Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Giovanna Garzoni: sono alcune delle protagoniste della mostra Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra 500 e 600, allestita nelle sale di Palazzo Reale a Milano fino al 25 luglio 2021. Esposte oltre 130 opere, testimonianza visiva del lavoro di 34 artiste diverse che, con grande maestria, hanno avuto il merito di affermare il loro ruolo sociale in numerose corti internazionali.
Le opere, selezionate dalla curatela di Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, provengono da 67 prestatori, fra cui le Gallerie degli Uffizi, il Museo di Capodimonte, il Castello Sforzesco, la Galleria nazionale dell’Umbria, la Pinacoteca di Brera, la Galleria Borghese, i Musei Reali di Torino, il Musée des Beaux Arts di Marsiglia e il Muzeum Narodowe di Poznan (Polonia).
L’esposizione è un’occasione unica per ammirare il lavoro di alcuni talenti femminili, figure in aperto contrasto con la concezione tradizionale che voleva le donne relegate a ruoli marginali, nelle vesti di muse, ispiratrici oggetto di rappresentazioni ma quasi mai attrici protagoniste. L’evento, dunque, getta nuova luce sul lavoro delle donne-artiste, troppo spesso oscurate dai più conosciuti colleghi uomini. Vicende che rompono gli stereotipi e mettono in discussione i modelli di comportamento conosciuti. Queste donne sono forti e determinate: conoscere le loro storie significa infrangere i classici schemi e pregiudizi che vedono l’arte appannaggio esclusivamente maschile.
Il percorso abbraccia il periodo storico che va dalla metà del Quattrocento alla metà del Seicento, fra Rinascimento e Barocco, e riprende, trasponendola in Italia, l’idea della celebre mostra Women Artists: 1550-1950 (Los Angeles, 1976), a cura di Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin, già autrice del saggio di Linda Nochlin “Perché non ci sono state grandi artiste?”. E non solo. Punto di riferimento, infatti, è anche l’esposizione del 1980 curata da Lea Vergine a Palazzo Reale dal titolo L’altra metà dell’avanguardia.
L’obiettivo è chiaro: togliere dall’ombra i lavori di numerose artiste, ignote al grande pubblico e ignorate anche dalla storiografia ufficiale. “Fra le trentaquattro artiste che abbiamo proposto – spiega dunque Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale di Milano – ve ne sono alcune, per esempio, che raggiunsero committenze elevatissime (Filippo II di Spagna, Carlo I Stuart d’Inghilterra, Gregorio XIII, Rodolfo II d’Asburgo, Cosimo III de’ Medici, Anna d’Austria, il cardinale Richelieu, i Savoia) alla pari con i più noti artisti dell’epoca e che intrattennero cospicue relazioni con artisti e intellettuali coevi di elevato spessore, tra cui Michelangelo Buonarroti, Van Dyck, i Carracci, Arcimboldo, Cassiano dal Pozzo, Guido Reni, i Campi, Galileo Galilei”. A ben vedere questo appare un progetto di alto significato culturale, uno stimolo per continuare la ricerca in un ambito di studi che, soprattutto nella letteratura artistica del passato, rivela una grave e insufficiente coscienza sul valore del contributo femminile nella storia dell’arte.
Sulla pittura italiana fra il XVI e il XVII secolo, infatti, è stato detto molto, ma sulle artiste di quel periodo, invece, tutto deve ancora essere raccontato. Esempio emblematico in questo senso sono le Vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori (1550) di Giorgio Vasari, dove è presente solamente una biografia dedicata a un’artista donna: la scultrice bolognese Properzia de’ Rossi che aveva lavorato nel cantiere tutto maschile della basilica di San Petronio. Nella seconda edizione delle Vite (1568), invece, il numero delle artiste citate cresce.
Il rapporto epistolare fra il nobile Amilcare Anguissola e Michelangelo su due apprezzati disegni della figlia Sofonisba spinge Vasari a incuriosirsi al suo lavoro, scrivendo numerose notazioni dove sottolinea l’unicità del suo caso. Le competenze delle donne, finalmente, cominciano a essere oggetto di attenzione: la prima donna-artista che segna un momento di rottura rispetto al passato e a certi pregiudizi di genere è Artemisia Gentileschi: formazione caravaggesca, nata a Roma a fine Cinquecento, è la più grande pittrice del Seicento, prima donna a essere ammessa all’Accademia di arte e disegno di Firenze. La sua storia di ribellione e coraggio è un manifesto di emancipazione sempre attuale, simbolo del femminismo e della lotta contro le prevaricazioni di genere.
Artemisia Gentileschi è la più conosciuta del suo tempo, ma non certo l’unica. E il percorso espositivo proposto da Palazzo Reale mostra non soltanto la grandezza artistica di numerose pittrici a lungo finite nell’oblio ma anche le problematiche di quel momento storico non favorevole al riconoscimento della condizione femminile. Si offre così al pubblico una lettura che rompe gli stereotipi e mette in discussione i modelli di comportamento. Un viaggio, questo, storico, artistico e anche sociale, per riflettere sul ruolo della figura femminile come artista e lavoratrice che sceglie, seguendo le proprie passioni, il suo ruolo nella società. In modo trasversale, queste vicende fanno riflettere su alcune importanti tematiche della nostra vita a cui anche l’arte è chiamata ad interrogarsi, dalla parità di genere all’autodeterminazione.
A quei tempi, infatti, era quasi impossibile per una donna non nobile studiare pittura o scultura: per la maggior parte delle artiste, sia italiane che straniere, la bottega paterna diventa il luogo privilegiato per la loro formazione. Da Fede Galizia, figlia del miniaturista trentino Nunzio, a Rosalia Novelli, figlia del pittore Pietro, sono molte le storie di donne che hanno fatto dell’arte la loro professione, ereditando da un familiare il mestiere. Esempio noto è il rapporto fra Tintoretto e la figlia Marietta.
Tuttavia, accanto alle storie di attività svolte sotto l’influenza paterna, troviamo esempi di donne che hanno ricercato l’indipendenza dal modello familiare, riuscendo a superare anche i loro maestri. È il caso di Lavinia Fontana che, a Bologna, acquisisce la fama che il padre aveva dilapidato ed Elisabetta Sirani, pittrice dalla vita breve (muore a soli 27 anni) ma che in soli dieci anni diventa più famosa del padre, il pittore Giovan Andrea. A Roma, nella seconda metà del Seicento, incontriamo artiste abili nella realizzazione di quadri di fiori: la romana Anna Stanchi, verosimilmente parente del noto pittore Giovanni, della quale sono note solo due tele firmate, e l’ancora misteriosa rodigina Elisabetta Marchioni, moglie dell’orefice Sante Marchioni.
Diana Scultori è, invece, la prima donna a essere ammessa in un’associazione di artisti a Roma: nel 1580 viene accettata dalla Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta, dedicatario della cappella al Pantheon assegnata nel 1542 da Paolo III in giuspatronato all’associazione. Sempre a Roma, l’Accademia di San Luca, fondata da Federico Zuccari nel 1593, nel 1607 modifica il suo statuto per consentire la partecipazione femminile, senza però la possibilità di presenziare alle sedute esecutive. Le artiste ammesse dovevano donare all’istituzione una loro opera e, negli elenchi, compaiono i nomi molte donne come Lavinia Fontana, Giovanna Garzoni, Elisabetta Sirani, Virginia Vezzi, Plautilla Bricci, Anna Maria Vaiani, Maddalena Corvina, Isabella Parasole. A Firenze, invece, l’Accademia delle Arti del disegno fondata nel 1563 da Vasari con il benestare di Cosimo de’ Medici, viene ammessa nel 1606 Artemisia Gentileschi.
L’evento è dunque il giusto modo per conoscere l’altro lato della storia dell’arte, scoprendo come la il talento di queste artiste abbia influenzato il gusto del loro tempo e come, al di fuori della più nota letteratura ufficiale, ci sia un mondo tutto da scoprire.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato domenica 16 Maggio 2021
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