C’è un luogo comune tanto falso quanto duro a morire, quello degli italiani brava gente. Quello per cui alla fin fine il fascista era solo una sorta di ingenuo Pinocchio traviato dal malvagio Lucignolo nazista.

Una vulgata creata per non fare i conti con il nostro passato, scaricando colpe tutte nostre, ed escludendo simmetricamente qualsiasi istanza resistenziale nell’area austrotedesca.

Vi furono, invece, esempi di rettitudine, di coerenza, di coraggio. Figure che si opposero al führer e si votarono alla morte, tanto più nobili quanto meno sorrette dalla speranza. Figure che sono state invece dimenticate, vere fiaccole sotto il moggio.

Ne parla la mostra fotografica “La virtù nascosta-Die verborgene Tugend”, esposta alla galleria “De Cillia” di Treppo Ligosullo (Udine), nel quadro delle commemorazioni della stragi del luglio 1944 in Val But.

Presentata, su concessione dell’Associazione biblioteca austriaca di Udine, dal curatore Francesco Pistolato (con cui hanno collaborato i professori Karl Stulpfharrer dell’università di Vienna e Ursula Schwarz del Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes), e già ospitata in varie città italiane oltre che a Berlino, l’esposizione rimarrà visitabile sino a domenica 23 agosto 2020 (orario dal lunedì al venerdì dalle 11 alle ore 12; martedì e giovedì anche dalle 17 alle 18, per info telefonare al n. 0433 487 740 o inviare un’e-mail all’indirizzo: elena.puntil@carnia.utifvg.it).

Inizialmente “La virtù nascosta” inquadra la situazione dell’Austria, e la fascinazione esercitata dal nazismo. Dopo la dissoluzione dell’impero, enorme e multietnico, il “Paese che non voleva esistere, e cui fu comandato: tu ci deve essere” (come scrisse Stefan Zweig) vide nell’unione alla Germania, l’unica possibilità di ritrovare un senso e un’identità. Così, malgrado l’assassinio di Dollfuss e la palese violazione di sovranità dell’Anschluss, l’incorporazione della Republik Österreicher nel Reich fu vissuto da molti come una sorta di “redenzione”.

Alcuni però capirono immediatamente, ad altri fu la guerra ad aprire gli occhi. E nacque una resistenza al nazismo che fu per lo più scelta individuale, senza il conforto di organizzazioni strutturate alle spalle, senza il forte impulso dato dall’ostilità a un’occupazione straniera (come fu dappertutto), ma piuttosto con il cortocircuito di un tradimento antipatriottico.

La mostra è organizzata in sei sezioni: l’Anschluss, la Resistenza dei civili, la Resistenza degli sloveni della Carinzia (i soli capaci di dare vita a formazioni, collegate all’Osvobodilna Fronta), la Resistenza dei militari austriaci, l’esilio degli austriaci, la memoria della Resistenza.

Si raccontano luminose figure individuali, come quella di Franz Jägerstätter, che rifiutò, per ragione di fede, di prestare servizio militare, e per questo fu ghigliottinato. O di suor Maria Restituta delle Francescane dell’Amore di Cristo, che scrisse e distribuì volantini antinazisti (“Ci hanno liberati e prima che ce ne accorgessimo ci avevano spogliati di tutto. 
Ci hanno tolto persino il nostro nome glorioso e adesso vogliono anche il nostro sangue”), pure lei decapitata. Si racconta del tenente Robert Schollas, che esortò alla collaborazione con la Resistenza italiana (“Prendete le vostre armi e venite alla divisione Osoppo Friuli, unitevi alla lotta per la giustizia e la vittoria della democrazia”, scrisse in un appello, cui seguirono la cattura e la fucilazione), dei cospiratori austriaci coinvolti nel fallito attentato contro Hitler del luglio 1944, dei pochi che tentarono di favorire la presa di Vienna da parte dell’Armata Rossa, delle formazioni slovene che si batterono con i partigiani di Tito. E si ricordano i fuggiaschi che riuscirono a salvarsi (un’incredibile emorragia culturale: solo per fare qualche nome, Elias Canetti, Sigmund Freud, Kurt Gödel, Oskar Kokoschka, Robert Musil, Josef Roth, Arnold Schönberg, Franz Werfel, Billy Wilder), parecchi dei quali si arruolarono poi nelle forze armate angloamericane (2000, tra uomini e donne, su 14 mila rifugiati in Gran Bretagna).

«Gli episodi di Resistenza, in Austria, non influirono sull’esito del conflitto. Ma furono esemplari testimonianze di altissimi valori morali. Esempi di una rettitudine di coscienza che va al di là del coraggio», dice Francesco Pistolato. «Purtroppo ancora abbastanza sconosciuti anche nella loro stessa terra. Dove, a differenza della Germania, che ha fatto i conti con il proprio passato, si è preferita a lungo la versione, infondata ma presa per buona anche dagli Alleati, dell’Austria “prima vittima di Hitler”».

Dino Spanghero, presidente Anpi Udine e coordinatore regionale Anpi Friuli Venezia Giulia