Il nome di Giuseppe Zannini non è del tutto ignoto alla memoria dell’antifascismo. Ma le scarne, frammentarie notizie sul suo conto, rinvenibili in repertori e dizionari biografici o in testimonianze memorialistiche, sono quasi tutte riferite ai pochi mesi del suo soggiorno bolognese, che lo vide attivo nelle file della Resistenza fino al suo arresto, alla prigionia nel campo di Fossoli e alla deportazione nel lager di Mauthausen-Gusen I, dove troverà la morte all’indomani della Liberazione, nell’ospedale militare allestito dagli americani, in conseguenza delle sevizie patite durante l’internamento. Paradossalmente, nessun ricordo di Zannini si è invece conservato a Bari, la città dove era nato, dove aveva compiuto i suoi studi fino al conseguimento della laurea in Scienze politiche e dove aveva trovato impiego nel Credito italiano; ma, soprattutto, dove era stato fra gli esponenti più in vista della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, legandosi di amicizia nientemeno che con Aldo Moro (perciò appare ancora più singolare che la Dc barese lo avesse completamente dimenticato).

Ora un bel libro di Pasquale Martino – Il partigiano ritrovato. Una storia di Resistenza, Piero Manni editore, San Cesario di Lecce 2018 – ricostruisce in maniera soddisfacente e persuasiva, sulla scorta della pur esigua e diseguale documentazione disponibile, la biografia e la vicenda politica di Giuseppe Zannini. Ne emerge il profilo di una personalità caratterizzata da una vivace curiosità intellettuale, da vasti interessi culturali, da fermezza morale unita a grande generosità: doti che esercitarono una profonda suggestione sui suoi coetanei, e che gli guadagnarono la stima e l’apprezzamento di prestigiose personalità del mondo accademico barese (da Fraccacreta a Regina, da Baldassarri a Stella Maranca allo stesso rettore Biagio Petrocelli). Ma nelle pagine del saggio è delineata soprattutto la figura di un cattolico spinto dalla sua sincera religiosità a prendere progressivamente le distanze dalla deriva imperialistica e bellicista del fascismo prima, e poi a combatterlo.

Giuseppe Zannini

A determinare, o quanto meno a favorire, l’atteggiamento critico di Zannini nei confronti del regime è appunto la sua militanza nella Fuci; e proprio sul numero del 20 agosto 1941 di Azione Fucina esce un interessante articolo, intitolato Dinamica economica, in cui il giovane bancario stabilisce, seppure in termini vaghi e allusivi, un nesso di causalità fra le contraddizioni dello sviluppo capitalistico dell’ultimo decennio e lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Ma il passaggio di Zannini da una cauta disposizione “frondista” nei confronti della dittatura fascista all’impegno diretto nella Resistenza (aspetto, quest’ultimo, che giustamente occupa la massima parte dell’indagine di Martino) coincide con il suo trasferimento a Bologna: un trasferimento le cui reali ragioni rimangono oscure, giacché non riesce credibile che esso sia stato dettato esclusivamente dalla volontà di avvicinarsi alla fidanzata Matilde Camaiori, che risiedeva a Pisa.

Il merito di questo libro non consiste però solo e tanto nell’avere riscattato da una memoria sfocata e parziale un personaggio di primo piano dell’antifascismo felsineo e del dibattito in cui si posero le premesse per la costituzione del partito cattolico. Attraverso la vicenda di Zannini, Pasquale Martino trova modo di tratteggiare un quadro più ampio, che spazia dai fermenti antifascisti segretamente coltivati nelle associazioni cattoliche al contributo da esse fornito alla lotta partigiana (nonostante le diffidenze e le contrarietà delle gerarchie ecclesiastiche, compensate però dal largo sostegno ottenuto dal basso clero) all’odissea dei deportati nei campi di sterminio. In questa narrazione, spesso pervasa di pathos e di pietas, trovano posto alcune preziose riflessioni sulle cause della rapida, impetuosa crescita del movimento resistenziale, cui fornì un considerevole apporto quella stessa piccola borghesia alla quale Zannini apparteneva e che pure aveva costituito una componente decisiva della base di massa del regime fascista. Martino individua nel duplice trauma provocato dal 25 luglio (disfacimento dello Stato fascista e speranza in una imminente conclusione della guerra) e dell’8 settembre (occupazione tedesca e nascita del regime fantoccio di Salò) la radice della spontanea rivolta sentimentale e morale, prima e più ancora che ideologica, che spinse larghi strati di popolazione, soprattutto di giovani, a partecipare in varie forme alla guerra di liberazione, a conferma della «moralità» della Resistenza e della sua cifra unitaria. Per Martino, vanno dunque collocate in quelle poche settimane la rinascita della coscienza patriottica e la brusca accelerazione di un processo che convertì il disagio, l’insofferenza, il dissenso, le attese deluse in intervento attivo, in scelta etico-politica.

Pasquale Martino, autore del saggio (da https://www.youtube.com/watch?v=MtG6N30YkTk)

Ma a queste storie se ne intreccia un’altra: quella della ricerca condotta dall’autore ‒ originata dal fortuito ritrovamento nell’Archivio di Stato di Bari di un atto amministrativo con cui si dà comunicazione alla famiglia della morte di Giuseppe Zannini ‒ e da lui raccontata in prima persona, «fra le righe». Martino raccoglie pazientemente le poche fonti rimaste, verifica l’attendibilità delle testimonianze, le confronta con la letteratura secondaria, avanza con cautela ipotesi e congetture ogni volta che i documenti non consentono, da soli, di colmare i vuoti di un ordito che il passare degli anni ha disfatto (in ciò rifacendosi al metodo indiziario utilizzato da Sciascia in tante sue opere, da Morte dell’Inquisitore a La strega e il capitano). Mette insomma a frutto le sue comprovate competenze di filologo coniugandole con l’acume e la sensibilità dello storico, e con l’abito del narratore. Ne risulta un discorso avvincente, in cui il coinvolgimento emotivo è costantemente temperato dal rigore scientifico, e che, oltre ad aggiungere un importante tassello alla storia dell’antifascismo, assume il senso di una ‒ seppure postuma ‒ riparazione.

 Ferdinando Pappalardo, già docente presso l’Università degli Studi di Bari, già parlamentare, presidente dell’Anpi provinciale di Bari, membro del Comitato nazionale Anpi