Da http://www.bambiniinfattoria.it/ ingrandimento_ASINO–ASINELLO–SOMARO –SOMARELLO-da-colorare_1759_0_1.html

Lunghi carri trainati da possenti cavalli trasportavano, una per volta, le bobine di carta nei magazzini del Giornale di Sicilia. Incedevano sulla strada senza alcuna cautela per la carta e ancora meno per l’asfalto.

Giornalmente ne facevano rotolare alcune, spingendole con mani e piedi, fino a raggiungere la storica sede del giornale in piazza Giulio Cesare.

Qualche curioso si aggrappava alle finestre esterne della tipografia mentre le rumorose linotype preparavano le composizioni di piombo che venivano sistemate in apposite tavole di legno, formando pagine e titoli tra grandi riquadri metallici; poi, le bianche bobine di carta si aprivano su se stesse, scorrendo velocemente sui supporti delle rotative.

Il giornale appena impaginato era pronto per essere distribuito ai numerosi “strilloni” che spesso litigavano per il turno di ritiro.

Correvano di buon mattino con il giornale tra le braccia annunciando a squarciagola omicidi, tradimenti e scontri tra la banda Giuliano e i carabinieri.

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Da questa loro capacità di drammatizzarne la notizia dipendeva quasi sempre il buon successo del numero delle copie da loro vendute, anche quando il giornale riportava ben più importanti notizie in una città che stentava a riorganizzare servizi e vita civile.

Altri strilloni attendevano la stampa del secondo giornale della città, L’Ora, che usciva tutti i pomeriggi. Sapevano usare con altrettanta bravura i titoli delle notizie più clamorose, anche se il giornale per i necessari tempi di stampa, riportava solo parzialmente la cronaca di molti eventi della giornata.

Michele, come tanti altri, amava leggere il giornale del pomeriggio, egli sosteneva essere il più vicino alle esigenze della gente e alla realtà della città.

Quarant’anni, occhi azzurri, capelli castani, malgrado avesse perso i genitori in tenera età, aveva potuto completare la scuola elementare, un titolo di studio considerato importante per i suoi amici, e lui a nessuno negava di scrivere una lettera per i parenti lontani, compilare una domanda di lavoro, di sussidio, o per avviare i ragazzi alla colonia comunale.

Egli, nelle ore in cui non vendeva la frutta, con il suo carrettino, trainato solo con la forza delle sue braccia, accettava qualunque lavoro pur di arrotondare la giornata, così come facevano tanti altri suoi amici.

Non tutti i venditori ambulanti della città possedevano un asino o un cavallo, la forza delle loro braccia era l’unica che potevano utilizzare per trainare il loro mezzo di lavoro.

Michele, con la moglie Giuseppina, all’alba di ogni giorno cedevano il loro letto alla figlia Caterina, appena sedicenne.

Il genero Francesco lavorava come turnista al picchettaggio delle navi in riparazione nel vicino cantiere navale e rientrava sempre con la fine del turno di notte.

I due ragazzi avevano fatto la “fuga d’amore” e la piccolissima abitazione dei suoceri era diventata anche la loro.

La casa dei genitori di Caterina era composta di un solo vano al piano terra, usato il giorno anche come sala da pranzo.

Lasciato il letto alla figlia, marito e moglie si spostavano nell’attiguo piccolo locale che fungeva anche da servizio igienico e cucina.

Mamma Giuseppina, come sempre, preparava una buona tazza di caffè d’orzo per il marito che di buon mattino si apprestava a sistemare il carrettino per raggiungere il mercato della frutta.

9 maggio 1943, bombardamento di Palermo. 1.114 ordigni distruggono la città (da https://www.rainews.it/cropgd/640×360/dl/img/ 2019/05/1600x900_1557411946683.Cattura.PNG)

Il loro quartiere rimaneva a ridosso del porto e malgrado fosse stato danneggiato dagli intensi bombardamenti continuava ad avere una densità abitativa elevatissima.

I bombardamenti avevano risparmiato alcune case baronali lungo la passeggiata a mare, da sempre luogo di incontro della nobiltà palermitana.

Il monumentale palco della musica, dal quale i palermitani avevano potuto ascoltare i tanti concerti, ricordava la bella Palermo dell’anteguerra.

Attorno a questi storici palazzi, si svolgevano i mestieri più strani, anche per la loro vicinanza con il porto.

Dopo avere caricato le casse vuote, Michele, come ogni giorno, legava le sue braccia al carrettino e da quel momento, a suo dire, diventava “uomo asino” e lo sarebbe rimasto finché le condizioni economiche e il lavoro non gli avessero consentito di disporre di un vero asino che trainasse per lui il mezzo.

La sua casa distava solo qualche chilometro dal mercato all’ingrosso e durante il percorso egli amava conversare e scherzare con altri mattinieri compagni che accettavano di buon grado le sue spassose battute, speranzosi come lui in una buona giornata di lavoro.

Il carrettino che Michele utilizzava gli era stato concesso in uso da don Saro, titolare di un’attività fissa all’interno dell’affollato mercato all’ingrosso.

Al suo arrivo veniva obbligato ad aiutare i commessi del grossista nel lavoro di carico e scarico delle merci, prima che potesse prelevare la sua.

Il turno di Michele arrivava sempre a tarda mattinata, solo dopo avere saldato il conto del giorno precedente.

Don Saro lo seguiva, con evidente ironia, ogni qual volta l’uomo sollevava il suo mezzo di lavoro per raggiungere in fretta le massaie del suo quartiere.

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Nei balconi e nelle finestre delle disastrate case, le donne avevano provveduto di buon mattino a sistemare i panni appena lavati e Michele con il suo carrettino doveva fare miracoli per evitare di danneggiarli, poi iniziava a bandire, come da tradizione in città, la sua merce: patate, zucchine, tenerumi, frutta fresca, pomodori per salsa e insalata; e poi ancora, i peperoni sono più buoni della carne, melanzane fresche, ecc…

Le massaie si rifornivano da Michele perché gli volevano bene ed egli le ripagava praticando i prezzi migliori del quartiere.

Dopo un po’ il caldo diventava soffocante e le donne, a turno, gli offrivano un bicchiere d’acqua fredda con alcune gocce di anice Tutone.

L’allegria di Michele diventava spettacolo e le donne si mostravano divertite mentre i bimbi ripetevano le cantilene con le quali egli pubblicizzava la frutta e le verdure. Quotidianamente egli ripeteva ad alta voce il suo impegno: se faccio terno secco mi compro un furgoncino a tre ruote con il motore, tutto dipinto con i paladini di Francia, e la frutta e le verdure che vi porterò saranno solo degli orti della bella Monreale.

La vita della sua famiglia scorreva tra innumerevoli difficoltà e Michele era costretto a subire le angherie di don Saro, il quale gli imponeva di prendere solo la merce di scarsa qualità rimasta invenduta e spesso lo minacciava di riprendersi il carrettino datogli in uso e non fargli più credito, anche se per un solo giorno.

L’organizzazione del mercato all’ingrosso di Palermo, e il lavoro di molti dei suoi operatori commerciali, veniva pesantemente condizionato dalla presenza di elementi malavitosi che potevano spadroneggiare al suo interno grazie alla mancanza di qualunque efficace controllo degli organi preposti e alla presenza, nell’amministrazione della città, di ben noti intrecci politico-mafiosi.

Al suo interno avvenivano frequenti aggressioni, ricatti e attentati nelle forme peggiori.

Una delle tante mattine, si udirono degli spari da arma da fuoco, un uomo cadde cadavere proprio accanto al carrettino e Michele, per lo spavento, rimase a terra quasi tramortito.

Venne soccorso e portato a braccia all’interno del bar del mercato e poco dopo, per disposizione di don Saro, venne accompagnato a casa.

Quella mattina le massaie del rione lo attesero invano. Michele durante tutto il giorno ricevette, nella sua piccolissima casa, il conforto di quanti lo conoscevano.

In serata venne convocato dai carabinieri per ascoltarlo su quanto era accaduto al mercato. Michele si preoccupò molto per il suo casuale coinvolgimento ed ebbe la febbre forte tutta la notte.

Il povero Michele non poteva permettersi di perdere un nuovo giorno di lavoro e, sebbene la famiglia lo avesse obbligato a non lasciare il letto, di buon’ora pretese dalla moglie la sua solita tazza di caffè d’orzo prima di tornare al suo lavoro.

Quella mattina trovò il carrettino davanti casa, sorretto da un piccolo asino. Don Saro, gli fu detto, aveva disposto così.

Al suo arrivo al mercato, il mezzo venne caricato subito della migliore merce, poi il grossista pose una mano sulla spalla di Michele e con voce paterna esclamò: bravo, ti sei comportato da vero uomo, per il carico di oggi e di ieri non mi devi nulla.

Nei giorni che seguirono Michele venne convocato più volte dagli inquirenti e si sparse la voce che i carabinieri e la polizia avevano fermato diverse persone lungo la costa.

Per qualche giorno attorno a lui e alla sua famiglia si notò una certa diffidenza e al povero Francesco la ditta appaltante notificò il licenziamento dal lavoro con effetto immediato.

La mafia con i suoi mille tentacoli, radicata anche all’interno dei cantieri navali, aveva imposto il licenziamento del giovane per fare pressione sul suocero.

La povera Caterina, in ansia per l’incolumità del padre e del marito, partorì il suo bimbo prima del previsto e al nuovo arrivato fu organizzata la prima culla dentro uno dei cassettoni del vecchio comò ai piedi del grande letto dei nonni.

Il felice evento allentò un po’ la tensione nella famiglia e nonno Michele ricordò a se stesso, che avrebbe dovuto lavorare di più per non far mancare nulla al suo primo nipotino.

Mancava solo qualche giorno alla celebrazione del festino, la grande festa per la padrona della città.

Le tante luminarie installate per le vie del centro storico rallegravano l’animo dei palermitani.

Il lungo mare a ridosso del quartiere si preparava ad accogliere la moltitudine di cittadini che normalmente vi si riversava per partecipare alle varie cerimonie e ai festeggiamenti.

Le tradizionali gelaterie a ridosso degli storici palazzi erano pronte a servire la famosa cassata di gelato e i venditori di anguria avevano messo sotto ghiaccio il loro prodotto in grande quantità.

Da qualche settimana davanti ad ogni casa si fermavano di tanto in tanto due uomini, con i loro strumenti musicali intonavano “il triunfu”, con i loro canti e la loro musica raccontavano la storia di santa Rosalia attraverso lunghe e appassionate cantilene.

Tra gli innumerevoli vicoli e le stradine a ridosso della bellissima chiesa della Gancia, nota anche per gli eroici avvenimenti dei Vespri siciliani, abbondavano gli altarini votivi.

Mamma Giuseppina aveva preparato, in occasione della festa, le lumachine condite con l’aglio, il prezzemolo e l’olio di oliva, che aspettavano soltanto di essere consumate.

Improvvisamente le grida dei vicini di casa fecero accorrere tutta la famiglia, qualcuno aveva dato fuoco alle casse vuote della frutta e verdura; il carrettino era stato spostato di qualche diecina di metri e l’asinello offerto da don Saro era misteriosamente sparito.

Il pronto intervento dei vigili del fuoco impedì che l’incendio distruggesse la loro casa e il bimbo, rimasto prigioniero nella sua strana culla, poté tornare indenne tra le braccia della mamma.

Nessuno dei presenti aveva visto nulla e i carabinieri ripresero gli incontri con Michele.

Michele amava molto la sua terra e mai si sarebbe voluto allontanare dalla sua città.

Ora, però è costretto ad ascoltare gli altrui consigli e per proteggere la sua famiglia accetta di trasferirsi presso i genitori del genero.

Il piccolo carrettino con le poche masserizie, sostenuto anche dal giovane Francesco, percorreva per l’ultima volta il lungomare avviandosi verso la nave in partenza per Genova; qualcuno al loro passare alzò timidamente la mano in segno di saluto e di solidarietà.

Prima che la nave togliesse gli ormeggi Michele aveva fatto in tempo a depositare all’ingresso del mercato il carrettino, sul quale aveva provveduto a istallare un grosso cartello con la scritta: “per don Saro, da un vero uomo libero” e mentre la nave si allontanava dal porto si udirono le grida di disperazione di quanti erano venuti ad accompagnare i tanti giovani che partivano in cerca miglior fortuna.

Le luci delle luminarie e i primi giochi d’artificio illuminarono il mare, e i volti di tutta la famiglia si riempirono di lacrime mentre la loro città pian piano spariva ai loro occhi e Michele gridò a lungo, “no, no, no!”. Poi strinse ancora una volta tra le sue forti braccia le due donne e il suo nipotino, fino a farli sorridere.

Ottavio Terranova, vicepresidente nazionale Anpi, coordinatore Anpi della Sicilia e presidente Anpi Palermo