Carla Accardi nel 1950. Foto Benedetto Patera

Carla Accardi (1924 – 2014), artista fra le più interessanti del secondo dopoguerra italiano, è la protagonista di “Carla Accardi. Contesti”, una mostra monografica allestita al Museo del Novecento di Milano. Purtroppo, causa pandemia, l’evento è sospeso e, in attesa della sua riapertura, è bene conoscere il lavoro dell’artista che, con i suoi segni primordiali, ha contribuito a rendere grande la pittura astratta nel mondo.

Siciliana di origine, naturalizzata nella Capitale dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, Accardi entra subito in contatto con i pittori e gli intellettuali che sono soliti incontrarsi nello studio di Renato Guttuso in via Margutta.

Prende parte all’avanguardia astrattista e, insieme a Antonio Sanfilippo, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Achille Perilli, Giulio Turcato, il 15 marzo 1947 fonda (unica donna del gruppo) il “Gruppo Forma 1” di ispirazione formalista e marxista.

Il gruppo Forma 1

Il clima è frizzante: una comunità di giovani artisti che, attraverso il confronto quotidiano, inizia a muovere i primi passi nell’arte e a definire le proprie peculiarità.

La personalità di Accardi è già ben definita nel 1952, nelle parole di Turcato: “Una siciliana venuta a Roma due o tre anni fa ha sradicato da sé quei pregiudizi e quel senso di falsa maternità (e modestia) per cui tutte le pittrici hanno la loro discendenza assolutamente assegnata da Rosalba Carriera. A parer mio in questi ultimi guazzi dell’Accardi, per esempio Tempera 6, per la prima volta possiamo vedere come una donna concentri sul rosso una determinata composizione; e nella Tempera 5 come non è affatto vero che una pittrice deve essere delicata a tutti i costi; anzi possa benissimo esprimere un pensiero con forza e un giudizio sulla forma più di un qualsiasi altro pittore”.

Carla Accardi, Grigio con colori, 1954

Accardi, dunque, si impegna ad abbattere molti pregiudizi italiani, primo fra tutti l’associazione donna e delicatezza, pittura e bellezza compositiva e quell’idea del realismo che lega sempre la forma e la composizione a contenuti ben riconoscibili. Accardi sceglie quindi di lavorare su forme poco decifrabili. La sua è una pittura costellata di confronti linguistici, che si esprime con coraggio e sperimentazione, raggiungendo vette altissime in un periodo storico in cui le istanze della pittura sono di competenza pressoché maschile.

Ed è la prima donna astrattista ad avere un riconoscimento a livello internazionale. Come ha ricordato Germano Celant, lo storico dell’arte a lei più vicino, Accardi “è stata una figura importante per più ragioni. Con altri della sua generazione, Afro, Scialoja, D’Orazio, ha costruito un ponte tra l’arte italiana, fino ad allora molto ‘chiusa’, e quello che avveniva sulla scena internazionale, americana prima di tutto. Ed è stata una delle prime donne ad avere riconoscimenti sulla scena mondiale, dominata ancora dagli uomini”.

Carla Accardi. Per gli stretti spazi, 1988, vinilico su tela. Foto di Luca Borrelli

Conclusa la parentesi con Forma 1, la ricerca pittorica dell’artista diventa ancora più autonoma, caratterizzandosi per una inconfondibile firma che, nel tempo, partendo da una riflessione analitica sui colori raggiunge le tre dimensioni attraverso le plastiche e le installazioni. Se negli anni Cinquanta l’artista dipinge su tele poggiate a terra, usando la caseina per disegnare segni bianchi su fondo nero, negli anni Sessanta realizza gli “alfabeti immaginari” con una esplosione cromatica, complice anche l’influenza della Pop Art.

Gli anni successivi vedono Accardi impegnata a lavorare sulla plastica, in un processo dove la pittura sconfina nell’ambiente circostante. Emblematica è Triplice Tenda del 1976: un labirinto che il visitatore può esplorare osservandone tutti i segni. Dagli anni Ottanta in poi Accardi torna alla tela tradizionale, con un’infinita variante formale astratta.

Carla Accardi, Residui cauti

Il linguaggio espressivo di Accardi, dunque, è frutto di una costante ricerca sui nuovi materiali, come plastiche e colori fluorescenti, sullo sconfinamento spaziale, sui sicofoil trasparenti e pure sul contesto storico e politico in cui l’artista vive, legato anche alla sua militanza femminista. Accardi difatti contribuisce alla nascita del movimento femminista in Italia, grazie alle iniziative del gruppo Rivolta femminile, da lei costituito nel 1970 insieme a Carla Lonzi ed Elvira Banotti. “Sono preoccupata dal rapporto fra il significato del mio lavoro e il mio tempo”, dirà l’artista nel 1980.

Una militanza femminista vissuta con autonomia, approfondendo soprattutto i temi dell’identità, della differenza e della creatività femminile. Attraverso la creazione di un nuovo segno, l’artista inventa un linguaggio indecifrabile, testimonianza diretta della sua alterità nei confronti di un mondo occidentale di appannaggio maschile. Negli anni, Accardi si allontana da quella parte del femminismo intento a criticare radicalmente la cultura occidentale, compreso il mondo dell’arte, consapevole che a all’arte non può rinunciarci.

Carla Accardi nello studio di Roma, 1964

Accardi, come molti artisti della sua generazione, credono fortemente alla funzione culturale dell’arte e alla sua possibilità di cambiare il mondo. Una visione utopistica, ben lontana dalla preminenza economica delle generazioni successive, legate prettamente alle dinamiche del mondo delle aste.

Con le sue opere, Accardi incentiva nuovi approcci critici, invogliando il grande pubblico verso sguardi insoliti: “La mia pittura – afferma l’artista – non può arrestarsi su un problema, porlo e definirlo una volta per tutte. Mi piace ruotare attorno a questo problema, vederne le diverse, possibili soluzioni, essere coerente e, al tempo stesso, in grado di cambiare”.

Il suo linguaggio astratto è animato da una forte inventiva fantastica, sostenuto da un imperativo ben chiaro: “Prima commuovere e poi far capire”, attraverso il bilanciamento di una composizione rigorosa e l’intensità emotiva sprigionata dal colore. Il colore insieme alla componente segnica sono, appunto, i punti essenziali della sua arte, espressione di un approccio critico e del suo spirito sempre pronto a ricercare, a scoprire nuove frontiere del fare. Colori sempre più puri (i rossi e i verdi brillanti), pieni di luce e di grande impatto perché “un dipinto – sostiene – deve dirti quello che vuole dirti in brevissimo tempo e deve riuscirci attraverso una sensazione. Questa sensazione, a parer mio, è legata all’idea di un piacere dell’occhio”.

Accardi, Verdeoro, 1965

Oltre al puro piacere estetico, l’arte di Accardi è importante per tutti noi perché ci permette di scoprire il lavoro di un’artista che fa parte di quella generazione di donne che ha combattuto e posto fine all’emarginazione creativa femminile in ambito artistico: il suo contributo ha fatto da apripista per artiste di generazioni successive, dalle pittrici Vierie da Silva e Niki de Saint Phalle alle scultrici Nevelson e Bourgeois. “Tutte le cose che ho fatto – afferma Accardi – le ho volute. In fondo il lavoro si fa per sé, non si fa per gli altri, perché se lo fai per gli altri segui sempre delle cose che non sono pure, che sono delle imposizioni, delle influenze, invece seguire il proprio sogno è diverso, perché fai una cosa e la prima volta che la fai ti sembra strana, dopo ti ci immergi e ne ricavi un significato”, che avrà un’influenza anche e soprattutto negli altri.

Francesca Gentili, critica d’arte