengono, in primo luogo, al rapporto tra la legislazione vigente e la XII disposizione transitoria della Costituzione, nonché alla necessaria chiarezza delle disposizioni penali quanto ai destinatari e alla definizione dell’ambito della punibilità. Sono questioni che ora il Senato è chiamato a valutare, sempre che gli incerti numeri di Palazzo Madama consentano di portare a termine l’iter di approvazione di questo come di altri importanti provvedimenti varati dalla Camera dei deputati e fermi presso l’altro ramo del Parlamento.
Non sembra improprio, a questo proposito, ricordare che l’approvazione in prima lettura della proposta di legge n. 3343 è intervenuta contestualmente alla decisione della Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari di Palazzo Madama di rinviare l’esame del disegno di legge sullo jus soli: una decisione che ha provocato le scomposte reazioni di giubilo di una destra convinta di potere lucrare vantaggiosi dividendi elettorali sul terreno dell’immigrazione, e che a tale fine sta conducendo una campagna all’insegna del delirante slogan della “sostituzione etnica”, del tutto privo di motivazioni oggettive, ma idoneo a fare leva sulle paure e le incertezze di una società ancora fortemente traumatizzata dalla più grave crisi economica degli ultimi settanta anni: il tutto al fine di incrementare un clima di conflittualità endemica tra i settori più marginali della società, particolarmente propizio al radicamento di gruppi neofascisti che, da esperti imprenditori della paura, prosperano ovunque si rinfocoli l’odio etnico e religioso, e che si trovano oggi più che in passato nella favorevole condizione di proporsi come partner e suggeritori di una destra conservatrice sempre più incline, in Italia come altrove, a prestare orecchio alle sirene della radicalizzazione e dell’estremismo.
Pubblicato martedì 3 Ottobre 2017
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