Il 10 giugno 1924 veniva ucciso a Roma Giacomo Matteotti. È l’evento più emblematico di un periodo che, tra olio di ricino e manganelli, stava portando il fascismo a consolidare la propria posizione di governo, imprimendo una svolta autoritaria ad una Italia che viveva ancora una parvenza di democrazia.

L’eco dell’uccisione di Matteotti fu enorme ma le vittime delle squadre fasciste furono tante, da Nord a Sud. Di molte di esse si coltiva memoria quasi esclusivamente a livello locale, di altre non è rimasto che un nome su un cartello della toponomastica cittadina.

Con il volume “Quel garofano spezzato. Paolo Cappello muratore antifascista (1890-1924)”, Matteo Dalena, storico e giornalista che da tempo conduce ricerche nel campo della microstoria e della storia sociale, getta nuova luce su uno di questi eventi. È la morte del muratore socialista Paolo Cappello, morto ad appena trentaquattro anni a Cosenza il 21 settembre del 1924 a causa delle conseguenze di un agguato fascista.

Giacomo Matteotti ucciso dai fascisti a Roma nel 1924

Cappello rimase ferito, colpito a morte dal proiettile esploso dall’arma di uno dei componenti della squadra fascista che gli aveva sbarrato il cammino, mentre rientrava nel suo quartiere insieme ad altri compagni di vita e di idee.

Paolo Cappello

La figura di Paolo Cappello divenne sin da subito un simbolo per gli antifascisti di Cosenza, città che vantava una radicata tradizione socialista, tanto che si batterono per ottenere giustizia anche gli avvocati cosentini Pietro Mancini e Fausto Gullo, socialista il primo e comunista il secondo, divenuti poi ministri del II governo Badoglio nel 1944.

L’assassino, che lo stesso Cappello prima di morire aveva indicato nel milite Antonio Zupi, centurione e tra i fondatori del partito fascista in provincia, venne in un primo momento rinviato a giudizio con la ridimensionata accusa di lesione seguita da morte, e poi assolto il 10 novembre dell’anno dopo.

Matteo Dalena, membro della commissione studi storici dell’Anpi provinciale di Cosenza e del direttivo dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, analizza la biografia di Cappello senza cedere a idealizzazioni di parte ma evidenziando ciò che emerge dalle carte. Ne esamina così le vicende partendo dalla documentazione rinvenuta sia nell’Archivio centrale dello Stato che negli archivi locali, incrociando il tutto con le cronache offerte dalla stampa cittadina di allora.

Dal sito del Comitato provinciale Anpi di Cosenza, intitolato a Paolo Cappello

Nato da genitori ignoti in un paese della provincia, passato dal brefotrofio cittadino e cresciuto poi in uno dei quartieri popolari della città, il muratore Paolo Cappello visse le difficoltà di tutti i ragazzi di strada. Collezionò anche alcune denunce per lesioni, furto e disturbo alla quiete pubblica, fino a giungere alla militanza socialista, insieme a molti altri giovani del quartiere popolare in cerca di un riscatto che tardava ad arrivare. Era proprio con altri socialisti quando, quel giorno di settembre del 1924, venne colpito a morte tra i vicoli della città vecchia.

La tomba di Paolo Cappello nel cimitero di Cosenza

Un altro parallelismo tra l’omicidio Matteotti e quello di Cappello riguarda gli assassini, o presunti tali. Adolfo Dumini, capo della squadra fascista che sequestrò e uccise Matteotti, dopo la caduta del regime riuscì a cambiare nome e a collaborare come interprete e autista per le truppe angloamericane a Roma nel 1945. Anche il presunto assassino di Cappello, Zupi, secondo la documentazione rinvenuta da Dalena, nel giugno del 1945 si sarebbe trovato “a Roma alle dipendenze di un Comando Alleato”. Entrambi, inoltre, beneficiarono dell’amnistia Togliatti, ma mentre Dumini era stato intanto condannato all’ergastolo e poi liberato, il processo di Zupi e ad altri cinque militi non arrivò a conclusione. Nel luglio ’45, infatti, la Cassazione aveva riaperto il processo a carico di Zupi e degli altri imputati, riconoscendo che la sentenza di assoluzione del 1925 era stata influenzata dall’intervento del prefetto Agostino Guerresi, dal console della milizia Gaetano Fino e dal quadrunviro di origini cosentine Michele Bianchi.

Per Cappello giustizia non venne fatta, così come non venne fatta per la morte dello studente Riccardo De Luca, ucciso nel 1921 e che rappresenta una delle prime vittime del fascismo nel Sud Italia. Ma questa è un’altra storia, e Matteo Dalena è già alla ricerca di materiale per raccontarla.

Lorenzo Coscarella

In omaggio alla memoria del martire antifascista, il Comitato provinciale Anpi di Cosenza è intitolato a Paolo Cappello.