I Diari di Bruno Trentin, pubblicati da Ediesse, comprendono il periodo che va dall’agosto 1988 all’agosto 1994, gli anni in cui è segretario generale della Cgil mentre sono in atto passaggi d’epoca di cui è testimone e interprete: il crollo del comunismo e la fine dell’Unione Sovietica, lo scioglimento del Pci e la costituzione del Pds e, in campo economico, la terza rivoluzione industriale con la crisi del fordismo e l’affermarsi dell’economia digitale.
Il collasso del comunismo sovietico non lo coglie di sorpresa: ritiene si sia privilegiata la lotta per l’equità e non quella per la libertà e contro l’oppressione.
A questo proposito scrive: “nel binomio libertà-uguaglianza, davo all’inizio molta più importanza all’eguaglianza, adesso penso che senza la libertà non si possa conquistare l’eguaglianza, una libertà che per essere tale non può mai essere scissa da conoscenza e saperi”.
Il socialismo possibile per lui non è un sistema, ma un processo con il quale misurarsi “qui ed ora” e non può essere considerato “l’orizzonte ultimo e il fine della storia” il cui cammino va percorso in maniera quasi deterministica e in cui l’unica possibile accelerazione è data dalla conquista del potere politico. È invece “un movimento reale di trasformazione della società e di liberazione dell’uomo”.
Quel crollo trascina con sè lo scioglimento del Pci. Verso la svolta di Achille Occhetto della Bolognina Trentin ha dapprima un atteggiamento critico, giudicandola “improvvisata e povera culturalmente” ma rifiuta la difesa apologetica dell’esistente. Fin dal primo Comitato centrale del partito propone una convenzione programmatica che dovrebbe precedere il congresso costituente che rischia d’incentrarsi solo sul nome del partito. La proposta non è respinta né dalla maggioranza né dalla minoranza, ma viene dilazionata nel tempo e nei fatti svuotata.
Nei suoi diari Trentin emerge come una figura politica originale, non facile da inquadrare politicamente sia all’interno del Pci sia in una sinistra più ampia. Ha influenza sicuramente la sua formazione in Giustizia e Libertà in relazione ai due grandi concetti: la libertà e il federalismo europeo. Bruno riconosce il peso che sul piano etico ha avuto su di lui suo padre Silvio, così come Giuseppe Di Vittorio e Antonio Gramsci, personalità non conformiste nel pensiero e nell’azione politica.
Trentin è innanzitutto un sindacalista con una elevata tensione utopica che tuttavia deve misurarsi con la vita reale dei lavoratori, che ha piena consapevolezza della dimensione collettiva di massa della politica e del valore conseguente della organizzazione. Quando viene eletto segretario generale della Cgil si pone obiettivo del rinnovamento profondo e radicale del sindacato. Il punto di partenza è la crisi del fordismo mentre è in corso una rivoluzione industriale che ha come segno distintivo l’informatica, che riduce il peso della classe operaia che si frantuma; occorre ricercare un nuovo fondamento al sindacato, nuovi motivi di solidarietà tra i lavoratori. Nasce così il sindacato dei diritti che pone la persona del lavoratore al centro della propria iniziativa, prima della classe; che considera prioritarie la libertà e l’eguaglianza delle opportunità; che pone nuovi vincoli all’attività sindacale come la parità dei generi, la difesa dell’ambiente, la formazione permanente e il controllo del processo produttivo. I diritti non hanno prezzo, non si comprano e non si vendono. Il sindacato dei diritti è anche il sindacato di una nuova solidarietà che esige l’esercizio dei doveri insieme ai diritti e la lotta all’anima corporativa, nella tradizione migliore del sindacalismo confederale italiano. Un sindacato che è parte integrante dell’Europa sociale e politica.
È sul programma che nel sindacato si devono trovare i compromessi e l’unità, non sulle ideologie e sull’appartenenza partitica. Le correnti di partito nella confederazione vengono sciolte su sua proposta nel 1990. Al XII congresso della Cgil viene approvato il programma fondamentale, un testo molto denso, quasi una sfida al Pds appena nato. Bruno inizia il suo mandato con una conferenza programmatica nell’aprile 1989 e lo conclude con una conferenza programmatica sempre a Chianciano nel giugno 1994.
Sono anni difficili: ci sono già i primi passi della globalizzazione e scoppia la guerra del Golfo in Medio Oriente che si aggraverà con crisi che si susseguono da oltre 25 anni. Anni difficili perché l’Italia continua a caratterizzarsi per le mancate riforme, per governi deboli e inaffidabili e si assiste alla fine dei partiti di massa e alla fine della Prima Repubblica. Nel 1992 c’è Maastricht e c’è tangentopoli. Nel 1993 c’è l’assassinio mafioso di Falcone e Borsellino.
Il periodo più sofferto è quello dell’intesa con il governo Amato del luglio 1992 che abolisce la scala mobile e sospende per due anni la contrattazione aziendale. Bruno, pur avendo riserve e contrarietà sull’accordo, lo sottoscrive ma da immediatamente le dimissioni da segretario, respinte il mese dopo dal Comitato direttivo della Cgil. Il diario dedica pagine a questa vicenda che ha tuttavia una conclusione positiva un anno dopo con il nuovo accordo con il governo Ciampi che regolamenta la contrattazione e la rappresentanza sindacale aziendale e che è tuttora la base normativa delle relazioni industriali.
I diari sono anche il resoconto delle sue letture anche in francese e inglese. Bruno legge e studia gli autori che sente più vicini, come Marx e Gramsci, ma allarga di molto la sua conoscenza ad altri esponenti del pensiero politico, economico e filosofico sia contemporanei che del passato. I temi teorici che maggiormente emergono dalla sua ricerca sono quello della libertà e dei diritti come quello della democrazia. La libertà è un diritto individuale che si esercita però insieme con gli altri, in relazione sociale.
Tra i diritti quello più studiato da Trentin è il diritto al lavoro. Non ha una concezione totalizzante né esclusiva, ma è innanzitutto nel lavoro che la persona realizza se stessa, la sua dignità, il suo progetto di vita, la sua libertà se esiste autonomia e autogoverno. Diviene fondamentale pertanto, più che il salario, la qualità del lavoro. Perché “se la libertà viene prima” il lavoro è anche libertà, così come la mancanza di lavoro produce un affievolimento della libertà, a partire dalla dignità della persona.
Sulla liberazione del lavoro impegna tutta la sua vita. Guardando ai lavoratori subordinati per dare loro maggiore potere di controllo sulle condizioni di lavoro e sulla organizzazione produttiva e quindi a spazi di libertà: dai delegati e dai consigli di fabbrica dell’autunno caldo del 1968-69 fino alla codeterminazione nelle aziende.
Il diritto al lavoro deve essere considerato un diritto di cittadinanza, al pari degli altri presenti nella Costituzione italiana. La base della cittadinanza è il lavoro non il reddito. È un diritto della persona, la base principale del diritto soggettivo, così come nel pensiero liberale è stata ed è la proprietà privata. Il lavoro è per Bruno il nucleo fondante della democrazia. Il rapporto tra persona e lavoro che tende ad essere sempre più personale anche per i lavoratori dipendenti. La “compartecipazione progettuale” è sempre più necessarie con le nuove tecnologie.
Una delle sue bussole è la formazione permanente che considera essenziale per governare la flessibilità fisiologica, la mobilità e il precariato. Dando con un nuovo welfare la indispensabile sicurezza ai lavoratori nel presente e nell’avvenire. La diffusione della formazione e della cultura è per lui essenziale per la liberazione del lavoro.
La sua concezione della democrazia richiede l’esercizio quotidiano dei diritti e della libertà per vincere le resistenze, le iniquità e la corruttibilità del potere politico pur eletto democraticamente. Per Trentin la politica ha senso e valore se persegue la realizzazione di un progetto di società. Non può limitarsi alle strategie e tattiche per l’accesso e per la gestione del potere.
L’ultima battaglia di Trentin è quella contro il “trasformismo” con una sinistra, incapace di dotarsi di un progetto credibile e unitario di riforma e di miglioramento della società e del sistema politico. È favorevole ad un sistema politico basato sull’alternanza democratica tra due poli, di sinistra e di destra. Ma ci deve essere un comune consenso sui principi costituzionali e l’alternativa deve trovare fondamento in programmi e partiti forti, non su schieramenti pasticciati e elettoralistici che in definitiva favoriscono le divisioni e le scissioni trasformistiche.
Nei diari c’è anche il privato: le relazioni con la famiglia, con gli amici, le sue ansie, le sue crisi depressive, la fragilità, ma anche la determinazione e la sua forte volontà, le arrampicate in montagna.
I diari sono l’autoritratto di un uomo che ha avuto una vita straordinaria che ha attraversato quasi tutto il Novecento, un secolo tormentato e drammatico: dalla guerra di Spagna alla Resistenza nel Veneto e a Milano a capo della brigata Fratelli Rosselli, alla scelta di vita nella Cgil a fianco di Di Vittorio, alla tragedia ungherese, all’autunno caldo, alla costruzione dell’unificazione europea fino alla crisi e al collasso del comunismo. Ha percorso tutte queste vicende da protagonista e ha lasciato un segno originale nella storia italiana ed europea.
Carlo Ghezzi, Segretario della Fondazione Giuseppe Di Vittorio
Pubblicato martedì 3 Ottobre 2017
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