Abdullah Öcalan in una foto di qualche anno fa

L’appello del leader del PKK Abdullah Öcalan dello scorso 27 febbraio con il quale chiedeva a tutti di deporre le armi e al PKK di indire il congresso per discutere dello scioglimento dell’organizzazione è stato accolto dal suo partito. Infatti tra il 5 e il 7 maggio il congresso si è svolto nelle Zone di Difesa di Medya, sulle montagne di Qandil, roccaforte di PKK, nella Regione del Kurdistan iracheno, in Iraq.

Öcalan nel suo appello per “Una Pace e una Società Democratica” ha sottolineato che in questo tempo di furiosi conflitti che flagellano diverse parti del mondo e, ancora una volta, il Medio Oriente, l’unica via percorribile per raggiungere la pace è quella che porta a un processo di totale democratizzazione delle società.

Combattenti curde

Ne è convinto da molto tempo e ha radicalizzato il suo pensiero immergendosi negli studi della storia, della sociologia, della filosofia e della politica durante i suoi ormai ventisei anni di prigionia sull’isola di Imrali, in Turchia.

Öcalan ha passato quasi tutto il tempo in uno stato di totale isolamento eppure non ha perso la forza del leader che sa parlare al suo popolo e lo guida verso un modello di società alternativo a quello espresso dal capitalismo. Per questo, per non aver mai rinunciato alla sua battaglia politica per la libertà e l’uguaglianza, nonostante sia stato seppellito vivo in una prigione lontano da tutti e da tutto, è chiamato il Nelson Mandela dei curdi. In realtà Öcalan ispira non solo il suo popolo ma anche donne e uomini di ogni parte del mondo che si battono contro la società capitalista che produce conflitti armati, crea profonde disuguaglianze, distrugge l’ambiente e mantiene le sue strutture patriarcali in buona parte della cultura e, ovviamente, nelle istituzioni.

La prigione di massima sicurezza dove da 26 anni è detenuto Öcalan. L’edificio sorge su una piccola isola della Turchia nel sud del Mar di Marmara

Liberarlo dalla prigione è per Ankara un problema. Nonostante l’apertura del nuovo processo di pace iniziato con l’invito dello scorso ottobre rivoltogli da Bacheli, presidente del partito estremista islamista MHP, alleato di Erdogan, il leader curdo rimane a Imrali. Un Öcalan libero avrebbe un effetto moltiplicatore della sua forza e della sua capacità di attrarre interesse e consenso da tutto il mondo, soprattutto tra i quaranta milioni di curdi.

I 232 delegati del 12° Congresso hanno però sottolineato che solo Öcalan può guidare il processo di pace per il popolo curdo e quindi è stato preteso il riconoscimento delle garanzie necessarie perché questo avvenga.

Una più recente foto di Apo

Dal 27 febbraio è passato del tempo e, sebbene gli incontri e le trattative procedano, la repressione del governo turco nei confronti degli oppositori si fa sentire più di prima. Questa volta non solo contro i curdi e il DEM, coalizione a guida curda che siede all’opposizione in parlamento, ma anche contro il più grande partito dell’opposizione, il CHP, partito popolare repubblicano a cui appartiene il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, arrestato il mese scorso con l’accusa di corruzione, sebbene tutti sappiano che per lui si sono aperte le porte della cella perché è il più temuto avversario che Erdogan abbia alle prossime elezioni presidenziali, ammesso che il Sultano vi possa partecipare. Potrà farlo solo se riuscirà a mettere mano alla Costituzione.

Öcalan oggi è il solo leader politico che offre un’idea concreta di società alternativa a quella capitalista, delineando su quali principi e valori dovrà reggersi e tracciando le fasi necessarie per la sua realizzazione. È anche l’unico a parlare di pace mentre i Paesi occidentali, e non solo, sembrano impazziti per vedere chi tra di loro vincerà la corsa senza freni al riarmo, trascinando inevitabilmente le nostre società in una nuova epoca di tensioni sociali, conflitti e forti preoccupazioni per il futuro.

Se da un lato sembra che solo le bombe, i missili, i droni e gli altri strumenti di morte debbano parlare e governare le società del secolo XXI, unitamente alle nuove politiche di repressione del dissenso che ormai si susseguono nelle cosiddette società democratiche occidentali, incluso in Italia, dall’altra c’è un leader politico, Öcalan per l’appunto, che invece si ostina a richiamare tutti alla pace, raggiungibile attraverso la realizzazione di un principio che già il movimento “No Global” aveva portato nelle piazze, ossia l’autodeterminazione dei popoli.

Öcalan la immagina all’interno di un sistema confederale che poggia sui tre pilastri della democrazia radicale dal basso, della liberazione della donna e dell’ecologia. Il leader curdo sostiene che “la vera lotta per la democrazia e il socialismo diventa completa solo quando considera la liberazione della donna e il salvataggio dell’ambiente. Solo quando è completata in questo senso, una lotta per un nuovo sistema sociale può rappresentare una via d’uscita da questo caos” (Abdullah Öcalan, Oltre lo Stato, il potere e la violenza, 2016)

Nonostante conosca bene l’inaffidabilità di Erdogan, si è messo alla guida del nuovo tentativo di riportare la pace tra i turchi e i curdi, chiedendo a tutti di passare da un piano di lotta armata a uno esclusivamente politico, perché troppe vite questo conflitto si è portato via negli ultimi quarant’anni. Si è assunto un rischio enorme chiedendo e ottenendo dal congresso del PKK la dichiarazione di scioglimento dell’organizzazione. Ritiene che il tentativo vada fatto in nome della pace, andando in controcorrente rispetto alla direzione bellicista che ha preso il mondo.

Il Congresso ha riconosciuto che l’attuale situazione permette di avanzare con le rivendicazioni attraverso una fase prettamente politica, non più armata, perché il popolo curdo ormai è riconosciuto e nessuno può più negarne l’esistenza e ridurlo al silenzio.

Sulla scia dell’insegnamento di Öcalan, anche la DAANES (Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord-Est) sta tentando di trovare un accordo con il nuovo governo siriano guidato dal jihadista Ahmed al-Shara del gruppo HTS che ha cacciato Assad dal Paese conquistandone il potere.

Fawza Youssef, in rappresentanza della DAANES, alla Conferenza Internazionale “Libertà per Öcalan – Una soluzione politica per la questione curda”, organizzata da UIKI (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia) nei giorni 11 e 12 aprile a Roma, ha chiarito che l’Amministrazione Autonoma è consapevole di muoversi su un terreno minato. Ha però sostenuto con forza che “finché non vengono superati certi limiti, ci dobbiamo provare”. Ad ispirare questa posizione non è solo il processo di pace avviato dal leader Öcalan in Turchia ma è anche la messa in pratica dei principi del confederalismo democratico che poggiano sulla dissoluzione dello Stato attraverso un cammino per tappe e non di rottura violenta.

La DAANES propone la visione di una Siria democratica dove le varie etnie e i vari gruppi religiosi di cui il Paese è costellato possano esprimersi liberamente e trovare pari dignità, diritti e doveri, dove la donna venga liberata dalle catene culturali che limitano le sue libertà e diventi una protagonista politica della società, dove le risorse naturali siano preservate dall’accaparramento privato e distrutte. Il lavoro culturale per preparare il popolo del Rojava a optare per questa direzione è iniziato da tempo attraverso l’apertura di moltissime accademie dove i principi del confederalismo democratico vengono insegnati.

La vivacità politica delle donne è poi in moto. Sulla veridicità delle dichiarazioni di apertura verso una Siria democratica e inclusiva del nuovo capo di Damasco ci sono sospetti e così le donne della DAANES hanno stretto rapporti con quelle arabe, cristiane e druse per trasmettere la visione del confederalismo democratico, in particolare rispetto al ruolo che anche la donna è chiamata a esercitare per costruire una società libera e democratica.

Ahmed al-Shara, capo del governo siriano, saluta la commissaria europea Hadja Lahbib in visita a Damasco

La condizione affinché tanto in Turchia quanto in Rojava possano proseguire le trattative è la realizzazione immediata di alcune riforme democratiche che segnino la strada della democratizzazione della società turca e di quella siriana. Queste riforme non possono arrivare a posteriori perché è evidente che non vedrebbero mai la luce. Si tratta dunque di una pre-condizione in assenza della quale sono destinati a interrompersi entrambi i negoziati, sfociando inevitabilmente in un’altra spirale di conflitto, anche armato.

L’ultimo processo di pace in Turchia si è concluso con un nulla di fatto nel 2015 e con la repressione violenta di Erdogan nei confronti dei curdi.

Il Sultano questa volta non è in prima linea nelle trattative, ha mandato avanti Bacheli. Resta da capire se voglia realmente la pace e la democratizzazione della Turchia. Una tale svolta dovrà portare con sé la fine dei bombardamenti nella regione siriana del Rojava, dove governa la DAANES, che Ankara incessantemente porta avanti a sostegno dei suoi proxy del SNA.

Il dubbio sulla reale convinzione di Erdogan di portare a buon fine le trattative è inevitabile, lo insegna la storia. Potrebbe avere in mente solamente di prendere tempo nella speranza di indebolire tutte le opposizioni, tra repressione e false negoziazioni, per continuare ad essere il Sultano di una Turchia che aspira a far resuscitare l’Impero Ottomano.

L’unici seduto, Devlet Bacheli, presidente del partito estremista islamista MHP, alleato di Erdogan

Öcalan e la DAANES ovviamente conoscono i rischi che stanno correndo e nonostante ciò accettano la sfida per provare a cancellare la parola guerra e scrivere la parola pace. Lo storico annuncio dello scioglimento del PKK rimarca tutto l’impegno del leader curdo per la costruzione della pace. Il passo fatto da Öcalan mette Erdogan in una posizione scomoda, perché la palla è passata nelle sue mani. Ma il Sultano è un buon giocatore e non va sottovalutato.

Ci vuole un forte sostegno interno delle forze democratiche turche, dai partiti alla società civile, oltre a un movimento dal basso ampio, maturo, popolare e internazionale che si faccia carico di sostenere il processo di pace in Turchia. Deve farsi sentire e non deve lasciare i curdi soli in questo fondamentale momento che potrebbe risultare decisivo per una svolta in positivo del conflitto fra Ankara e il popolo curdo.

E poi ci vuole, come ha sancito il Congresso, il riconoscimento da parte delle potenze internazionali “della propria responsabilità per le politiche genocidiarie perpetrate contro il nostro popolo (quello curdo, ndr) per un secolo”, oltre alla necessità che si astengano “dall’ostacolare una soluzione democratica” e contribuiscano invece “in modo costruttivo al processo di pace”.

Una soluzione finalmente democratica della questione curda potrebbe trascinare con sé anche la soluzione delle questioni che riguardano altri popoli che lottano per la pace e la loro autodeterminazione perché traccerebbe un cammino possibile da percorrere, ricercando con ostinazione la pace.

Carla Gagliardini, vicepresidente Anpi provinciale di Alessandria e componente del direttivo dell’Associazione Verso il Kurdistan odv