Il romanzo che inaugura la nuova collana Unici di Einaudi, “Nonostante tutte”, di Filippo Maria Battaglia, unico lo è davvero. Negli intenti, nello stile, nella voce narrativa, che non è una sola ma ben 119 differenti. Non una parola, infatti, è stata scritta dall’autore, bensì dalle 119 donne che in tempi, luoghi e modalità diversi, nei loro scritti più intimi e personali come lettere, diari e pensieri sparsi, hanno raccontato le loro vite.

Filippo Maria Battaglia li ha ritrovati, scavando a lungo tra le migliaia di documenti autografi custoditi nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e, con attenzione e cura eccezionali, li ha cuciti insieme, uno a uno, fino ad arrivare a creare una sola, unica e irrepetibile storia, quella di Nina.

Un lavoro di ricamo letterario paziente e quasi muliebre, un intreccio perfetto tra trama e ordito, con il quale è riuscito a creare, nel dipanarsi di innumerevoli fili e altrettante vicende umane, un racconto solido e fluido. Lo stile appare omogeneo, incredibilmente. Le singole voci si allacciano le une alle altre senza traumi né interruzioni, mentre il lettore si immerge subito, fin dalle prime parole, belle come dei versi, nella storia.

“Nacqui leggerissima”: questo l’incipit che lascia incantati. Non è solo un dato reale, di certo l’autrice si riferisce al suo peso alla nascita, ma è il rimando all’astratto che affascina, consolidato dalle immagini che seguono, sempre nella prima pagina: “Coniglietti e carote, noci e scoiattoli, arcobaleni e farfalle furono i miei primi ninnoli”. Il lettore è agganciato, ormai, da questo inizio di fiaba e pagina dopo pagina si scioglie e dipana  la vicenda di Nina,  è questo il piccolo e dolce nome che l’autore sceglie e che, giustamente, non appartiene a nessuna delle narratrici reali. Lei vive una vita normale, attraversando l’Italia del secondo Novecento con le sue contraddizioni ed energie.

Nello scorrere della vita di Nina non accade nulla di davvero eccezionale, se per eccezionale intendiamo azioni eroiche o scelte strabilianti, ma nella fatica della quotidianità, nelle sue lotte per l’emancipazione e per la conquista dei diritti sociali non possiamo non riconoscerci tutte e tutti, donne e uomini poco importa.

La semplicità della vita in campagna, la difficoltà dell’inserirsi nella grande città, l’amore tanto desiderato e l’ingiusta delusione, la famiglia e l’attaccamento ai figli – a tratti troppo forte da sopportare – la depressione e la malattia, l’impegno politico costante e la vecchiaia vengono descritti con lineare bellezza, a volte con sfrontata sincerità, nella consapevolezza che mai, nessuno mai, avrebbe letto queste loro parole.

Donne che si confidano con una precisione, anche lessicale e stilistica, che spesso poco ha a che vedere con la loro età o estrazione sociale, che si lasciano andare a descrizioni intime dei loro gesti e pensieri: nel leggerle in questa loro nudità letteraria proviamo pudore ma anche meraviglia. Questo le rende ancora più belle, se possibile, ancor più profonde.

“Certe volte/ vorrei non sentire niente/ Solo le voci della natura/ solo il silenzio della natura/ E immergermi così profondamente in essa da divenirne una parte/ inscindibile/ Come gli alberi/ le rocce/ l’acqua del ruscello/ Solo così potrei trovare la pace/ E la saggezza”. Così leggiamo mentre ancora una volta ci chiediamo quale differenza ci sia davvero tra prosa e lirica e quanta bellezza si nasconda nei cassetti delle nostre case, tra i quaderni delle nostre nonne e dei nostri nonni, quanta meraviglia nei bauli in soffitta o tra i ricami degli antichi corredi.

L’autore Filippo Maria Battaglia

“Nonostante tutte” di Filippo Maria Battaglia racconta la storia della nostra vita. Delle nostre madri, nonne, zie, ma anche delle nostre figlie e, perché no, nipoti: la storia di famiglie uniche e irripetibili ma tutte identiche nelle loro meschinità e invidie, sincerità e affetti, miracoli e drammi.

Alice Pasquini, “Mille papaveri rossi”, murale, dettaglio. San Giovanni in Persiceto (BO). Foto di Claudio Nannetti

“Sono ancora io che scrivo dopo aver riletto con le lacrime agli occhi le ultime pagine di questo quaderno. Mi sono accorta che non ho messo alcune date. Forse è meglio così: vivere senza tempo. È tardi. Qualcosa però posso ancora fare. Scrivo la mia storia. Scrivo perché si faccia qualcosa. Non so se è poco o tanto. È il mio atto d’amore”.

Eccoci al finale, tanto naturale quanto sofferto, nella consapevolezza che solo nella memoria che si fa parola scritta, si racchiude l’essenza stessa della vita, il solo atto d’amore che valga la pena lasciare a chi resta. Narrandoci il suo passato, tanto uguale al passato di tutte noi, Nina ci prende per mano e ci libera dall’egoistica certezza di avere vissuto tragedie solo nostre, gioie solo nostre, paure solo nostre. Senza tempo né spazio, senza data di nascita né di morte, universale nella sua normale quotidianità, Nina ci fa sentire le eroine che siamo e che, spesso, dimentichiamo di essere.

Elisabetta Dellavalle, giornalista, collabora anche con La Stampa