L’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Querida Amazonía” è stata pubblicata quest’anno, dopo il Sinodo panamazzonico dell’ottobre 2019, ed è indirizzata non solo ai popoli di Dio, ma a tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore le sorti del creato. Si rivela come atto di amore fin dal titolo, nel quale l’aggettivo “Querida” (cara) risuona con un significato speciale. Esprime insieme amore, tenerezza, cura, protezione e costituisce l’anima stessa del documento. In questo aggettivo Papa Francesco ripone tutta la sua vicinanza, il suo affetto, i suoi sogni, in un luogo del pianeta che non è solo simbolo della nostra casa comune, ma un essere vivo e sofferente, insieme ai popoli originari oppressi e costantemente minacciati. Era il 2015 quando Bergoglio scrisse la “Laudato Sì”, enciclica sulla cura della casa comune, ispirandosi al “Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi. Dalla “Laudato Sì” all’incontro a Puerto Maldonado nel 2018, poi il Consiglio pre-sinodale con la preziosa collaborazione della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica. Partì così la preparazione di “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, l’Assemblea speciale per la regione panamazzonica che si è svolta dal 6 al 27 ottobre 2019. Tra i partecipanti 185 padri sinodali, 25 esperti, 55 uditori, 16 rappresentanti di diversi popoli originari provenienti dalla Pan Amazzonia.
Durante il Sinodo la periferia del mondo è divenuta centro, per essere finalmente ascoltata. Al centro il grido della Terra, il grido dei poveri, il grido dei popoli originari, rappresentati dalla viva voce di leader indigeni: donne e uomini che hanno raccontato le loro culture millenarie in comunione con la foresta, ma anche le lotte quotidiane per la demarcazione delle terre su cui risiedono da sempre, i diritti civili non rispettati, morti e violenze affrontate con grande dignità e coraggio. Attraverso riunioni sinodali, circoli minori, incontri, proposte e più di 170 eventi organizzati da “Amazzonia Casa Comune”, ci si è messi in ascolto anche dei sacerdoti missionari, suore missionarie, laici e gruppi itineranti che portano avanti coraggiosamente la loro missione in una Chiesa in uscita, camminando insieme agli “ultimi”, gli “scartati della società”, coerentemente con gli insegnamenti del Vangelo. Molti sono i martiri, ma le radici rimangono ferme e forti. I temi centrali del Sinodo panamazzonico sono stati la Chiesa in cammino e una ecologia integrale per il bene comune, alla luce dei valori cristiani, un chiaro richiamo alla cura sacra del creato e dell’essere umano, perché “tudo està interligado”, ovvero tutto è interconnesso.
Con una ricchissima biodiversità e 34 milioni di abitanti, di cui oltre 3 milioni appartenenti a 350 popoli originari, la regione panamazzonica è condivisa da nove Paesi: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyana Francese. Ma la foresta pluviale amazzonica costituisce il cuore biologico della Terra, come ha affermato il premio Nobel per la pace Carlos Nobres, brasiliano e uno dei massimi climatologi al mondo. L’Amazzonia è quindi una delle parti essenziali del pianeta Terra, nostra casa comune, così definita da Papa Francesco nella “Laudato Sì”. Ricorda il cardinal Lorenzo Baldisseri, Segretario generale del Sinodo: “Nel suo discorso di chiusura, il Papa riprese i contenuti emersi nell’Assemblea collocandoli in quattro diagnosi: quella culturale, che include la inculturazione e l’interculturalità nei popoli amazzonici; quella ecologica, secondo una prospettiva integrale che va incontro alla denuncia della distruzione del creato, di cui l’Amazzonia è uno dei punti più importanti; quella sociale, che implica non solo lo sfruttamento della creazione, ma anche delle persone insieme alla distruzione dell’identità culturale; e infine quella pastorale, la principale, poiché l’annuncio del Vangelo è urgente, ma ciò che è importante è che esso sia udito e compreso dalle diverse culture in terra Amazzonica”.
Tutto è poi confluito nella redazione di un documento finale, votato con l’ampia maggioranza di oltre due terzi, e reso pubblico il 28 ottobre 2019. Ma il processo sinodale continua, anzi, questo Sinodo serve come modello, una vera scuola di ascolto attivo, di intercultura, di inculturazione e di recupero del significato delle varie manifestazioni di Dio. É in gioco la stessa vita dei popoli, delle comunità, degli ecosistemi, del pianeta. Bisogna scuotersi dall’indifferenza, occorre sì sognare un mondo migliore, ma impegnarsi affinchè i sogni si realizzino. Proprio su questo si sofferma l’Esortazione apostolica. “Querida Amazonia” è composta da quattro capitoli, ognuno dei quali è dedicato ad un sogno che Papa Francesco condivide con noi: “Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa. Sogno un’Amazzonia che difenda e preservi la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana. Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste. Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici” (Q.A., 7).
Nel sogno sociale si sottolinea che “è sempre possibile superare le diverse mentalità coloniali per costruire reti di solidarietà e di sviluppo” e si ricordano le parole di Giovanni Paolo II nella Giornata mondiale della pace 1998: “La sfida è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”(Q.A. Cap. I, 17). Papa Francesco chiede perdono come già fece in Bolivia nel 2015 “non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America e per gli atroci crimini che seguirono attraverso tutta la storia dell’Amazzonia. Ringrazio i membri dei popoli originari e dico loro nuovamente: Voi con la vostra vita siete un grido rivolto alla coscienza […]. Voi siete memoria viva della missione che Dio ha affidato a noi tutti: avere cura della Casa comune”(Q.A. Cap. I, 19). E più avanti, nel sogno culturale, ricorda che promuovere l’Amazzonia “non significa colonizzarla culturalmente, bensì fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio. Questo è il senso della migliore opera educativa: coltivare senza sradicare; far crescere senza indebolire l’identità; promuovere senza invadere. Come ci sono potenzialità nella natura che potrebbero andare perdute per sempre, lo stesso può succedere con culture portatrici di un messaggio ancora non ascoltato e che oggi si trovano minacciate come non mai.” (Q.A., Cap. II, 28).
Nel sogno ecologico continua: “L’insistenza sul fatto che tutto è connesso vale in modo speciale per un territorio come l’Amazzonia. Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, ciò diventa particolarmente significativo lì dove la foresta non è una risorsa da sfruttare, ma è un essere, o vari esseri con i quali relazionarsi. La saggezza dei popoli originari dell’Amazzonia ispira cura e rispetto per il creato, con una chiara consapevolezza dei suoi limiti, proibendone l’abuso. Abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro.” (Q.A., Cap III, 41-42). Entrando poi nel Sogno ecclesiale, ricorda che il cammino della Chiesa in America Latina ha avuto espressioni privilegiate nella Conferenza di Vescovi a Medellín (1968), a Santarem (1972), a Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007), ma “la strada prosegue e il compito missionario, se vuole sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico, deve crescere in una cultura dell’incontro verso una pluriforme armonia. Ma perché sia possibile questa incarnazione della Chiesa e del Vangelo deve risuonare, sempre nuovamente, il grande annuncio missionario.” (Q.A., Cap. IV, 61). “Le sfide dell’Amazzonia esigono dalla Chiesa di realizzare una presenza capillare attraverso un incisivo protagonismo dei laici” (Q.A., Cap. IV, 94), e delle donne “che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche. […] Loro stesse, nel Sinodo, hanno commosso tutti noi con la loro testimonianza”. (Q.A., Cap. IV, 103). I quattro sogni devono essere visti in forma correlata, come ha affermato P. Adelson Araujo, teologo e docente alla Pontificia università gregoriana, “perché anche nei sogni tutto è interconnesso. In ogni sogno condiviso dal Papa è possibile riconoscere il richiamo alla conversione integrale.
Secondo il presidente del Cimi (Consiglio indigenista missionario) don Roque Paloschi, vescovo della diocesi di Roraima, nel nord del Brasile, da anni impegnato nella difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni indigene, la trasformazione comincia da uno sguardo parziale che si converte in uno sguardo di rispetto, di valorizzazione, di riconoscimento delle differenze. “Querida Amazonía” invita a riprendere temi che riguardano anche altre regioni della Terra, invita ad un impegno personale sia come persone di buona volontà che come battezzati. É quindi giunto un tempo speciale, un tempo di kairos, il tempo di ascoltare il grido senza separare l’approccio ecologico da quello sociale perché “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il Grido della Terra quanto il Grido dei poveri. Non ci serve un conservazionismo che si preoccupa del bioma, ma ignora i popoli amazzonici. Il sogno è quello di un’Amazzonia che integri e promuova tutti i suoi abitanti perché possano consolidare un buon vivere. “(Q.A., Cap. I, 8).
Nell’Esortazione appare anche la poesia, che vola alta attraversi sedici brevi testi letterari di poeti e scrittori dell’America del Sud tra i quali, Pablo Neruda, Euclides da Cunha, Javier Yglesias, Ana Varela Tafur. “La poesia aiuta ad esprimere una dolorosa sensazione che oggi in molti condividiamo. La verità ineludibile è che, nelle attuali condizioni, con questo modo di trattare l’Amazzonia, tanta vita e tanta bellezza stiano prendendo la direzione della fine, benché molti vogliano continuare a credere che non è successo nulla”(Q.A. Cap. III,47). E i versi sul fiume ci avvolgono “Quelli che credevano che il fiume fosse una corda per giocare si sbagliavano. / Il fiume è una vena sottile sulla faccia della terra. […] / Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali e alberi. / Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere. / Potrebbe esplodere e lavarci la faccia con l’acqua e con il sangue” (Galeano, J.C). La poesia porta alla riflessione, alla contemplazione e nell’Esortazione per ben sette volte risuona l’invito alla contemplazione imparando proprio dai popoli originari ad assumere uno sguardo che consideri l’Amazzonia anche un luogo da contemplare. Questo sguardo può scaturire solo dal coraggio dell’amore e della speranza, con cui stare nella complessità delle nostre tante “amazzonie”, perché come i popoli originari non possono vivere senza la foresta e il fiume, tutti noi non possiamo vivere senza la cura del creato, da cui dipende il nostro stesso respiro.
Antonella Rita Roscilli, giornalista brasilianista
Pubblicato domenica 5 Aprile 2020
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