«Non più servi, sapemmo/di essere soli e vivi». Il celebre verso di Cesare Pavese tratto da E allora noi vili (in La Terra e la morte, 1945) potrebbe essere un ideale collante per tenere insieme tutte le “vite partigiane”, le più diverse che in un giorno in cui il cuore «sussultò di sangue» scelsero da che parte stare. E le vite sono le più semplici, coraggiose, taciturne, anche le più ordinarie, si dirà, ma dignitose come dignitoso è il riscatto da violenze, sopraffazioni, dittatura, ignavia.

Ne La guerra di Rendo. Da soldato nei Balcani a partigiano sull’Appennino, edito da Pendragon, Valerio Frabetti, figlio del partigiano Renato detto Rendo, ricostruisce la storia del padre basandosi sulla testimonianza scritta venticinque anni dopo la fine della guerra. Lo fa con il supporto dello storico Rinaldo Falcioni, per spiegare il contesto delle vicende vissute da tanti giovani antifascisti, raccontando la guerra in Jugoslavia – alla quale Rendo prese parte – e gli altri avvenimenti decisivi della fase finale della Seconda guerra mondiale. A corredare il volume cinquanta acquerelli di Matteo Matteucci che reinterpretano le foto di Rendo e dei protagonisti di quegli anni tormentati.

Renato in alta uniforme come effettivo del 10° Lanceri (didascalia dal libro)

Valerio Frabetti racconta nella prefazione al volume della sua partecipazione al cosiddetto “libro vivente” ovvero una iniziativa organizzata dall’Anpi per avvicinare alla storia i giovani mutuata dal progetto europeo YouNet Europe for Citizens. «In sostanza, andando esaurendosi per ragioni d’età l’esperienza diretta dei vecchi partigiani e antifascisti, oggi i figli si cimentano nella redazione di brevi racconti sulle vicende dei padri durante la guerra e la lotta di Liberazione», scrive.

L’ultima carica della cavalleria italiana (il Savoia Cavalleria) a Isbuscenskij, sul fronte orientale, il 24 agosto 1942. L’azione, copntro obiettivi molto limitati, venne considerata un successo (didascalia dal libro)

Così, raccontando in venti minuti la storia di suo padre a un gruppo di studenti, è nata l’idea del libro: «Credo che la storia di Renato negli anni 1940-1945 – continua suo figlio Valerio Frabetti – sia paradigmatica di situazioni vissute da tantissimi giovani che furono coinvolti nelle vicende della Seconda guerra mondiale. L’esperienza di Renato, come di tanti suoi coetanei, si intreccia con la grande storia e può essere lo spunto e lo stimolo per allargare lo sguardo su quell’epoca, tragica, da cui il nostro Paese ha saputo uscire grazie alla rottura dell’alleanza con la Germania e grazie alla scelta resistenziale di tanti giovani che hanno lottato contro il fascismo e per la riconquista della libertà», spiega l’autore.

Posillipo, 12 e 13 agosto 1944: l’incontro tra il premier britannico Winston Churchill e il comandante partigiano Josef Broz, detto Tito. Oggetto di discussione: i rapporti fra l’esrcito partigiano comunista e il regno monarchico di re Pietro II, in esilio a Londra. In discussione anche i confini della Jugoslavia post-bellica (didascalia dal libro)

Entrando nel vivo del volume diventano palpabili, andando avanti con la lettura, la serietà e l’abnegazione con le quali un giovane uomo compie scelte importanti che cambieranno il corso della sua vita e lasceranno inoltre una piccola traccia nella grande storia. Si racconta della guerra in “Balcania”, il nome con il quale gli invasori italiani indicano l’area geografica peninsulare che comprende i monti Balcani e l’allora Regno di Jugoslavia creato nel 1929 sulle spoglie del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nato alla fine del 1918.

Momento topico della firma del “coro armistizio”, il 3 settembre 1943 a Cassibile, sotto Siracusa. A sinistra seduto, il generale Walter Bedell Smith firma per conto di Eisenhower, osservato dasl generale Giuseppe Castellano, in completo scuro, e da ufficiali anglo-americani (dal libro)

Il 2 febbraio del 1940 il coscritto Renato Frabetti viene chiamato alle armi ed entra nei ranghi dei Lancieri di Vittorio Emanuele II di stanza a Bologna. Il “Vittorio” dà il suo contributo all’invasione della Jugoslavia. Dal 1941 il Reggimento fu impiegato in operazioni di occupazione prima e in seguito con compiti presidiari. Racconta Rendo: «In tale periodo cominciai a stimare i nostri cosiddetti nemici, che erano poi i valorosi partigiani jugoslavi. Questa stima, che con il passare del tempo aumentava – si legge nel volume –, era favorita dal comportamento del nostro comandante Dardano Fenulli, il quale, nonostante gli ordini precisi per azioni contro i partigiani, quasi li ignorava e prendeva anzi contatti significativi con comandanti di formazioni locali, soprattutto per evitare combattimenti e distruzioni ritenute inutili».

Rendo poi, rientrato in patria, si trova al comando della 5ª Brigata corazzata della divisione Ariete, dove prende parte alla difesa di Roma combattendo per la prima volta contro i tedeschi. Renato riesce a sottrarsi alla cattura da parte degli occupanti e rientra a Bologna il 18 settembre 1943 come militare sbandato. Il momento della “scelta” di Renato-Rendo è giunto. Un momento vissuto e condiviso da tantissimi giovani.

Prigionia (internamento in Germania), adesione alla Repubblica neofascista, clandestinità antifascista, tirare a campare, nascosti nelle cantine delle zone sfollate o accettare il compromesso nell’impiego dell’organizzazione Todt: lavoro irregimentato in Italia per evitare la deportazione come manodopera coatta in Germania (organizzazione Sauckel). La Todt garantiva cibo e lasciapassare per la circolazione al giovane, che altrimenti avrebbe avuto difficoltà a giustificare il fatto di non indossare una divisa.

La giovanissima staffetta partigian Rossana Banti (1925-2021) con due ufficiali alleati. Con l’arrivi degli angloamericani a Roma, la liceale Rossana Banti divenne agente del Soe (Special operations executive) britannico, il servizio speciale operativo dietro le linee tedesche per sabotaggi e collaborazioni con i partigiani (didascalia dal libro)

Va ricordato che il tema della scelta riguarda anche le donne che sono da subito in prima fila. Le donne – madri, mogli, sorelle e figlie di militari italiani nei vari fronti anche all’estero al momento dell’armistizio dell’8 settembre del 1943 – aiutano i militari sbandati che cercano di tornare a casa, nascondendoli e procurando loro abiti civili, mentre i tedeschi rastrellano e imprigionano. Molte donne poi sceglieranno di diventare partigiane o di collaborare con la Resistenza, saranno staffette di collegamento o combattenti armate.

Felici e sorridenti, Sandra e Valerio, indicano la bitola attraverso la quale Rendo si nascose nel sottotetto della casa di Granaglione durante il rastrellamento fascista

Il primo contributo all’attività resistenziale venne quindi da militari di ogni ordine e grado, militari proprio come Renato-Rendo che, a seguito dello sbandamento generale e della dissoluzione dei reparti di appartenenza, scelsero di combattere per la libertà e per l’Italia proprio nel momento più buio. La scelta di Renato è netta, senza esitazioni. Il libro approfondisce il racconto e le mosse di Renato che lavorava come primo commesso in una salumeria. Interessante leggere di Bologna e delle sue fabbriche impegnate nella produzione bellica controllate dai tedeschi.

Leggendo La guerra di Rendo di Rinaldo Falcioni e Valerio Frabetti si entra in contatto con la vita di un uomo comune che è chiamato a fare grandi scelte. La salita in montagna, le azioni quotidiane, l’organizzazione, i nascondigli, gli incontri, la nascita della brigata Giustizia e Libertà, il passare del tempo, i ricordi di una vita spesa per un senso di giustizia innato, per essere delle brave persone nonostante i tempi difficili.

A Renato fu assegnata la Medaglia d’Argento al Valor Militare per il ferimento al passo della Donna Morta, un momento toccante del libro e della vita del partigiano Rendo. Le illustrazioni che via via scorrono nel volume arricchiscono il racconto e ne fermano alcuni istanti. Soldato arruolato che imparò a cavalcare, che poi scelse la Resistenza e che fu gravemente ferito alla testa, il partigiano Rendo resta uno di quei ragazzi che fecero la Liberazione dell’Italia e la Repubblica a cui va un sentito e doveroso grazie.

Antonella De Biasi, giornalista e autrice di vari libri tra cui: “Astana e i 7 mari – Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia”, Orizzonti Geopolitici, 2021; e “Zehra – la ragazza che dipingeva la guerra”, Mondadori, 2021